The Eleventh House - Introducing The Eleventh House with Larry Coryell


The Eleventh House  - Introducing The Eleventh House with Larry Coryell

Una solida e pionieristica band di jazz fusion: questo era The Eleventh House. Fondata dal virtuoso chitarrista Larry Coryell all’inizio degli anni '70, si è distinta per il suo suono tagliente, duro e vigoroso. Un perfetto vettore per la chitarra magica di Coryell e di tutti gli altri notevoli musicisti aggregati. The Eleventh House è stato uno dei gruppi più vitali nello sviluppo del jazz rock, guidato da uno degli eroi (purtroppo non abbastanza celebrato) del linguaggio della fusione tra il mondo del jazz e quello del rock.  Insieme al trombettista Randy Brecker (che in seguito sarebbe stato sostituito da Mike Lawrence) e al tastierista Mike Mandel, Coryell aveva messo insieme un collettivo di grande spessore. A completare l’organico c’erano il bassista Danny Trifan e il batterista Alphonse Mouzon. L'influenza dei “soliti” Miles Davis, Weather Report e Herbie Hancock è evidente, ma gli Eleventh House hanno anche saputo elaborare una proposta tutta loro. Gli assoli di tromba di Brecker sono al contempo lirici e scattanti. Coryell e Mandel fondono alla perfezione chitarre e tastiere esponendo sempre le loro spiccate e distintive personalità. Sono i loro primi tre album quelli che hanno mostrato al pubblico ed alla critica il maggior potenziale e quello di cui mi occupo è il debutto assoluto della band: “Introducing The Eleventh House” (1974). L’apertura pirotecnica si intitola “Birdfingers”  ed è uno dei punti salienti del disco, l'interazione tra Larry Coryell e Randy Brecker è pura magia, con i due che si scambiano frasi e sfide sonore. Mike Mandel sullo sfondo delinea con il rhodes un tappeto funky stile Herbie Hancock mentre la sezione ritmica del bassista Danny Trifan e del batterista Alphonse Mouzon spinge il groove a livelli grandiosi. “Funky Waltz” non può non ricordare il Miles Davis elettrico di In a Silent Way, ma si dipana poi su un sound funky rock, dove la chitarra di Coryell fa sentire la sua ruvida voce. “Low-Le-Tah”  ha un andamento ipnotico, basato su un arpeggio di chitarra molto psichedelico sul quale Randy Brecker piazza il suo assolo lucido e pulito. Smaccatamente funky “Adam Smasher” ci regala un Mike Mandel scatenato al piano elettrico ed al clavinet mentre Brecker innesta il wah wah caratterizzando in modo inusuale la sua tromba. Il leader ancora una volta ci mostra quanto originale e diverso possa essere il suo modo di interpretare la chitarra elettrica. Il tastierista Mandel introduce “Joy Ride” che è forse il brano più rock del disco per poi concluderlo con un trascianante solo di synth. “Yin” vede un Alphonse Mouzon forsennato alla batteria coadiuvato dalle linee velocissime del basso di Danny Trifan: difficile star dietro a tale furia se non sei fenomenale come gli altri componenti del gruppo.  L’introspettivo “Theme For A Dream” è un grande cambiamento di ritmo ed atmosfera, molto più rilassato ma pur sempre enigmatico ed affascinante, quasi un oasi di pace in mezzo a tanta foga. Lo stesso vale per “Gratitudine-A-So-Low”, anzi qui siamo in pieno relax poichè il brano è in effetti un assolo misterioso e tagliente di chitarra elettrica senza alcun accompagnamento. “Right On Y’All” è di gran lunga il pezzo più funky di tutto l’album, con un lungo assolo di synth di Mike Mandel. A rendere più interessante il tutto, nella riedizione su cd ci sono alcune  tracce extra, come la minacciosa e intricata “Cover Girl” (che era un pezzo suonato di solito dal vivo), Rocks di Randy Brecker (che venne riproposta nel primo album dei Brecker Bros.) ed un ulteriore saggio di bravura con la chitarra solista di Larry Coryell: “The Eyes Of Love”. Nel momento dell’implosione del progetto Mahavishnu Orchestra ecco che compare questa nuova ed esaltante proposta a perpetuare quello stesso sogno di riuscire a coniugare il jazz con il rock in modo creativo e originale. Meno spiritualizzata della creatura di McLaughlin, certamente più concreta e forse musicale di quella, ma ugualmente pilotata da un chitarrista di grande valore, The Eleventh House ha comunque avuto un suo ruolo importante ed attivo nel contesto storico della metà degli anni ’70. Questo primo album è un debutto lucido e interessante, un chiaro esempio di come si possa prendere il meglio da mondi apparentemente lontani come il jazz, il rock ed il funk e tirarne fuori qualcosa di musicalmente bello e originale.