The Dave Brubeck Quartet – Time Out


The Dave Brubeck Quartet – Time Out

Il pianista Dave Brubeck cominciò a raggiungere una certa notorietà dopo la seconda guerra mondiale con uno stile molto sofisticato ma anche eclettico. Va detto che, nel corso degli anni '50, Brubeck ottenne tutto il successo commerciale che qualsiasi musicista jazz potrebbe desiderare, diventando uno dei più popolari artisti del settore. Famoso soprattutto per i suoi esperimenti con il ritmo, influenzato tanto da Bach quanto dallo swing, le sue composizioni sono caratterizzate da dei sofisticati intrecci di tempo dove non mancano alcuni riferimenti classici. Brubeck aveva un'ossessione per la metrica complicata, una visione del jazz che sia il sassofonista Paul Desmond, il batterista Joe Morello, ed il bassista Eugene Wright, cioè il suo storico quartetto, hanno condiviso in toto ed anche molto ben completato e perfettamente interpretato. Pubblicato nel 1959 dalla Columbia Records, la stessa etichetta con cui aveva firmato Miles Davis, Time Out fu inizialmente accolto male dalla critica, anche se presto ebbe un grosso successo commerciale, vendendo oltre 50.000 copie e raggiungendo infine il numero 2 nelle classifiche di Billboard. E’ indubbiamente il capolavoro definitivo di Dave Brubeck, ma è anche uno degli album ritmicamente più innovativi nella storia del jazz, il primo ad esplorare con perizia e meticolosità i tempi al di fuori del ritmo standard di 4/4 o del tempo di valzer 3/4. Questa era certamente da considerarsi una scelta rischiosa: la casa discografica di Brubeck non era entusiasta di pubblicare un progetto così inusuale e, come detto, molti critici inizialmente lo criticarono per aver manomesso le fondamenta ritmiche del jazz. Ma per una volta il gusto del pubblico risultò più avanzato di quello della critica. Trainato dal successo incredibile della celeberrima "Take Five", scritta dal sassofonista Paul Desmond, Time Out divenne un successo inaspettatamente enorme, ed è ancora considerato uno degli album jazz più popolari di sempre. Perciò questo capolavoro è una testimonianza tangibile della maestria di Brubeck e Desmond come compositori: Time Out è sofisticato, pieno di interessanti spunti nascosti e palesi manifestazioni melodiche. Ma tutto è estremamente fluido e orecchiabilmente gradevole. Analizzandolo in dettaglio scopriamo fin da subito "Blue Rondo à la Turk" che è una sorta di ibridazione tra il folk turco e la composizione classica. La melodia è particolare ed accessibile allo stesso tempo, un marchio di fabbrica dello stile e dell'approccio un po' eccentrici ma sicuramente vincenti di Brubeck. "Strange Meadow Lark" trasporta l'ascoltatore in un viaggio melodico grazie al sassofono contralto di Paul Desmond e al particolare assolo di piano di Brubeck. "Take Five" era e rimane la melodia che la maggior parte delle pubblico associa all'album e, nonostante l'eccessiva familiarità, merita davvero il suo posto come uno dei grandi capolavori jazz mai registrati. Sentire Desmond giocare con il tempo insieme alla batteria poliritmica di Morello è come una raffinata carezza per l'orecchio. L'atmosfera stimolante continua con "Three To Get Ready" che è un sottile gioco tra la batteria suonata con le spazzole e gli intrecci armonici e melodici del duo Desmond-Brubeck. "Kathy's Waltz" è un'altra deliziosa composizione che non lascia indifferenti con il suo orecchiabile ritmo di walzer insaporito splendidamente dall’immancabile duo di solisti. "Everybody's Jumpin” è un brano tanto divertente quanto particolare, e oltre al consueto sound del sax di Desmond, va sottolineata la ritmica e l’uso degli accordi di Brubeck. La traccia finale "Pick Up Sticks" è un altro pezzo elegante, come un potrebbe essere un bell’abito o una automobile d’epoca. Insieme a Kind of Blue di Miles Davis, Time Out contiene alcuni dei brani più riconoscibili e memorabili della storia del jazz. È un album che vibra di raffinata eccellenza. Lo stile di Brubeck era contraddistinto da accordi brillanti e crescendo entusiasmanti, tuttavia le sue esplorazioni pianistiche contaminate dalla musica classica sono tra le più belle che sia possibile ascoltare. Il suono di Paul Desmond, che preferiva le ballad ai brani più mossi, era tenue e limpido e il suo stile improvvisativo era melodico, spazioso e riflessivo: dalla combinazione perfetta dei due è scaturita un’alchimia perfetta, una delle più iconiche della lunga storia del jazz. Time Out è un'esperienza coinvolgente, a volte ipnotica, in cui il talento creativo di Dave Brubeck e del suo Quartetto è davvero in vetrina. Non solo suona sofisticato: è davvero musica sofisticata, che si presta ad un ascolto colto, ma non smette mai di essere anche profondamente swing ed al contempo così familiarmente orecchiabile. Molti musicisti si sono basati sugli esperimenti pionieristici di Dave Brubeck e Paul Desmond e tuttavia la sua opera risulta sorprendentemente accessibile nonostante alla sua radice ci sia molta ricerca musicale ed altreattanta intelligenza creativa: un'impresa rara in qualsiasi forma d'arte. Nessuna raccolta di jazz si può dire completa senza possedere una copia di questo album storico.


 

The Chuck Mangione Quartet – Chuck Mangione Quartet


The Chuck Mangione Quartet – Chuck Mangione Quartet

Nel 1978, per un periodo, non si poteva accendere la radio senza imbattersi in un brano poi divenuto celebre, intitolato "Feels So Good". Il pezzo era di Chuck Mangione, un jazzista convertitosi alla musica commerciale. In quello stesso anno l’orecchiabile brano raggiunse non a caso la quarta posizione nella classifica Hot 100 di Billboard e fu nominato per un Grammy Award in quello successivo, diventando infine disco di platino. Tuttavia all'epoca Chuck Mangione era sconosciuto ai più, ma il trombettista in realtà era già un affermato musicista bop mainstream da oltre dieci anni. Aveva infatti registrato alcuni album per la Jazzland e la Riverside Records (insieme al fratello tastierista, Gap) sotto il nome di The Jazz Brothers. Chuck Mangione Quartet, del 1972, insieme ad un'altra uscita dello stesso anno, Alive, ci presenta il flicornista poco prima che la sua musica prendesse una svolta verso tendenze più pop e decisamente di facile ascolto. Cattura un'atmosfera che era popolare nei primi anni '70, suggerita dalla foto di copertina di un Mangione con i capelli lunghi e la barba, vestito casual con pantaloni a zampa d'elefante, maglietta a maniche lunghe e l'immancabile cappello di feltro. È seduto pigramente su una sedia, con una gamba incrociata sull'altra, mostrando un’immagine di relax, soavità ed tranquillità. Era l’epoca che vide la transizione dalla cultura hippie alla cultura yuppie: dai Jefferson Airplane ed i Grateful Dead ai suoni new age della Windham Hill e del funk. Lo storico Sony Walkman saliva alla ribalta consentendo la fruizione della musica anche in movimento, e la travolgente popolarità della disco music stava per raggiungere il suo apice. Sfortunatamente il bravo Chuck, si adagiò sulla celebrità ed i facili guadagni che accompagnarono il suo successo, e molto raramente ritornò al suo precedente e sicuramente più impegnato stile musicale. Ma i contenuti di Chuck Mangione Quartet sono qualcosa di diverso dallo stile commerciale e rientrano perfettamente nel genere del jazz, pur mantenendo un carattere generale non particolarmente difficile per qualsiasi ascoltatore. È un disco che scorre liscio come la seta. Non c'è un momento ostico in tutto l'album, gli assoli sono eseguiti con gusto, senza alcuna forzatura. Fin dall’inizio il tenore dell’album è ben definito: "Land of Make Believe", è un vivace numero bop dalle sfumature latine con una melodia orecchiabile, un bell'assolo di Gerry Niewood al sax soprano e uno altrettanto stimolante di Mangione con il suo prediletto flicorno caratterizzato dal tipico sound rotondo e suadente. La bella e lunghissima "Self Portrait" vede Niewood esibirsi al flauto sopra un letto di percussioni latine con Mangione che rende omaggio a Miles Davis nel suo assolo. Una virata modale caratterizza “Little Sunflower” firmata dal trombettista Freddie Hubbard: il bravo Chuck ancora una volta cita apertamente Miles Davis. Il sassofonista Niewood rivela una grande devozione verso John Coltrane, sciorinando un sorprendente assolo su un raffinato tappetto di pianoforte elettrico suonato dall’altro Mangione (Gap). Niewood  si mette nuovamente in evidenza con il brano da lui stesso composto intitolato "Floating" dove è proprio il suo sax soprano a deliziare l’ascolto con momenti di puro lirismo, coadiuvato dagli ottimi assoli degli altri membri del quartetto. Il talento di Gerry Niewood è senza dubbio uno dei punti di forza dell'album, come dimostra il suo intervento sulla celebre "Manha De Carnival" di Luis Bonfa. Ovviamente anche Chuck Mangione stesso mette in evidenza tutta la sua tecnica e il suo mirabile fraseggio infiammando le battute con il suo magico flicorno. Lungo tutto l’album il batterista Ron Davis e il bassista Joel De Bartolo forniscono la giusta spinta ritmica e le solide basi dinamiche della musica. Così come appare lucido e privo di sbavature l’apporto al piano (elettrico o acustico) del Mangione meno noto, il fratello Gap. La riedizione in vinile di Chuck Mangione Quartet è stato un grande regalo per i fan del popolare trombettista e più in generale per gli amanti del jazz. Era indisponibile da decenni e, a quanto mi risulta, non fu mai pubblicato su CD. Inoltre la copertina è una riproduzione fedele dell'originale, con la curiosità di un promemoria nelle note dove si avvisa che l'album è disponibile anche su "Musicassetta e Stereo 8" (!). Altri tempi, molto lontani e tuttavia memoria di un’epoca remota ma mai dimenticata. Chuck Mangione Quartet è un buon disco di jazz e di certo ci consegna la fotografia di un artista di grande talento molto diverso da quello a cui ci ha abituato lo show business a partire dalla fine degli anni ’70.

Jazz Holdouts – Summer Nights


Jazz Holdouts – Summer Nights

I Jazz Holdouts sono una smooth jazz band contemporanea, composta da diversi musicisti di grande talento in questo campo. Il tastierista Alan Palanker e il sassofonista Louis Cortelezzi, compongono il duo di formidabili musicisti che sta dietro al progetto, che ha l’obiettivo di produrre qualcosa di ottimo livello nell’ambito del jazz contemporaneo. Spesso coadiuvati da artisti come Michael Thompson e Nathan East, il collettivo può vantare una grande esperienza in campo musicale. La band è stata anche in tournée con molti nomi affermati del pop e dell'R&B negli ultimi anni. Dopo l'uscita del loro album di debutto "Summer Nights" nel 2018, la band ha ricevuto un'ottima accoglienza di vendite e di ascolto. Il loro singolo estratto dall'album, anch'esso intitolato "Summer Nights", è arrivato al numero uno della classifica di genere e da quel momento il successo è stato crescente. I Jazz Holdouts hanno in progetto di continuare nella loro crescita professionale con la speranza di raggiungere un pubblico ancora più vasto nel corso di un processo di costante ricerca della qualità. "Summer Nights" è davvero sorprendente nel contesto un po’ appiattito dello smooth jazz ed è qualcosa di cui questa band dovrebbe essere orgogliosa. Alan Palanker e Lou Cortelezzi hanno lavorato duramente in studio creando dei paesaggi sonori ultramoderni da abbinare alle loro seducenti melodie di tastiera e sassofono. Quello che bisogna aspettarsi da questo lavoro è una miscela sensuale di pulsante musica smooth, notturne sfumature cool e armonie di jazz contemporaneo. Il risultato è certamente fresco e orecchiabile. Musica strumentale orientata al groove, con un tocco di atmosfera e tuttavia molto moderna. Nei Jazz Holdouts gli elementi più tradizionali che si rifanno al 'jazz', come l'improvvisazione, sono secondari rispetto all'effetto complessivo della composizioni. Di certo troviamo una combinazione vincente tra il tastierista Palanker e il sassofonista Cortelezzi, cosa che ha indubbiamente prodotto un risultato interessante. Il gruppo inizialmente puntò su una sorta di AOR music, di cui "Intuition", del 2014 è una testimonianza ormai lontana. Abbandonato il concetto originale i Jazz Holdouts si sono reinventati andando alla scoperta di una più moderna sperimentazione che include anche un tocco di elettronica, qualche spunto dance e soprattutto un uso di sax e tastiere sofisticato e rilassante. Palanker e Cortelezzi sono affiancati dall'asso della chitarra Michael Thompson, dal bassista John Siegler e dal percussionista Walfredo Reyes Jr, più la partecipazione chitarrista fusion Jamie Glaser. I Jazz Holdouts ci danno il suono morbido e ricco che ci aspettiamo dalla musica jazz contemporanea e qualche altro spunto interessante. L'intero album racchiude in sè un forte impatto melodico e la talentuosa band è al centro della scena  con un gusto ed una personalità non comuni in ambito smooth jazz. Niente di veramente rivoluzionario, tuttavia "Summer Nights" è sicuramente il classico album perfetto per sedersi, rilassarsi e godersi serenamente un po’ di buona musica.

Cedar Walton - Mobius


Cedar Walton - Mobius

Cedar Walton è stato senza dubbio un grande pianista jazz e un validissimo compositore anche se purtroppo lo ritengo fin troppo sottovalutato. A lui si devono brani che sono divenuti ormai degli standard tra iquali i più noti sono Ugetsu (conosciuta anche come Polar C o Fantasy in D), Mosaic e Bolivia.  È noto per aver registrato assieme a molti jazzisti di fama mondiale sia come leader che come sideman. Nell’arco della sua lunga carriera è stato un protagonista del jazz ma ha saputo anche sintetizzare al meglio le sue origini blues e bop con alcune delle più innovative tendenze, fino a condurlo negli anni ‘70 ad abbracciare i suoni elettrici del funk e del soul. Walton ha subito mostrato una notevole attitudine all’utilizzo del piano elettrico del quale può essere considerato a tutti gli effetti uno dei più validi specialisti. Nel 1975 registrò come solista un album intitolato Mobius, (e l’anno successivo il suo seguito ideale Beyond Mobius) incentrato proprio sul sound elettrico che all’epoca andava per la maggiore. Questo lavoro di Cedar Walton è brillante, perfettamente calato nel mood del periodo. Una vera e propria incursione nella jazz-funk fusion. Un set elettrico molto interessante anche grazie alla collaborazione di una superband di talenti musicali. Mobius è infatti impreziosito dalla pungente chitarra elettrica di un giovane Ryo Kawasaki, ma anche dalla voce cristallina di Adrienne Albert e Lani Groves. Un tocco in più di ritmo è fornito dalle percussioni di Ray Mantilla e Omar Clay e la band si avvale del prezioso lavoro al sax contralto e al sax baritono di Charles Davis. Alla tromba c’è Roy Burrowes, al basso Gordon Edwards ed infine al sax tenore un gigante come Frank Foster. La sezione ritmica è guidata dal grande Steve Gadd alla batteria. Va detto a scanso di equivoci che Mobius è un album tanto lontano dal classico hard bop quanto sorprendentemente interessante. Troviamo qui un'emozionante sintesi di R&B, funk, blues e hard bop (con un pizzico di rock), il tutto guidato dalle tastiere di Cedar Walton, che si destreggia tra Rhodes e sintetizzatori con la dovuta e consueta maestria. Mobius fu il debutto di Walton per l’etichetta RCA. Il versatile pianista dimostrò le sue abilità sia come musicista che come compositore, ma mise in luce al contempo la sua perizia quale sofisticato arrangiatore. I suoi brani offrirono un trampolino di lancio per le improvvisazioni dei diversi e tutti validi solisti. L’album è un bell’esempio del meglio del jazz elettrico della metà degli anni '70, offrendo una sintesi di stili e tendenze tipiche di quel preciso momento storico declinate con classe ed equilibrio. Senza eccessi di tecnicismo e mantenendo un gradevole contatto con la melodia, la band di Walton ha prodotto un album molto piacevole ed interessante, che anche a distanza di quasi 50 anni dalla sua pubblicazione mantiene la sua freschezza originale e si lascia ascoltare con piacere. L'audio è stato accuratamente rimasterizzato assicurando che suoni al meglio. Inoltre è sempre un piacere ascoltare lo stile pianistico di Cedar Walton che, sia quando si esibisce con il pianoforte acustico, sia quando è alle prese con gli strumenti elettrici, non smette di stupire per il suo tocco e la sua fluidità. Questo è a tutti gli effetti quello che si usa definire un bel “Rare Groove”, cosa che gli appassionati del jazz elettrico e della musica degli anni ’70 apprezzeranno molto. Ai puristi del jazz mainstream di certo piacerà molto meno, a questi ultimi consiglio dunque di orientarsi verso gli album più classici di Cedar Walton che nella sua vastissima discografia di certo non mancano.

The Hidden Jazz Quartett – Raw And Cooked


 The Hidden Jazz Quartett – Raw And Cooked

Forse non abbastanza spesso, ma a volte capita che i manager delle etichette discografiche abbiano una visione chiara e lungimirante di come dovrebbe suonare la loro produzione musicale. Qualche esempio in ambito jazzistico? Manfred Eicher con la sua ECM, Norman Granz con la Verve e di certo Creed Taylor, prima con la Impulse! e poi con la CTI. Lucidità di pensiero unita alla passione ed alla dedizione nel portare a termine un progetto spesso si sviluppano proprio ascoltando gli artisti suonare in contesti diversi. E naturalmente avendo il coraggio di mettere insieme qualcosa di nuovo che abbia un suono particolare, ovvero creando ad hoc una inedita collaborazione musicale. Ed è così che in terra di Germania è nato The Hidden Jazz Quartett. Ralf Zitzmann, capo dell'etichetta Agogo Records, ha messo in piedi il progetto che sta dietro i suoni interessanti e moderni che animano un album come "Raw and Cooked". Come spiega lo stesso Zitzmann: "Una sera, al Calameri Moon Club di Hannover i DJ stavano facendo ascoltare degli interessantissimi suoni neo jazz, e così ho pensato: suona tutto così fresco e vibrante quasi come se ci fosse un quartetto jazz nascosto da qualche parte. "Zitzmann decise di chiamare al telefono il sassofonista Stephen Abel, l'organista Lutz "Hammond" Krajenski, il batterista Matthias "Maze" Meusel e il bassista Olaf Casimir, tutti musicisti che conosceva bene e di grande esperienza, dando vita all'Hidden Jazz Quartett. Fu coinvolto il produttore Christian Decker e l’idea del direttore artistico dell’etichetta divenne presto realtà. "Raw and Cooked" possiede un'energia positiva che risulta immediatamente gradevole e fresca. Ne esce un sound che sembra provenire dai jazz club notturni del passato, ma è calato nel presente e proiettato nel futuro. E’ il jazz a dominare la scena, con i suoi groove dinamici e vibranti, che si alternano a volte anche con momenti più rilassati. L'album presenta tra gli artisti ospiti anche i cantanti Bajka, Omar, Greg Blackman, Anthony Joseph e Tim Hollingsworth. Ciò che è evidente durante tutta la sessione, però, è che il fantastico sound creato dal quartetto non viene mai smarrito o edulcorato, e quando uno dei cantanti prende la scena, è sempre molto in linea con l'etica complessiva dell'album. A dare il via al tutto è la meravigliosamente seducente “Luvlite” con la voce composta e misurata di Bajka. Ne consegue un mix di soul, jazz e R&B moderno, che dà subito il tono all'album. La leggenda britannica del soul contemporaneo Omar alza poi la temperatura con l'eccellente e super cool "High Heels": un classico istantaneo. La band si esprime al massimo in quella sorta di boogaloo intitolato "His Footlocker", dove sfodera un’esibizione  vivace e di gran classe. L’album mette in mostra l’approccio entusiasta con cui questi ragazzi suonano ed è ovvio come i musicisti si divertano e l’interplay risulti sempre centrato. L'organista Lutz Krajenski ad esempio eccelle durante l'intera sessione. E’ Greg Blackman a fornire la voce soul di "Tap on the backdoor" che a tratti ricorda gli Steely Dan. Bajka ritorna protagonista con "Soulsophy" un brano dai toni neo soul. "Kimberley Hotel" è invece qualcosa di diverso, dove il tappeto sonoro è scandito dal parlato del poeta di Trinidad Anthony Joseph e non possono non venire alla mente alcuni passaggi di Gil Scott Heron. “Nardis”, che ha un chiaro tocco fine anni ’60 e inizio anni ’70, suona molto jazz contemporaneo; mentre “Walzer” ha invece un sound da jazz club, rivisto con una sensibilità moderna. La voce calda e suadente di Tim Hollingsworth dà un'atmosfera notturna ed intima all’immortale standard del jazz "Lush Life": la sua è un'interessante interpretazione di questo classico senza tempo. La band chiude infine l’album con 3 bonus track tra le quali la versione strumentale della iniziale "Luvlite". il brano che di fatto può essere considerato la loro firma musicale. Inoltre è un piacere ascoltare ancora Omar in un remix in stile Motown della simpatica High Heels. "Raw and Cooked" è un lavoro che ha le potenzialità per piacere ad un vasto pubblico, forte del suo coinvolgente e moderno mix di jazz, soul e musica da club. Tutto funziona molto bene, a testimonianza della bravura, ovviamente del quartetto stesso, ma anche del produttore Christian Decker, che è riuscito a tirar fuori dal cilindro un quadro sonoro molto interessante, pur rimanendo fedele alla sincerità dei diversi elementi presenti nella musica eseguita. Con i suoi groove sempre equilibrati e rilassati e tuttavia contemporanei e stimolanti The Hidden Jazz Quartett offre un ascolto piacevole ed originale, cosa non da poco nel panorama appiattito della discografia dei nostri giorni.

David Sancious - Transformation (The Speed of Love)


David Sancious - Transformation (The Speed of Love)

David Sancious è un musicista molto difficile da classificare. Lui è un artista a tutto tondo ed un compositore molto versatile, che apprezza sinceramente tutti i generi musicali dalla classica al rock, al jazz, al blues e al funk. Forse anche per questo, al di là della sua carriera come solista si è guadagnato il rispetto di tutti, soprattutto quello inestimabile dei suoi colleghi. Di fatto però la maggior parte degli appassionati di musica conosce David Sancious per essere stato uno dei primi tastieristi di Bruce Springsteen, o per il suo lavoro come sideman con Sting, Peter Gabriel, Bryan Ferry, Jack Bruce, Erykah Badu, Michael Franks, Santana, Youssou N. 'Dour, Hall & Oates, Aretha Franklin, Zucchero e molti altri. Ma in realtà esiste una sua validissima produzione discografica nella quale Transformation (The Speed of Love) rappresenta il secondo album registrato per la Epic Records e pubblicato nell'ormai lontanissimo 1976. Segue l'ambizioso Forest of Feelings dell'anno prima, peraltro prodotto dal grande batterista Billy Cobham. Per quanto già interessante fosse quell'album d’esordio, che combinava in modo ammirevole il jazz, il rock, il funk e la musica classica, Transformation (The Speed of Love) è certamente migliore in termini di composizione, di arrangiamento e financo di esecuzione. L’album si avvale della stessa band denominata Tone, formata dal batterista Ernest Carter e dal bassista Gerald Carboy. Prodotto da Bruce Botnick si basa sugli stessi punti di forza del suo predecessore, ma le tracce sono più lunghe, vanno da sei minuti e mezzo a oltre 18 minuti, e qui ce ne sono solo quattro in tutto. David Sancious suona un ricco setup di tastiere (Rhodes e pianoforte acustico, clavinet, synth, organo, ecc.), ma Transformation (The Speed of Love) è anche una vetrina per il suo modo letteralmente sorprendente di suonare la chitarra, sia elettrica che acustica. Nel lavoro traspare un evidente amore per il soul ed il blues che il musicista riesce ad integrare con una vena di rock progressivo, oltre che con il funk e la jazz fusion. Sin dall’iniziale "Piktor's Metamorphosis", si resta stupiti dalle insolite linee di chitarra, ma soprattutto dagli eleganti intrecci di basso e batteria.  E’ un continuo saliscendi di cambi tonali e fughe ritmiche che non lascia certo indifferenti. "Sky Church Hymn #9", è un tributo a Jimi Hendrix, che utilizza inzialmente una linea blues prima di trasformarsi in una sfrenata cavalcata che abbraccia in un lampo il funky, lo shuffle boogie, fino ad un funambolico jazz-funk. Il brano mette in luce una grande maestria dei musicisti che lo interpretano con una emozionante passione ed un dinamismo pari alla fenomenale tecnica che viene messa in mostra. "The Play and Display of the Heart" è una lunga ballata acustica in cui Sancious si diverte a duettare con se stesso al piano e alla chitarra. Qui i suoni sono folk, classici e evidenziano la conoscenza delle sonorità modali orientali: il risultato è una gradita tregua dopo l'intensità dei due brani precedenti. La title track, che vede anche la partecipazione della bella voce di Gayle Moran, è un brano lunghissimo e articolato che occupa l'intera seconda metà dell’album. Inizia come una sorta di inno prog rock dai toni quasi marziali, per poi stupire per le numerose parti dove abbondano moltissime progressioni di accordi che si intrecciano e si snodano. La sezione ritmica si esalta in un continuo gioco sul tempo fino ad addentrarsi in quello che sembra una sorta di affascinante labirinto musicale nel quale il lirismo della chitarra elettrica e le vampate di organo funky delineano un affresco di grande impatto emotivo. La linea di basso di Carboy offre un favoloso contrasto armonico, con il batterista Ernest Carter che scolpisce il ritmo spingendo questa insolita jam session verso vette inattese. La band Tone esplora molti diversi elementi cromatici e lo fa in modo aggressivo ma melodicamente coerente, senza mai perdere la concentrazione e mantenendo una mirabile compostezza. Sul finire, questa vera e propria suite va ad esplorare degli universi interiori non banali ed appare quasi come una particolarissima metamorfosi musicale, prima di trovare una via quasi trascendente per arrivare alla sua conclusione. Questo Transformation (The Speed of Love) è un album maestoso, un lavoro di jazz-rock progressivo che può a ragione essere considerato iconico come Birds of Fire, Blow by Blow o Hymn of the Seventh Galaxy. Tuttavia David Sancious si distingue per la sua personalità unica e ben definita e in ultima analisi per il suo impatto emotivo, cosa non da poco quando si parla di questo genere musicale, spesso afflitto da un tecnicismo eccessivo e forse fine a se stesso. Chi ha amato la Mahavishnu Orchestra, Chick Corea e altri mostri sacri del genere Jazz Rock non può non ascoltare con uguale rispetto ed ammirazione i Tone di David Sancious.