Exodus Quartet – Way Out There


Exodus Quartet – Way Out There

Exodus Quartet è una sorta di non gruppo, di loro esiste un solo album. È il frutto della volontà e della passione di un ex dj e musicista di nome Eric Hilton (ora Thievery Corporation). Attorno al 1991 Hilton mieteva successi a Washington D.C. organizzando delle serate a base di acid jazz nel suo club Exodus. Un appuntamento musicale fisso che per anni ha stupito tutti i frequentatori della movida della capitale americana, che non perdevano l’occasione per assistere agli infuocati set di Eric e del socio Farid Ali. Durante quel periodo l’Exodus ha attirato grandi folle di appassionati ogni Venerdì sera. Jan Kinkaid dei Brand New Heavies  presenziando ad una di queste serate durante il primo tour negli Stati Uniti  disse: "Non ho mai pensato che qualcosa di simile esistesse al di fuori di Londra. O forse dovrei dire non credo che questo esista nemmeno a Londra". Hilton decise dopo qualche anno di registrare un disco che rendesse omaggio alla musica e all'atmosfera che si respirava nel leggendario club ed così che Exodus Quartet ha avuto inizio. L’ispirazione di Way Out There oltre che dall’acid jazz,  trae le sue fonti dalle passioni musicali dell’ex dj: le colonne sonore dei polizieschi degli anni ’70, il funk, la bossa nova, il latin jazz, la fusion. È percepibile una certa familiarità con il sound di un altro musicista americano di matrice acid jazz di nome Fishbelly Black (al secolo George Mitchell) che non a caso figura tra i collaboratori di questo album. La maggior parte delle tracce sono state scritte, prodotte e suonate da Eric Hilton stesso, con il grande contributo di David Yilvisaker che compare in veste di tastierista e vibrafonista in numerosi brani e di alcuni è anche co-autore e co-produttore. Ai due si aggiunge poi una folta schiera di ulteriori musicisti a completare la sessione: Topaz (sax), Butch Jackson (congas), Kaze (voce), David Hanbury (chitarre), Rene Ibanez (percussioni), Al Williams (flauto), Ray Gaskins (sax), Jim Sivard (flauto), Greg Grainger (batteria), David Bach (vibrafono), David Jernigan (basso), Pamela Bricker (voce), Wayne Wilentz (Rhodes piano), Jesse Rodefer (percussioni). Il focus dell’album si concentra sulla matrice acid jazz, in particolare quella dei primi periodi dell’esplosione inglese del fenomeno. E quindi l’atmosfera che si respira è decisamente minimalista, caratterizzata dai classici groove di basso e batteria (spesso elettronica o campionata) sui quali si innestano, di volta in volta, gli assoli di piano elettrico, vibrafono, organo, sax, flauto o chitarra. Tutto piuttosto grezzo ed in qualche misura quasi artigianale, che non è necessariamente un difetto se i musicisti sono di buon livello come in questo caso. Certo resta sempre la sensazione che una produzione più sontuosa e raffinata avrebbe garantito a Way Out There ben altri risultati. Tuttavia non si può non apprezzare la sincera passione e anche l’ecletticità  profusa dall’Exodus Quartet nel mettere insieme un programma di quattordici brani piuttosto eterogenei. Le varianti dell’acid jazz ci sono tutte: si va dal jazz di ispirazione latina tipo “Los Gatos” o “Our Man In Havana”, alla più classica delle bossa nova come “Corcovado” (unico brano cantato). C’è il funk Hammond-drived alla James Taylor Quartet di “18th Street” e un brano come “Perfect Vibe” che suona molto alla maniera di Fishbelly Black. Il pezzo forse più stimolante è “Groove Gumbo”, un lungo loop ossessivo sul quale si alternano a turno i solisti. Non manca una traccia di stampo smooth come “Orbit”. Il limite più grosso di questo album risiede probabilmente nella sensazione di ripetitività della parte ritmica, dovuta all’eccessivo uso dei campionamenti e dei loop. Per contro gli assoli sono abbastanza convincenti, in particolare quelli di piano elettrico ad opera di David Yilvisaker. Way Out There uscì nel 1996 cioè circa dieci anni dopo la nascita ufficialmente ritenuta l’inizio del movimento acid jazz. E' encomiabile lo sforzo compositivo, ed è suonato discretamente bene, con attenzione al sound caratteristico del genere. D'altro canto non aggiunse nulla che non si fosse già ascoltato e rappresenta una curiosità più per il fatto di essere americano (cosa rara nell’acid jazz) che per i suoi reali contenuti. Penalizzato forse da una produzione davvero elementare e troppo asciutta è un disco consigliato agli appassionati più devoti del genere acid jazz, che con Exodus Quartet completeranno la loro collezione con una rarità. Gli inguaribili curiosi alla ricerca di qualcosa di sconosciuto (o quasi) possono tentare un ascolto, non troveranno nulla di troppo impegnativo. Tutti gli altri musicofili possono tranquillamente rivolgersi altrove.