Tarika Blue – The Very Best Of Tarika Blue


Tarika Blue – The Very Best Of Tarika Blue

Tarika Blue: un nome enigmatico e sconosciuto (e nemmeno troppo indovinato...). Erano un gruppo jazz fusion che ha avuto un piccolo seguito (per lo più sulla costa orientale degli USA) a metà degli anni '70. Guidati dal session man newyorkese Phil Clendeninn, i Tarika Blue hanno sviluppato uno stile musicale ricco di  richiami jazz e soul, funk e pop ma anche cosmico e mistico. Clendeninn era affascinato  dai mostri sacri della composizione modale post-bop come John Coltrane, McCoy Tyner, Pharoah Sanders, Charles Lloyd e Yusef Lateef. Una passione che in qualche misura accomuna il suono dei Tarika Blue a quello di Lonnie Liston Smith & The Cosmic Echoes, e non a caso infatti, Smith e Clendeninn sono entrambi pianisti/tastieristi che sono stati influenzati dal modo di suonare di McCoy Tyner. Tuttavia sia l’uno che l’altro non erano dei puristi del jazz ed entrambi scelsero di utilizzare prevalentemente strumenti elettrici e di dare libero sfogo alle contaminazioni tra generi diversi. I Tarika Blue, ben consapevoli delle strade che anche il jazz stesso aveva intrapreso in quel contesto storico, scelsero la strada di proporre dei brani strumentali jazz fusion articolati e complessi ma certo anche piuttosto accessibili. L'album in oggetto non è altro che la combinazione delle sole due testimonianze discografiche che il gruppo ha lasciato: Tarika Blue e The Blue Path. Il primo era completamente strumentale, il secondo introdusse alcuni brani cantati; non registrarono mai un terzo lavoro e dopo poco tempo si sciolsero. L’atmosfera generale è brillante e funky, un po’ sul genere dei Crusaders e naturalmente affine a quella proposta da Lonnie Liston Smith. Per tutti gli appassionati di piano elettrico è importante sapere che il mitico Fender Rhodes è protagonista in molte tracce, così come altre tastiere. La chitarra elettrica stridente di Ryo Kawasaki dona un tocco di aggressività, ma sa essere anche leggera e raffinata, ed i sax incisivi di Marvin Blackman e Justo Almario garantiscono il giusto sapore jazz a questo interessante gruppo. La contaminazione tra jazz e funk è evidente, ma non è affatto banalmente commerciale cosicchè le tredici tracce suonano ricche di interessanti suggestioni e di momenti estremamente godibili di pura vintage fusion. Ad esempio “Blue Neptune” è un brano figlio della sua epoca, caratterizzato da sonorità cosmiche e molto evocative. “Charlie” ha un tono più funky disco suggerito dalla batteria scandita e dalla melodia che a tratti ricorda i pezzi dei giapponesi Casiopea (i quali devono aver ascoltato ed essersi ispirati ai Tarika Blue). Si prosegue con “Downtown Sound” che invece appare colorato da una sfumata atmosfera latina e dove si mette in luce il chitarrista di origine giapponese Ryo Kawasaki con un bell’assolo. “Dreamflower” è probabilmente il pezzo più significativo dell’album: morbida e suadente ballata dall’andamento rilassato, si avvale ancora una volta di un sofisticato assolo di sax e di un sinuoso basso che disegna linee potenti lungo tutta la lunghezza del brano. “Jimi” nasce tra le dita della chiatarra elettrica di Kawasaki, con un andamento da progressive rock che intriga subito. Il primo degli interventi vocali si trova su “Love It”,  canzone che probabilmente sarebbe stata meglio se lasciata solo strumentale e dove è il piano elettrico a mostrarsi ancora protagonista. La replica viene data subito dopo in “My Love Is So Fine” che non fa che confermare la sensazione precedente e cioè che le parti strumentali sono molto meglio di quelle cantate. Inusuale per i Tarika Blue l’uso, per una volta, del piano acustico. Jazz rock classico e di ottimo livello quello offerto in “Revelation” che anzi a tratti lascia intendere quasi un ammiccamento ad una specie di hard bop elettrico, fantastico l’assolo di rhodes e notevole l’intervento al sax tenore di Justo Almario. L’andamento decisamente jazzistico è ripetuto nella successiva “Sun Thru Winter” che è pezzo dalla ritmica intricatissima e caratterizzato dal positivo protagonismo di sax e chitarra. Si torna in tema cosmic funk con “Sunshower”, tra echi dei “Return to Forever”, il Santana più jazzistico e Lonnie Liston Smith. Un energico brano come "Things Spring" suona divertente e scanzonato, con il suo bel sax soprano in evidenza ed una bella ritmica vivace. Fino all’avvento del rhodes che s’impone all’attenzione per la qualità dell’assolo del leader Phil Clendeninn. La raccolta si chiude con altri due numeri cantati, sui quali valgono le considerazioni fatte precedentemente e cioè che i Tarika Blue danno decisamente il meglio di loro stessi nei numeri strumentali e comunque all’interno dei brani vocali sono le sezioni suonate quelle che pesano positivamente sul giudizio. Una curiosità riguardo a questo misterioso gruppo è che la cantante Eryka Badu nel 2001 ha utilizzato il brano "Dreamflower", (di cui parlo sopra)tratto proprio dal debutto discografico della band di New York, per confezionare "Didn't Cha Know" che divenne una hit e fu nominata ai Grammy Awards come miglior canzone r&b dell’anno. In conclusione i Tarika Blue e i loro due album sono una positiva e piacevole sorpresa, la musica espressa dalla band di Phil Clendeninn è complessa ed affascinante ma resta pienamente godibile. Si avverte un profondo legame tra la loro proposta e l’epoca nella quale fu composta e suonata (la metà degli anni ’70). Forse non è necessario conoscere tutta la storia per godere di questo piacevole tuffo nel passato, ma di sicuro aggiunge un po’ di colore a tutta l'esperienza di ascolto.