Paul Jackson – Black Octopus


Paul Jackson – Black Octopus

Paul Jackson è nato nel 1947 a Oakland, California, ha iniziato a suonare il basso all'età di nove anni ed inoltre ha studiato al Conservatorio di San Francisco. Oltre che contrabbassista è anche un interessante compositore. Ha suonato con molti dei grandi artisti del jazz, in particolare è stato parte attiva su alcuni degli album seminali degli Head Hunters di Herbie Hancock, come Thrust, e molti altri. Black Octopus è una sorta di misteriosa leggenda del funk, da ascriversi al novero di quei dischi dimenticati per lungo tempo e poi ritrovati in tempi recenti. L’album è stato registrato da Paul Jackson durante il tour in Giappone con  gli Headhunters di Herbie Hancock, nel 1978, ma non ha visto la pubblicazione per più di due decenni. Arricchito al momento della ristampa con quattro graditissime bonus tracks, questo lavoro si è guadagnato una positiva reputazione e un’aurea leggendaria  proprio a causa della sua scarsa reperibilità. La sua miscela di fusion, dance, R&B, e funk jazz guidata dalle possenti linee di basso di Jackson lo colloca di diritto nel nirvana dei rare grooves. Sorprendentemente, la maggior parte dei brani originali di Black Octopus presenta il bassista californiano anche nella veste di cantante, con una marcata somiglianza con Steve Arrington. Paul Jackson si presenta dunque come un  vero  funky frontman, ad esempio cantando alla sua maniera un numero disco come "Burning in the Heat (Of Your Love)". O anche declamando qualche frase sul primo pezzo "Many Directions" che tuttavia suona profondamente funk. Ma il punto forte di Black Octopus sono i coinvolgenti vintage grooves di cui è pieno l’album,  interpretati al meglio da molti veterani del gruppo di Herbie Hancock, tra cui lo stesso tastierista star.  Una formula che prevede gli immancabili e magici tocchi di Rhodes, i graffianti fiati in stile James Brown, e la ritmica come sempre più che gagliarda.  Validi esempi di questa interpretazione calata del sound anni’70 sono “Funk Times Three”e “Tiptoe Thru The Ghetto”. Delle quattro aggiunte, che quasi raddoppiano la durata dell'album, la strumentale "T-Bolt" è probabilmente quella più vicina all’idea che ci si sarebbe potuti fare di un album da solista di Jackson. Suona come la diretta discendente della fusion tipica del lavoro degli anni '70 di Hancock. "Umi Bozu" è più avventurosa, le sue spruzzate di synth sono sostenute da una chitarra ritmica propulsiva, ed è singolare nel suo andamento complessivo. Non essenziale "Bow Tie Dress" che è davvero strana, un piano elettrico sbarazzino sostiene tutto il brano, puntellato da una sorta di borbottio parlato da parte di Jackson. Infine “A Little Love’ll Help” chiude il quartetto di pezzi aggiuntivi con un iconica canzone funk che racchiude al suo interno tutti gli elementi tipici del genere: il clavinet percussivo, la ritmica up-tempo, il basso ossessivo e i fiati roboanti. Paul Jackson è un musicista molto dotato, il suo basso propone un accompagnamento vigoroso e originale, oltre che calato profondamente nella musica black del periodo. Se forse, da un lato, i tentacoli musicali di questo “Black Octopus”  si allungano un po’ troppo lontano dal solco della tradizione jazz funk, dall’altro si può riscontrare come il risultato complessivo sia ancora qualcosa di estremamente valido ed essenziale per qualsiasi appassionato di fusion e rare grooves.