Alphonso Johnson - Moonshadows


Alphonso Johnson - Moonshadows

In queste pagine ho parlato spesso degli anni ’70, dei rare grooves e di tutto quel movimento trasversale che mise in contatto la realtà del jazz con i suoni e le atmosfere del funk e anche del rock. Fu un periodo di grande fermento creativo e di ottima musica, non sempre e non solo prodotta dalle stelle incontrastate di quegli anni come Herbie Hancock, Chick Corea, i Weather Report o ovviamente Miles Davis. Un grande contributo lo diedero anche i vari musicisti che facevano parte di quei gruppi e spesso ne caratterizzavano il suono con la loro abilità tecnica ed il loro talento. Uno di questi artisti un po’ misconosciuti è senza dubbio il bassista elettrico Alphonso Johnson. Dopo un breve periodo dedicato a suonare il trombone, nel 1968 Alphonso Johnson ha eletto il basso elettrico come suo strumento. I suoi primi concerti furono con Horace Silver, Woody Herman, Chuck Mangione e Chet Baker. La fama di Johnson come specialista del basso è tuttavia cresciuta dopo la registrazione dei tre album con i Weather Report (1974-1976) e naturalmente durante i vari tour in giro per il mondo. Fu da quel momento che Johnson diventò molto richiesto negli studi di registrazione degli artisti di fusion e di funk jazz. Alphonso Johnson è considerato uno dei più rappresentativi bassisti della scena internazionale, uno di quelli che con il suo esempio ha contribuito alla crescita della tecnica strumentale bassistica nei primi anni settanta. Da un certo punto di vista, il suo stile lo pone a fianco di musicisti del calibro di Stanley Clarke e Steve Swallow. “Moonshadows” è un buon album di jazz-funk-fusion di Alphonso, che fu il primo bassista dei mitici Weather Report. E' sempre bello ascoltare il lavoro di un artista di un particolare strumento in cui il musicista stesso così come il suo strumento giochino un ruolo di primo piano. E questo è esattamente il caso di Alphonso Johnson e del suo debutto discografico del 1975, nel pieno della sua militanza alla corte di Joe Zawinul e Wayne Shorter. Questa registrazione è ricchissima dei riff prodotti del muscolare basso di Johnson, che non manca di farsi sentire sia come solista che come finissimo accompagnatore. I brani spaziano dal funk ballabile del numero d’apertura “Stump” che è quasi un paradigma musicale del genere, al jazz rock purissimo di “Involuntary Bliss”, che vede uno scatenato Gary Bartz esibirsi in uno stupendo assolo di sax soprano. “Cosmoba Place” risente dell’influenza del progressive rock più sofisticato e propone un’atmosfera diversa e inquietante. Ancora più strana “Pandora’s Box” che è cosmica e suggestiva con il basso perentorio di Johnson e il clarinetto basso di Bennie Maupin a sostenere tutta la struttura del pezzo. Funky groove per la divertente “Up On The Cellar” cadenzata dal clavinet e dal piano elettrico dell’ospite Patrice Rushen su un tappeto ritmico tessuto da Leon Chancler. La blueseggiante “On The Case” vede la partecipazione di Lee Ritenour che ci delizia con un assolo ruvido e coinvolgente. Ancora pennellate di progressive nella conclusiva “Unto Thine Own Self Be True” che sfociano in un epico finale di synth scandito dalla maestosa batteria di Narada Michael Walden. La presenza massiccia di un gran numero di stelle della fusion è garanzia di esecuzioni di livello elevato e di grande professionalità. Moonshadows esce dal magico cilindro musicale della metà degli anni ’70 e a quel preciso periodo storico è artisticamente e culturalmente legato a doppio filo.  Figlio degli Head Hunters e dei Weather Report, dei Return To Forever ma anche degli Earth, Wind & Fire o dei Crusaders, si fa piacevolmente ascoltare senza mai diventare cervellotico o pesante, ma purtroppo, pur mantenendo uno standard musicale piuttosto elevato  non riesce a coinvolgere fino in fondo l’ascoltatore.