Herbie Hancock - Head Hunters



Herbie Hancock - Head Hunters

Giunto al dodicesimo album, di cui gli ultimi precedenti tre particolarmente "sperimentali", il geniale pianista jazz Herbie Hancock compie, nel 1973, una svolta epocale e sforna una pietra miliare della sua mirabile carriera e una gemma assoluta della storia della musica. Ecco allora al via una nuova band, priva di chitarra, ma soprattutto un inedito, larghissimo uso di tastiere e sintetizzatori, tutte ovviamente gestite dall'abilissimo musicista di Chicago. Evidentemente la scuola di Miles Davis deve aver lasciato un'impronta profondissima in Herbie, se seguendo le orme del grande maestro in questo Head hunters, Hancock apre i suoi orizzonti a 360 gradi, virando in modo deciso sul funk per evolvere, e forse in qualche modo superare la poetica del jazz. Nuovi territori, quindi, nuovi suoni, nuovi segni. Un passaggio formale di quella che è una esplorazione contemporanea, urbana e tribale. Modernissima. Così avanti che anche adesso questo album suona attuale e fresco. Non è un caso se ad oggi è una delle opere jazz più vendute. I puristi non mancarono di criticare aspramente il nuovo sound di Herbie Hancock, salvo poi rivalutarne i contenuti e decretarne (tardivamente) l'importanza e l'enorme influenza sulla musica degli anni a venire. I brani sono tutti originali ad eccezione del noto Watermelon Man, pubblicato nell'album d'esordio Takin' off e qui riproposto con una nuova strumentazione ed un arrangiamento rivisto completamente. La contaminazione funky è palese, soprattutto in Chamaleon e Sly, ma il jazz tira le fila del discorso e la sperimentazione di linguaggi diversi ed affascinanti la possiamo avvertire in tutto l'album, ad esempio nell'enigmatica Vein Melter. Tutto questo verrà confermato e in qualche modo sublimato nel successivo album del 1974 con gli Head Hunters ed intitolato Thrust. Un capolavoro di cui parlerò prima o poi. Con Herbie padrone di tutte le tastiere e come sempre ispiratissimo sorattutto al piano elettrico, suonano nella band Bennie Maupin ai sax e flauto, Paul Jackson al basso, Harvey Mason alla batteria e Bill Summers alle percussioni. La copertina di Head Hunters raffigura una maschera africana legata al gruppo etno-linguistico ivoriano dei Baulé. Fu disegnata dall'illustratore americano Victor Mosocoso, celebre soprattutto per le locandine dell'auditorium Fillmore di San Francisco. C'è un prima di Head Hunters e c'è sicuramente un dopo. Qui c'è una boa attorno alla quale tutto un mondo musicale girerà attingendo a piene mani, un riferimento importante ed un seme che presto darà frutti maturi e saporiti. Hancock lancia, con questo disco storico, la sua pietra nel mare del jazz, come avevano fatto prima, in altri modi, e con altre forme, altri grandi geni. L'onda lunga che scaturirà da queste note arriverà come uno tsunami fino ad oggi. Forse nemmeno Herbie avrebbe potuto immaginarsi tanto.