Alex Bugnon - Soul Purpose



Alex Bugnon - Soul Purpose

Alex Bugnon è un pianista e tastierista svizzero, nativo di Montreux. Le origini non traggano in inganno più di tanto, Dopo aver studiato al conservatorio di Parigi e presso l'accademia Mozart di Salisburgo, si è trasferito negli USA, dove si è diplomato alla prestigiosa Berklee School of Music. Superata quindi la preparazione classica egli è maturato artisticamente in ambito jazzistico, ma è da sempre attivo principalmente nel genere smooth jazz, del quale è diventato presto uno degli esponenti più quotati. Dotato di una ottima tecnica soprattutto al piano acustico, e di una certa "furbizia" compositiva, ci mostra una varietà di influenze in questo Soul Purpose. L'album è del 2001, e pur non essendo privo di contenuti interessanti, la sensazione del prodotto pensato più per l'easy listening disimpegnato non abbandona mai l'ascoltatore attento. Così come l'idea che questo tastierista abbia delle potenzialità di grande valore, mai totalmente sfruttate. La title-track, come suggerisce il nome, prende spunto dall'anima soul della Memphis degli anni '60, anche se poi gran parte di essa si gioca (modernamente) su un abile uso dei sintetizzatori . Alex ha una grande passione per gli ""EW&F", sui quali dice, "Imparare ogni canzone degli Earth, Wind & Fire è stata una grande parte della mia educazione musicale". In realtà, Soul Purpose non suona poi tanto come il popolare gruppo dei fratelli White, ma in "Rio.com" (nominalmente un pezzo brasilianeggiante) e in "Changes" certamente lo fa, anche se Bugnon leviga un pochino i familiari ritmi funk della band originaria di Chicago. Si cimenta anche in un classico del jazz  come "Giant Steps" di John Coltrane, che in un solo minuto è forse più pasticciata di quanto sarebbe lecito attendersi. Ma la sua versione di Duke Ellington di "In a Sentimental Mood", in realtà mostra riverenza ed è eseguita ed interpretata con passione e tecnica al piano solo. Questi brani rubati al jazz tradizionale non sono gli aspetti più importanti dell'album, ma in realtà offrono il giusto tocco di diversità a ciò che altrimenti suonerebbe troppo come un insieme ripetuto di brani di smooth jazz piuttosto ortodosso. Come è d'obbligo nel jazz contemporaneo, c'è una ritmica costante, fluida e moderatamente funky che fa da base ad alcuni modelli melodici ripetuti su ogni canzone, oltre che, naturalmente agli assoli al pianoforte acustico di Bugnon, qualche volta con l'aggiunta di un organo Hammond B -3 o dell'immancabile e sempre gradito Fender Rhodes. Le improvvisazioni che il buon Alex sciorina in ogni brano hanno stretti limiti, ed i pezzi semplicemente scorrono facili e veloci per circa quattro minuti ciascuno, prima di svanire. E' una formula progettata per ammiccare alle radio jazz e, in ultima analisi, risulta un pò anonima, come la maggior parte di ciò che viene suonato su tali stazioni di genere. La cover di Duke Ellington indica che Alex Bugnon è capace di molto di più, ma come è noto la musica più facile permette senza dubbio di pagare le bollette.