Azymuth - Azymuth


Azymuth - Azymuth

E' certo che in Brasile, prima del 1975, ci siano state altre band e altri album di jazz-funk che offrivano più o meno gli stessi contenuti degli Azymuth, nessuno di questi era però altrettanto vario e composito quanto il loro storico debutto discografico. Uno strano e particolare mix di psichedelia tropicale, funk,  jazz, musica popolare brasiliana,  samba, e disco che i membri della band soprannominarono "samba doido ", che si traduce come "samba pazza". Gli Azymuth si erano formati come trio nel 1973 con José Roberto Bertrami (tastiere), Alex Malheiros (basso, chitarra), e Ivan Conti (batteria, percussioni): la stessa formazione che li contraddistinguerà per tutta la loro lunghissima carriera (tuttora in corso). Tutti e tre erano stati session man molto attivi negli anni ‘60. Dopo aver suonato in alcune esibizioni live ed aver svolto un’intensa attività di supporto di altri musicisti sia sul palco che in studio, gli Azymuth hanno iniziato la registrazione del loro primo album omonimo nel 1974, completandolo nove mesi più tardi, sarà solo il primo di una lunghissima serie. Il lavoro, vista la premessa, appare fresco, spontaneo e ricco di suggestioni e si articola su dieci tracce piuttosto eterogenee.  La registrazione comincia morbida e delicata sul sognante "Linha do Horizonte", dove il piano elettrico, gli archi synth più il sintetizzatore Moog, la chitarra acustica, la batteria, e il basso  fretless forniscono il giusto contesto a Bertrami per intonare languidamente la bella melodia di Paulo Sergio. Esordio felice dunque, ma questa è solo una piccola parte di ciò che gli Azymuth propongono in questo album. "Melo Dos Dois Bicudos",  che è stato usato da decine di dj per animare le piste da ballo,  è contemporaneamente nervosa e marziale,  è funky samba brasiliano al suo meglio. Ritorno all’atmosfera eterea sul dolce "Brasil", però il groove c’è ed è influenzato non solo dalla jazz bossa brasiliana dei sessanta, ma anche da certo soul-jazz stile Crusaders. "Seems Like This " è invece un ipnotico jazz-funk con le tastiere insinuanti di José Roberto Bertrami, una linea di basso molto incisiva di Alex  Malheiros, e l’esplosivo mix di percussioni di Ivan Conti: come mischiare in parti uguali la disco-soul e il samba psichedelico. "Estrada Dos Deuses" viene introdotta da un synth che suggerisce i suoni che verranno negli anni successivi, per poi lasciare spazio al Rhodes come sempre molto intrigante. Le due tracce finali  sono diventate dei classici che i dj di tutto il mondo non hanno mancato di utilizzare a piene mani per il loro campionamenti. "Manha"  è molto brasilianeggiante ma anche sufficientemente jazz nelle parti di piano elettrico da renderla un brano davvero contagioso. "Periscopio" è invece sette minuti e mezzo di puro funky groove. Il ritmo accellera e rallenta, tutto si arrotola attorno all'ascoltatore come un serpente che non lascia la presa fino a quando un organo irrompe acidissimo. Un riff di clavinet, le percussioni etniche e la batteria funky riconsegnano in ultimo lo stesso organo e la classica linea di basso al finale. Nel corso degli anni gli Azimuth produrranno molti altri bellissimi album, sempre fedeli alla loro formula, sempre coerenti con la filosofia del “samba pazzo”, diventando sempre più raffinati senza mai dimenticare le loro origini. Dagli anni ’80 otterranno anche un discreto successo internazionale culminato con il brano “Jazz Carnival” che fu per anni la sigla del programma televisivo di Rai 2 Mixer . In ogni caso questo loro debutto del 1975, nella sua scarna essenzialità, pur con le ingenuità che le opere prime si portano sempre dietro, si pone come una pietra miliare ed un punto fermo nella storia della band ed è quindi un ascolto caldamente consigliato.