Wayne Shorter – Native Dancer


Wayne Shorter – Native Dancer

Wayne Shorter è certamente uno dei personaggi più importanti della storia del jazz del dopo guerra. Ha iniziato a suonare il clarinetto a 16 anni, per passare al sax tenore prima di entrare alla New York University nel 1952. La sua esperienza di musicista cominciò con Horace Silver, quindi continuò nella band di Maynard Ferguson (dove incontra quello che diventerà il suo alter ego musicale Joe Zawinul) per unirsi in seguito ai Jazz Messengers di Art Blakey per i quali diventerà anche direttore artistico. Nel 1964 l’approdo alla corte di Miles Davis, per dare vita ad un quintetto il cui impatto sarà di grandissima importanza per tutto il movimento jazzistico. Fino al 1970 Shorter contribuirà in veste di compositore a molta della produzione di Davis e soprattutto sarà testimone ed artefice della transizione dal bop al jazz rock, una transizione che vide il suo apogeo nel progetto Weather Report. Fu in questo periodo che Wayne Shorter cominciò ad usare il sax soprano, il cui particolare timbro si era rivelato essere più adatto alla convivenza con i nuovi strumenti elettronici rispetto al sax tenore. In tutto questo percorso non mancano numerosi album da solista che hanno arricchito la sua tavolozza artistica passando dall’hard bop all’avanguardia fino alle interessanti escursioni nel territorio delle contaminazioni tra jazz, rock e funk. Alcuni critici da anni discutono se l’impatto più importante di Wayne Shorter sul jazz moderno sia stato più come compositore o come sassofonista. Nessuno però disputa in merito alla sua valenza come una delle figure di spicco del genere per un lungo arco di tempo. Musicalmente figlio di John Coltrane, Shorter ha però sviluppato una sua personale via alla tecnica dello strumento, più essenziale e tuttavia ancora intrisa della qualità e dell’intensità di un timbro duro e lirico, al quale ha aggiunto con gli anni i caratteristici elementi funk. E quando parliamo del suo approccio al sax soprano, Wayne Shorter è da valutare quasi come un altro musicista: il suo è un bellissimo timbro, brillante come un fascio di luce. La sua sensibilità sembra addirittura incrementare il suo lato più poetico e le sue improvvisazioni si fanno più libere di quanto non appaiano in tutto il resto della sua produzione musicale. Gli anni '70 comunque sono stati un periodo molto intenso e produttivo per Shorter principalmente perché segnano l’inizio dell’avventura con i Weather Report e del sodalizio artistico con il tastierista Joe Zawinul. L’influenza di questa collaborazione e le idee musicali alla base di quel progetto sono i pilastri sui quali un album come “Native Dancer” poggia. Un lavoro che può essere considerato a buon titolo come uno dei piccoli capolavori della jazz fusion di quel periodo. Un disco nel quale oltre alla contaminazione con il funk è fortissima l’influenza della musica brasiliana, certificata dalla presenza del talentuoso cantante Milton Nascimento e del percussionista Airto Moreira. La registrazione vanta poi la presenza dello straordinario Herbie Hancock con tutto il suo set di tastiere e l’immancabile piano acustico. In questo dimenticato gioiello, tutto è teso ad una costante ricerca melodica come nel suggestivo brano firmato da Hancock "Joanna’s Theme" che viene eseguito in duo dal pianista e da Shorter senza alcun accompagnamento ritmico. Ovviamente le canzoni scritte da Milton Nascimento come ad esempio ”From The Lonely Afternoon” o “Ponta De Areia” virano su atmosfere molto etnico brasiliane, ma la voce del sax soprano del leader risplende magica sia nell’esposizione delle melodie che negli assoli.  “The Beauty And The Beast” composta da Wayne Shorter è un bellissimo esempio delle sue doti: il tema è subito accattivante, l’assolo è intensissimo e l’arrangiamento vira decisamente verso il miglior soul jazz strumentale.  “Tarde”, cantata in portoghese da Nascimento, suona struggente e malinconica, in una sorta di fusione tra blues e musica brasiliana. La formula “due” si ripete in “Diana” nuovamente giocata tra i tocchi del pianoforte e del sax soprano. “Ana Maria”, scritta personalmente da Shorter, è invece un numero di bossa nova interpretato magnificamente da tutta la band anche se non si può non sottolineare quanto sia brillante e seducente il timbro del sax soprano del leader. Quanto di più vicino al sound dei Weather Report viene proposto dalla stupenda “Lilia” che corre tra spazio e terra, tra jazz, funk e world music con una naturalezza ed un fascino davvero unici. Se, come spesso fanno, alcuni puristi estremi del jazz potrebbero considerare questo album e la produzione degli anni ’70 di Wayne Shorter come una macchia nella sua carriera artistica, si può  d’altro canto facilmente confutare questa posizione critica. Semplicemente Shorter ha abbracciato con passione e grande impegno la fusione e la sintesi tra jazz e funk, mixando entrambe anche con altre suggestioni. Esattamente come Miles Davis fece da In a Silent Way in poi o come Chick Corea propose con il suo visionario e spigoloso Return To Forever. Per questo Native Dancer è chiaramente tra gli album più importanti di  Wayne Shorter. E’ un fatto che l’influenza, diretta o indiretta, che questo straordinario artista ha esercitato sui musicisti che lo hanno seguito è stata molto importante, basta ascoltare ad esempio un talento di oggi come Branford Marsalis. Come compositore ha saputo costruire delle architetture musicali complesse, articolate, avvolgenti e accurate, molte delle quali sono diventate degli standard del jazz eseguite da una moltitudine di importanti artisti.