Antonio Carlos Jobim – Stone Flower


Antonio Carlos Jobim – Stone Flower

E' stato detto che Antonio Carlos Brasileiro de Almeida Jobim è stato il George Gershwin del Brasile, e vi è un solido fondamento di verità in questo, sia per il contribuito in termini di composizioni regalate al repertorio jazz, sia perchè entrambi vengono identificati come icone musicali dei loro paesi agli occhi del resto del mondo. Con la sua bossa nova, con la grazia sensualmente dolente delle sue melodie, con le suadenti e malinconiche armonie, le canzoni di Jobim hanno fornito ai musicisti jazz degli anni ‘60 una alternativa sorprendentemente originale alle loro tradizionali fonti. Ma le sue composizioni minimali eppure modernissime hanno rappresentato un’epoca anche in proprio, vivendo di una precisa ed unica identità soprattutto nel lavoro solistico del genio di Rio de Janeiro. La grandezza della personalità musicale di Jobim è tutta racchiusa in questa sintesi.  Le radici del pianista e cantante sono state sempre ben piantate nel jazz; i dischi di Gerry Mulligan, Chet Baker, Barney Kessel, ed altri musicisti jazz della West Coast degli anni ’50 crearono un enorme impatto su di lui. Ma Tom Jobim non ha mai nascosto che anche il compositore impressionista francese Claude Debussy ha avuto un'influenza decisiva sulle sue armonie.  Almeno quanto la samba brasiliana ha influenzato tutta la sua musica con il classico quanto esotico schema ritmico che ne è la colonna portante. Registrato nel 1970, nello studio di Rudy Van Gelder nel New Jersey, sotto la produzione di Creed Taylor e la direzione artistica e gli arrangiamenti di Eumir Deodato, Stone Flower è semplicemente una delle sue opere più riuscite e sorprendenti.  Certamente è uno dei punti più alti della sua produzione discografica. Quasi un decennio dopo il periodo d’oro che vide il dominio della bossa nova in entrambe le classifiche pop e jazz, Creed Taylor riuscì nell’impresa di riportare la musica di Jobim di nuovo alla ribalta. Stone Flower è stato registrato da una band di tutto rispetto, che includeva sia Jobim che Deodato al pianoforte, Ron Carter al basso, João Palma alla batteria, Airto Moreira e Everaldo Ferreira alle percussioni, Urbie Green al trombone, Joe Farrell al sax soprano e al flauto, e Harry Lookofsky al violino. L’album è talmente bello che è perfino inutile esaminare le singole tracce: va quasi preso come una lunga suite che si snoda per tutta la sua durata senza soluzione di continuità. Ogni cosa sembra trovare magicamente la giusta collocazione: il trombone che delinea le suadenti melodie, il pianoforte che punteggia e sottolinea con brevi e sintetici tocchi i fraseggi di tutti brani, una sintesi armonica caratterizzata da una semplicità disarmante. Stone Flower è pervaso di un’atmosfera di intimità e di calore arricchita dalla ritmica che è già di per sé il paradigma stesso della bossa nova nella sua essenza più profonda. La musica di Jobim è tuttavia solo all’apparenza semplice, dato che in realtà è tanto sofisticata quanto armonicamente complessa. Una citazione particolare va fatta per due brani, tra gli altri, che sono a mio parere due capolavori assoluti: “Wave” e “Triste”, non a caso sono canzoni tra le più utilizzate dai migliori jazzisti degli ultimi cinquant’anni per innumerevoli e spesso magnifiche interpretazioni. Stone Flower è, in una parola, geniale: è un quadro impressionista del Brasile più bello, è come una splendida fotografia del panorama di Rio scattata da una “Rolleiflex”,  è la “bambina dal corpo dorato dal sole di Ipanema” che tutti vorrebbero guardare (ascoltare).  E’ “Il mondo che sorridendo si colma di grazia e diventa più bello”… con il sottofondo di questa musica suggestiva. (Tutto) questo è la bossa nova, questo è molto naturale, è Jobim.