Rah – God’s Music


Rah – God’s Music

Rah: dietro questo acronimo che evoca la mitologia egizia, si cela un misterioso personaggio il cui vero nome è Richard Adolphus Harrison: R.A.H. appunto. Batterista, compositore e produttore, Rah è uscito a fine 2019 con un album interessantissimo intitolato God’s Music, un debutto che è stato davvero una grande rivelazione. E’ un piacere scoprire (in modo totalmente casuale) che in giro per il mondo ci sono musicisti in grado di pubblicare un’opera prima di questo spessore artistico. Prodigio musicale nato nel Bronx, Richard Adolphus Harrison ha fatto tanta gavetta prima di arrivare a registrare God’s Music: ma la sua determinazione ed il suo talento sono stati ripagati dal risultato finale. In questa miscela ben curata di jazz, funk, neo soul e prog rock, che sintetizza tutta la varietà delle sue influenze si possono trovare condensate le abilità di Richard Harrison. Come detto, Rah ha la sua base operativa a New York, nel Bronx, ed è quindi figlio di quella peculiare cultura urbana così ben radicata nel cuore pulsante della Grande Mela. Ma non aspettatevi il solito hip hop o un banale rapper, quello che Rah propone a livello musicale è un vero crossover di stili musicali che hanno come denominatore comune la ricerca e l’innovazione. Sofisticata e complessa, la sua musica non indulge a tentazioni commerciali, nemmeno nei pochi brani cantati. Forse anche perché è arrivato dopo molto tempo e tanto lavoro, c’è moltissimo materiale su God’s Music, ben 16 tracce, ed ognuna di queste ha una storia da raccontare ed un’emozione da regalare. La particolare esperienza di ascolto che riserva l’album è un originale viaggio attraverso molti generi: dal funk allo smooth jazz. Ma non solo, dato che incredibilmente da questo sorprendente lavoro escono sonorità che si avvicinano anche al jazz rock e addirittura al progressive per poi improvvisamente arrivare perfino ad un inatteso jazz be bop. Insomma il famoso melting pot di New York, per Rah diventa un crogiuolo di stili che si alternano uno dietro l’altro. Per mettere in pratica un progetto tanto ambizioso quanto complesso come God’s Music Harrison non ha certo fatto tutto da solo: si è avvalso della collaborazione di alcuni eccellenti musicisti dell’area newyorkese come Ron Gibbs, Monte Croft, Ragan Whiteside, Gary Poulson, Dennis Johnson, Carl Bartlett, Meighstro Curwen, Kenyatta Beasley ed altri. God’s Music è un album prevalentemente strumentale, dei 16 brani che lo compongono solamente tre sono cantati ed in ultima analisi sono i momenti meno interessanti del disco. Vibe, Sunride e The Way You love me sono tre originali esempi di neo soul che pur non risultando banali o scontati non raggiungono i livelli delle parti strumentali. L’apertura di God’s Music è affidata al flauto di Ragan Whiteside nel più smooth jazz dei brani, nel quale si fanno notare subito il drumming di Harrison e la chitarra di Ron Gibbs. Modern Metropolis proietta invece l’ascoltatore in un atmosfera diversa: ricorda alcuni passaggi del George Duke di Brazilian Love Affair, ma soprattutto vanta una ritmica molto intrigante. I’ll Be Back è bellissima nel suo incidere funk jazz dai toni vintage. L’arrangiamento è molto ben riuscito con i fiati anni ’70 che intonano un riff accattivante e un nuovo assolo degno di nota di Gibbs. Putting On Ayers, come già il titolo lascia intendere, vuol essere un omaggio al grande vibrafonista Roy Ayers. Il vibrafono c’è ed è suonato da Monte Croft, la chitarra è quella di Gary Poulson, questa volta dai toni jazz rock, domina il pezzo con ricami deliziosi e potenti. Una delle composizioni più belle è la successiva Confidential: una traccia in stile fusion, anche in questo caso impreziosita dai contrappunti di fiati e da un magnifico assolo di tromba di Kenyatta Beasley. A cavallo tra gli strumentali degli Earth Wind And Fire degli anni ’70, George Duke ed il progressive rock è invece la title track. Un numero veloce e dinamico, complesso e articolato. Il prog resta nelle corde di Rah con Worm Holes In Space: con una batteria sincopata il pezzo si dipana in quei territori di confine che furono dei Brand X o di alcune band di Canterbury. E poi arriva Her, ed a sorpresa Rah da un ulteriore saggio della sua poliedricità sfoderando dal suo magico cilindro un pezzo di puro be bop. Pieno di swing e di energia jazz ci permette di godere dell’assolo di sax di un fenomeno come Carl Bartlett. Dal mio punto di vista è il top dell’intero album. In verità a me piace moltissimo anche Consciuousness, un'altra dimostrazione di quanto possa ancora essere fluido e moderno il jazz rock. New Millenium 4 ci riporta ai confini tra il prog rock ed il contemprary jazz, con un mood quasi spaziale nel quale sembra perfettamente a suo agio la chitarra di Gary Poulson. Black Silk è ipnotica e intrigante, avvolgente e piuttosto enigmatica: una sorta di nu jazz corroborato da un groove rock ed elettronico. Più o meno la stessa atmosfera si respira nella successiva Taken A Drive Down I95, ma qui ci si sposta di più  (e nuovamente) sul versante jazz rock. L’album si chiude con 630 ed ancora una volta si apprezza la batteria di Harrison a sostenere la complicata ritmica di un ulteriore sconfinamento nella fusion. God’s Music mi è piaciuto moltissimo. Ho apprezzato il modo vario e sofisticato di intendere la batteria da parte di Rah, ma più ancora di questo ho trovato davvero molto interessanti le sue composizioni. In un volo esaltante tra generi diversi, Richard Adolphus Harrison riesce a trascinare l’ascoltatore con continui passaggi tra atmosfere e stili, epoche e tendenze senza mai annoiare, ma anzi stimolando curiosità e attrattiva praticamente dall’inizio alla fine. Una dote rara in qualsiasi lavoro discografico, a prescindere dal genere, ma anche dai periodi storici. Secondo me God’s Music è uno degli album più belli del 2019, ed in attesa di quello che Rah proporrà in futuro, possiamo godercelo ancora per molto tempo. Il mio consiglio è di ascoltarlo al più presto.