Andy Bey – Shades OF Bey


Andy Bey – Shades OF Bey

Il cantante preferito di John Coltrane. Questo è il marchio che Andy Bey si porta appresso: tuttavia lui è uno dei tanti artisti del jazz non abbastanza celebrati e, seppur goda di un piccolo seguito che lo apprezza senza riserve, non è così famoso come dovrebbe essere. Bey è un interprete che possiede una ampia gamma vocale, che parte da una tonalità su base baritonale, ricca e piena, ma può estendersi con naturalezza anche più in alto. Nato e cresciuto a Newark, nel New Jersey, non lontano da New York, Bey ha avuto frequentazioni con il jazz fin da bambino iniziando a cantare di fronte al pubblico già all'età di otto anni. Curiosamente in alcune di queste esibizioni era accompagnato da un grande del sax tenore come Hank Mobley. Incredibilmente Bey aveva solo 13 anni quando, nel 1952, registrò il suo primo album da solista, Mama’s Little Boy's Got the Blues e ne aveva 17 quando formò il gruppo Andy & the Bey Sisters con le sue sorelle Salome e Geraldine. Il gruppo registrò anche tre album (uno per la RCA Victor nel 1961, due per la Prestige nel 1964 e 1965), prima di sciogliersi nel 1967. La voce da baritono di Andy Bey è ovviamente invecchiata con il passare degli anni, ma lo ha fatto con un processo di maturazione e se vogliamo di evoluzione che l’ha persino migliorata. Oggi suona ancora più calda e pastosa che agli inizi della carriera. Sull’album Shades of Bey datato 1998, la bella voce di Andy Bey arde di un fuoco intimo e coinvolgente. Proseguendo con l'atmosfera raccolta e riflessiva iniziata in modo mirabile sul precedente disco per solo piano e voce intitolato Ballads, Blues e Bey, anche qui il cantante afroamericano si esibisce in due brani accompagnato solo da una chitarra (al posto del piano): "Like a Lover", che è un adattamento vocale di "O Cantador" e " Drume Negrita ", che invece è una "ninna nanna afro-cubana". Sul resto delle tracce è viceversa accompagnato da un variegato gruppo di musicisti che assecondano a dovere il talento di Bey durante le parti strumentali, mantenendo una omogenea continuità di atmosfere. Un clima da notte fonda, profondo, caldo ed interiore. Andy non interpreta il canto con un eccesso di variazioni tonali, (anche se in "Last Light Of Evening" fa un uso efficace del suo falsetto) piuttosto  preferisce alternare con parsimonia la sua pur ampia gamma vocale. Predilige usare la voce per creare un'atmosfera intensamente confidenziale, che brilla di passione sincera senza scivolare nell’esagerazione. Tuttavia se vuole può anche essere esuberante, come nel delizioso scat di "Believin 'It". Su quella traccia, così come su "Straight, No Chaser" di Monk (qui chiamata "Get It Straight") Bey mette in atto una particolare interpretazione jazzata del rap che si alterna con una vocalizzazione in tecnica scat. Un modo sorprendente per illustrare a modo suo la continuità tra due tradizioni musicali che a prima vista potrebbero sembrare mondi a parte. Andy Bey è anche un abile pianista, che adatta con sensibilità ed una notevole agilità il suo strumento alla voce. Un buon esempio lo troviamo nelle due ballate "Some Other Time" e "Dark Shadows", quest’ultima con un bellissimo andamento blues. Ma è altrettanto valido nell’accompagnarsi nella romantica "Midnight Blue", oppure in "Believin'It" e  nell'indimenticabile "Blood Count" di Billy Strayhorn (ridenominata "Last Light Of Evening". Geri Allen si siede al piano al posto di Bey in "The Starcrossed Lovers" di Ellington ("Pretty Girl" nella versione di questo disco) e dimostra lo stesso orecchio educato e sensibile del cantante nell’adattarsi agli altri musicisti. Piuttosto sorprendente è la cover di "River Man" di Nick Drake, un brano singolare e appassionato reso con trasporto da un ispirato Andy. Una nota gradita tra i membri della band è la presenza del sax di Gary Bartz, il cui contralto è magnifico in "Midnight Blue" e solamamente un filo più sobrio, ma non meno preciso e fiammeggiante in "Dark Shadows" e "The Last Light of the Evening". Bartz e Bey condividono un destino comune: sono grandi interpreti del jazz che non hanno ricevuto fino in fondo i riconoscimenti che meritavano. Un grande fallo della critica che avrebbe dovuto essere più attenta nei confronti di artisti che invece hanno lasciato un segno tangibile del loro talento. La speranza è che un album bello ed intenso come Shades Of Bey, realizzato con il cuore e con ottima tecnica possa restituire sia a Andy Bey che, di riflesso, a Gary Bartz almeno parte dell'attenzione che meritano.