Dave Koz And Friends – Summer Horns



Dave Koz And Friends – Summer Horns

Dave Koz è uno tra i più famosi sassofonisti contemporanei di smooth jazz. Nato in California, ha studiato musica, ma si è anche laureato  in scienze della comunicazione alla UCLA. Tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 decide di dedicarsi a tempo pieno alla sua vera passione: il sax. Nel frattempo era stato turnista di Bobby Caldwell, Jeff Lorber e Richard Marx. Nel 1990 ha firmato un contratto discografico con la Capitol Records e ha pubblicato il suo primo album. Ha ricevuto immediatamente ottimi riscontri con due candidature ai Grammy Award. Al contempo si è esibito dal vivo in tournée in varie parti del mondo ed ha fatto anche molta radio, in particolare nel suo show “The Dave Koz Morning Show”, portato avanti fino al 2007. Questo album del 2013, è ispirato dalle classiche band pop, funky e R&B degli anni '60 e '70, caratterizzate da un uso massiccio dei fiati, come i Chicago, i Tower of Power o gli Earth, Wind and Fire. Per questo particolare progetto, Dave, che è ormai una superstar dello smooth jazz ed ha pubblicato molti altri album a suo nome, ha invitato tre famosi colleghi come Mindi Abair, Gerald Albright e Richard Elliot, tutti sassofonisti come lui. Ecco dunque formato una sorta di roboante quartetto di stelle del contemporary jazz. Il risultato di questa alleanza musicale è Summer Horns, una raccolta di covers di brani dell'epoca d’oro delle band prima citate che vuole rendere un tributo a quel particolare modo di fare musica ma cerca anche di evocare lo spirito divertente e spensierato dell'estate. Va detto che i quattro dimostrano un evidente cameratismo: interpretano la partecipazione a questo album con un intento univoco, senza protagonismi, ma come vedremo senza davvero convincere. Tutto il progetto si avvale degli arrangiamenti di alcuni veterani di prim'ordine. C’è molta opulenza in Summer Horns, questo è fuor di dubbio, così come tutto appare perfettamente tirato a lucido e realizzato con competenza. E allora che cosa potrebbe andare storto a fronte di un impegno così professionale? In realtà molte cose non vanno per il verso giusto. Il problema principale di Summer Horns è il suo partire dal presupposto che se “molto” è bene, allora “di più” deve essere meglio. Ma abbondare non è sempre una cosa raccomandabile. In certi casi è solo più di quanto sia veramente necessario. Dunque l’album zoppica principalmente per questo motivo. Una mancanza di personalità che fa pensare che se, per assurdo, sostituite i 4 del progetto con altri sassofonisti presi dal vasto panorama dello smooth jazz,  probabilmente il risultato non cambierebbe di molto. I brani rimarrebbero più o meno gli stessi e gli arrangiamenti di Greg Adams, Tom Scott, Gordon Goodwin, Marco Basci e dello stesso Albright suonerebbero sempre sufficientemente a fuoco senza mai risultare davvero impressionanti. Insomma questo è il classico album formalmente ineccepibile che nella sostanza manca di cuore e convinzione. A questo non sfugge nemmeno la scelta dei brani inseriti nella raccolta. Il concept che prevede solo covers (tranne un pezzo) potrebbe essere stato guidato dal desiderio di far risuonare dei classici familiari a tutti con un abito moderno o più semplicemente è dovuto al fatto che i 4 sassofonisti non avevano il tempo di comporre materiale completamente nuovo e originale. Difficile a dirsi, ma la seconda ipotesi sembra tristemente la più probabile. L'urgenza di compiacere invece di incuriosire l'ascoltatore è ciò che rende Summer Horns un bell’involucro, anche allettante, ma vuoto. È simile a un film di successo con un cast stellare ed effetti speciali strabilianti che vi fa passare un'ora e mezza, ma non lascia alcuna impressione a lungo termine. Il talento dei protagonisti è indiscusso, ma in ultima analisi non lascia il segno. Nell’unione dei quattro musicisti è come se ci fosse una sorta di freddo calcolo commerciale finalizzato al successo nelle vendite: proprio ciò da cui ogni vero appassionato di jazz da sempre cerca di sfuggire. In ogni caso il disco scorre fluido e senza sussulti da un pezzo all’altro: e molti sono brani che non faticherete a riconoscere. Da Take Five di Brubeck a God Bless The Child, da You Have Done Nothing di Stevie Wonder a Hot Fun In The Summertime di Sly and the Family Stone. Non mancano I feel Good di James Brown, Always There  di Ronnie Laws e Reasons degli EW&F. Una parata di ospiti prestigiosi completa il quadro con la sfilata di Brian Culbertson, Michael McDonald, Jeffrey Osborne, Rick Braun e Jonathan Butler. Il momento migliore e forse l’unico interessante di tutto il disco arriva alla fine con "Summer Horns", ma suona quasi come una beffa: fa presagire cosa avrebbe potuto essere questa grande collaborazione se Dave Koz e compagni avessero scelto di osare di più e non giocare in difesa, alla sola ricerca del facile successo. Peccato, è un’occasione sprecata, ma tranquilli… come sottofondo di un viaggio in auto o di una serata in compagnia Summer Horns può andare bene lo stesso.