Bobby Timmons - This Here Is Bobby Timmons


Bobby Timmons - This Here Is Bobby Timmons

Personalmente nutro un profondo rispetto per gli artisti che, pur essendo dotati di talento, restano quasi sempre nell’ombra e al massimo sono riconosciuti principalmente per il loro ruolo di accompagnatori. Nel jazz, più che in ogni altro genere musicale, a volte si tende a sottovalutare l'importanza dei sideman, come vengono definiti, eppure molti di questi musicisti sono da considerare spesso indispensabili per il successo delle band per le quali hanno lavorato. Oggi vorrei parlare di uno di loro: lo sfortunato e tormentato Bobby Timmons, un pianista inconsueto e talentuoso, che nel suo modo di suonare si pone al confine tra il jazz, il soul e il gospel. Bobby ha iniziato la sua carriera nello specifico contesto dell'hard bop, ma ha finito per sperimentare anche altre correnti, sfiorando in ultimo le atmosfere del jazz-funk. Nonostante il suo talento, il suo stile davvero atipico e caldo e la tecnica che lo distingue, purtroppo non è stato in grado di costruire una carriera solistica ricca e compiuta quanto avrebbe meritato. In realtà molto è dipeso probabilmente dagli eccessi e dalle scelte di vita sbagliate, che ne hanno limitato la crescita e, a dispetto di un indubbio talento, lo hanno condotto ad una morte prematura a soli 38 anni. Timmons, nato nel 1935, era originario di Philadelphia ed il suo stile è stato influenzato dalla crescita all’interno della sua stessa famiglia, in particolare da suo padre che era un pastore protestante. Appassionato di musica fin dalla prima infanzia, ha suonato nelle chiese prima ancora di esibirsi come pianista a livello locale, non senza aver studiato in una scuola di musica. A metà degli anni ’50. per dare un senso alla sua carriera di musicista, si trasferisce nella città dove era fondamentale vivere per sfondare nel jazz: New York. Gli ci vollero circa 2 anni per affermarsi e farsi notare, ma dopo alcuni momenti difficili finì per essere assunto nel 1956 da Kenny Dorham, Chet Baker e poi nel 1957 da Lee Morgan, Hank Mobley, Sonny Stitt e Frank Morgan. Forte di queste esperienze e grazie alla fama dei nomi che lo avevano ingaggiato, attirò l'attenzione del circuito jazzistico finché non fu notato nel 1958 da Art Blakey che gli offrì un posto nei suoi Jazz Messengers. La band era nota per essere una vera fucina di talenti e se all’inizio Bobby Timmons era conosciuto principalmente come un giovane e dotato pianista, con Art Blakey & The Jazz Messengers, fece presto il passo successivo, migliorando il suo modo di suonare, la sua creatività e soprattutto iniziando a comporre musica in prima persona. Tornando a quanto detto nell'introduzione di questa recensione, il ruolo di sideman era in realtà molto importante e a volte diventava imprescindibile per il successo di un band leader. Un esempio lampante è la sua partecipazione a uno dei più grandi capolavori del jazz: Moanin' di Art Blakey & The Jazz Messengers del 1958. Alla fine degli anni ’50 il suo successo cominciò dunque a diventare tangibile e le opportunità bussavano alla porta, in particolare quando iniziò a collaborare con Cannonball Adderley. Purtroppo fu anche il momento in cui l’abuso di sostanze stupefacenti cominciò a minare seriamente il suo futuro. Al di là dei suoi problemi personali riuscì ad ottenere la possibilità di fare il suo esordio da solista con l’album This Here Is Bobby Timmons. Registrato in due sessioni per la Riverside nel gennaio 1960 e pubblicato più tardi nello stesso anno, Bobby Timmons si avvalse di Sam Jones al basso e Jimmy Cobb alla batteria, entrambe abituali membri della band di Cannonball e Nat Adderley. Bobby aveva già suonato 3 mesi prima con Sam Jones nell'album live The Cannonball Adderley Quintet In San Francisco, ma questa era la prima volta che lavorava con Jimmy Cobb, che comunque era un batterista di alto livello. This Here Is Bobby Timmons è un grande album, che racchiude tutta l’essenza pianistica di questo sfortunato musicista, tanto brillante quanto atipico. Innanzitutto si è riappropriato di Moanin' e Dat Dere, le sue composizioni diventate poi degli standard e che sono qui eseguite in versione jazz trio. Inoltre la registrazione vede Timmons esprimersi al suo meglio, con uno stile molto vivace ed emozionante, pieno di brio e creatività. L’album contiene alcune delle sue più belle composizioni originali, suonate in maniera impeccabile come raramente il pianista riuscirà a fare in seguito. Ma il disco è anche musicalmente piacevole, permeato da un jazz atipico ed estremamente orecchiabile e al contempo audace e creativo. C’è spazio anche per ascoltare Timmons in perfetta solitudine al pianoforte alle prese con un classico standard come  l’immortale Lush Life. Analizzando i suoi primi anni di carriera, e prendendo in seria considerazione il suo talento cristallino, viene spontaneo pensare che Timmons avrebbe potuto raggiungere vette molto più importanti. Purtroppo così non è stato e Bobby ha subito una regressione artistica costante dopo l'uscita di questo album, interrotta solo da sporadici momenti di lucida professionalità. Timmons aveva la possibilità di lasciare una traccia molto più marcata nella storia del jazz prima di andarsene così giovane. Ma la storia di questo genere musicale ci ha purtroppo insegnato troppe volte quanto questo sia spesso difficile ed i problemi personali o le dipendenze possano compromettere e distruggere anche la più promettente delle carriere.