Brandford Marsalis - Renaissance


Brandford Marsalis - Renaissance

In generale sono in molti a credere che il jazz abbia raggiunto il suo apice tra l’inizio e la fine degli anni '60, ovvero prima della sua controversa svolta elettrica sfociata all’inizio nelle contaminazioni funk e rock e poi più avanti nello smooth jazz. In realtà verso la fine degli anni ’80 emersero alcuni nuovi e giovani talenti come, tra gli altri, i fratelli Marsalis, i fratelli Brecker o Chico Freeman e Joshua Redman che abbracciarono lo spirito dei bei tempi del jazz. Inoltre molti veterani, a lungo affascinati  dalla fusion, come Freddie Hubbard, Joe Henderson o lo stesso Herbie Hancock, tornarono alle radici della musica afroamericana optando per le classiche soluzioni acustiche. In queste ultime il jazz ritrovò  una nuova e forse mai sopita serietà e integrità artistica, tanto apprezzata quanto forse inattesa. Brandford Marsalis, il più giovane dei due fratelli, sassofonista di talento, rappresenta al meglio questa nuova tendenza, ponendosi ai vertici di una fresca ventata di ritorno alla tradizione, pur non disdegnando escursioni in varianti più leggere e contemporanee (famosa è la sua collaborazione con Sting, ad esempio). Branford deriva il proprio stile da John Coltrane e dal post bop, ma è dotato di una propria personalità ed inventiva musicale che si rivela soprattutto quando improvvisa o suona dal vivo. Siamo nel 1988 e l’uscita di un album come Renaissance non ha fatto altro che ribadire la bravura e la creatività del giovane Brandford. In quel preciso momento storico, questo disco rappresentò una delle uscite più entusiasmanti per quanto riguarda il sassofono: un degno seguito al precedente Royal Garden Blues del 1986. I due fratelli Wynton e Branford, quando quest'ultimo lasciò il quintetto del primo, scelsero di intraprendere carriere separate con i propri quartetti: a ciascun dei due venne a mancare lo strumento dell’altro. Le band con un solo strumento a fiato (tromba o sassofono) creano una musica intima, vulnerabile e molto rivelatrice, con una grande responsabilità affidata al solista. Wynton sembrava sempre più un razionale e iper tecnico tradizionalista, sia nelle sue registrazioni classiche che in quelle jazz, con una sua personale ossessione per il suono ed il ritmo assolutamente canonici. Branford, per contro, forse con non meno tecnica, si esprimeva molto più spontaneamente, proprio per la gioia di suonare. Le sue registrazioni erano più libere, più rilassate, meno tese: semplicemente più swing e più groovy. Renaissance inizia con la vertiginosa "Just One of those Things", seguita da "Lament" di J.J. Johnson, una melodia sofisticata in cui Marsalis fa sua la malinconia di Dexter Gordon senza però indulgere alla tristezza. Dopo il breve assolo di piano di Kirkland, Marsalis ritorna con un’altra performance di spessore. Ciò che segue è "The Peacocks" di Jimmy Rowles, la vera chiave di volta dell'album, un brano di 15 minuti dai toni impressionisti, in cui Marsalis esibisce tutta la sua poesia musicale e la sua lirica espressività. Herbie Hancock e Buster Williams lo accompagnano in questo lungo assolo, riempiendo con discrezione e delicatezza la composizione. E’ un pezzo che emana grande pace e ariosità ma con un alone di mistero: il sax soprano di Marsalis tratteggia una mutevole e sensuale melodia dove le sorprese armoniche abbondano. Si può dire senza esagerare che "The Peacocks" sia proprio allo stesso livello di "Naima" di Coltrane e "Footsteps" e "Penelope" di Wayne Shorter, giusto per inquadrarne meglio l’atmosfera. Il proseguimento dell'album è tutto più movimentato e dinamico. "Love Stone" di Tony Williams alterna con grazia il ritmo e qui il tono caldo e morbido del tenore di Marsalis compensa meravigliosamente il tortuoso turbinio di note del suo assolo. "Citadel", sempre di Williams ricorda le melodie più spigolose di Shorter degli ultimi Weather Report, inizia con il tenore e finisce con il soprano. Marsalis, che è un vero maestro del sax soprano, nel suo "The Wrath (Structured Burnout)" evidenzia come i suoi assoli siano danzanti, liquidamente geometrici, intricati e fluidi al tempo stesso. In ultimo c’è il tributo a Sonny Rollins con la popolare "St. Thomas": il brano è stato registrato dal vivo su un portatile Sony e suonato con un'ancia molto rigida. eseguito senza accompagnamento, mette in mostra tutta la perizia di Marsalis nell’interpretare un brano complesso in perfetta solitudine. In tutti i sette brani, tranne due, la band di base è Marsalis sax, Kirkland piano, Hurst basso e Tony Williams batteria. La sezione ritmica è molto solida e viva: Kenny Kirkland è un pianista che ormai da molto tempo è tra i jazzisti più talentuosi sulla piazza. Tony Williams rimane un grande batterista come sempre, irrequieto e dinamico come pochi. Bob Hurst è parimenti un poderoso contrabbassista in grado di offrire un accompagnamento serrato e pulsante. Sul finire degli anni '80, in mezzo ad un mare di jazz smaccatamente commerciale, fortemente contaminato dal funk, dall’r&b e dalla musica easy listening, Renaissance fu un album straordinario, in grado di consacrare lo straordinario talento jazzistico del giovane Brandford Marsalis. Insieme ad altre nuove leve, rampanti ed ambiziose rappresentò al meglio una nuova tendenza che ricollocava il jazz nella sua giusta dimensione. E’ un ascolto che consiglio caldamente.