Hank Mobley – Soul Station


Hank Mobley – Soul Station

L’innovazione nel jazz è una cosa stimolante, non c’è dubbio su questo. Però è altrettanto vero che i musicisti che si collocano all'avanguardia nell'esplorazione di nuove strade e idiomi inediti  possono anche allontanarsi dal pubblico lasciando in molti una sensazione di disorientamento. E’ sempre molto difficile coniugare la ricerca con la fruibilità: da un lato si può ottenere il plauso universale della critica, dall’altra il gradimento incondizionato di una folta schiera di appassionati. In definitiva cercare e trovare un equilibrio tra le due cose è estremamente raro e complesso. Il sassofonista Hank Mobley fu descritto dal critico musicale Leonard Feather come "il campione dei pesi medi del sax tenore", per indicare la qualità del suo suono, a metà strada tra l'aggressività di John Coltrane e la dolcezza di Stan Getz. Il suo stile rilassato, raffinato e melodico, in netto contrasto con quello di capiscuola come Coltrane e Sonny Rollins, e il fatto di aver rimpiazzato lo stesso Coltrane subito dopo che questi abbandonò il gruppo di Miles Davis, fecero sì che il suo talento venisse pienamente apprezzato solo dopo la sua morte. In ultima analisi va sottolineato che l'influenza principale di Hank Mobley resta quella di Lester Young e le sue radici vanno collocate nel solco della tradizione bop. Mobley era un uomo molto riservato e della sua vita privata non si sa praticamente nulla. Certo non sarà mai ricordato come un grande progressista del jazz, tuttavia non si può fare di questo una discriminante nel giudicarlo; di fatto dal suo sax è uscita molta buona musica. Un esempio della quale è certamente il suo classico del 1960, Soul Station. La band di Mobley in questo disco è già di per se motivo di assoluto interesse: Art Blakey alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso, Wynton Kelly al pianoforte e ovviamente Hank Mobley stesso al sassofono tenore. Fin dalla prima nota, il gruppo di Hank ci regala un album stracolmo di un indimenticabile e ben suonato hard bop. Ascoltare ad esempio la loro interpretazione del classico "Remember" di Irving Berlin ci fa iniziare l’ascolto dell’album con una performance vivace e solida nella quale Hank dimostra subito le sue superbe doti di musicalità. Il pianista Wynton Kelly e il bassista Paul Chambers si prendono il loro assolo a metà del brano, dimostrandoci che sebbene l’album sia a nome di Mobley, in effetti  questo è davvero uno sforzo corale. Il sempre propulsivo e gagliardo drumming di Art Blakey ha la sua occasione di brillare verso la fine di "This I Dig Of You": è un assolo di batteria completo e senza interruzioni. "Split Feelin's" parte un po’ come una sorta di vivace samba swing ma si trasforma presto in una veloce jam pervasa da uno spirito esuberante e positivo. E’ inusuale la dissolvenza finale, non molto in uso nei dischi di hard bop. Ma il punto focale dell’album è senz’altro la formidabile title track: "Soul Station" sono nove minuti e otto secondi di beatitudine jazz con il blues sullo sfondo e il groove sempre in primo piano. È proprio qui che la band brilla: Blakey, Chambers e Kelly offrono un supporto ritmico e armonico fantastico. L'accompagnamento di Wynton Kelly è davvero brillante, e la sua interazione con Blakey e Chambers è talmente perfetta che andrebbe fatta ascoltare nelle scuole di jazz. Hank Mobley mette in mostra il suo talento e soprattutto il suo stupendo fraseggio,  iniziando con il memorabile riff della canzone e proseguendo con alcuni degli assoli più lirici che ci abbia mai offerto. Il suo modo di suonare è fluido, pieno di sentimento e quanto mai appagante. La traccia finale "If I Should Lose You" chiude il tutto nello stesso modo in cui "Remember" lo apre. Hank, Wynton, Paul e Art ci mostrano la loro forza soprattutto nel finale, ma invece dei muscoli, ciò che risalta sono piuttosto l’abilità e la raffinatezza. Tutto Soul Station è permeato da un profondo senso dello swing, da una gioiosa sensazione di musicalità e da un interplay perfetto tra i quattro musicisti. In fondo è proprio questa l’essenza stessa del jazz. Il ritmo e la dinamica costante sono gli elementi chiave di Soul Station. È un album stimolante, che non si ferma mai e, una volta entrato nel brano con le battute di apertura, mantiene coerente quella intensità. I pezzi non suonano mai fuori controllo, sono invece rilassati e sciolti, fluidi e impeccabili. Se si può riscontrare come non abbondino i cambi di tempo nel contesto di un singolo brano, né  ci sono transizioni complesse, questo non significa tuttavia che le canzoni siano noiose e questo è merito della qualità eccellente sia della scrittura che delle interpretazioni. Il fatto che l’album sia stato registrato in un'unica sessione probabilmente ha giovato all'atmosfera agile e spontanea di Soul Station. A volte il materiale musicale che richiede troppo tempo per essere inciso perde quella scintilla di freschezza e di immediatezza che invece qui sono ben presenti. Ai detrattori di questo sassofonista consiglio di ascoltare attentamente ogni sua singola nota. In realtà Hank è un maestro in grado di suonare a tratti rotondo e morbido, altre volte duro come una roccia, o ancora con una voce carica di soul e blues. Il suo stile rilassato a volte può sembrare pigro e i critici lo hanno sicuramente pensato. Al suo apice negli anni '50 e '60, Mobley fu infatti ignorato dalla critica. In un'epoca in cui John Coltrane e Sonny Rollins stavano incendiando il mondo il suo modo di suonare sembrava semplice e privo di rinnovamento, eppure questo giudizio appare non solo ingeneroso ma anche distorto. L’ascolto del superbo Soul Station può contribuire a rimettere le cose a posto e a dare ad Hank Mobley il rispetto che merita. Questo è un album con una sua originalità che non è mai derivativo e soddisferà gli ascoltatori che sono alla ricerca di un jazz hard bop gustoso ed esemplare. Con Soul Station, Hank Mobley ci ha regalato un album ben realizzato e piacevole che non solo è accessibile ma è anche di grande qualità. Ciò che manca in termini di innovazione, lo compensa con la pura musicalità. Soul Station è un tesoro del jazz e di certo è un lavoro che vale la pena di aggiungere a qualsiasi discoteca.