Thelonious Monk – Brilliant Corners


Thelonious Monk – Brilliant Corners

Quando, da giovane studente, stavo piano piano scoprendo il jazz, Thelonious Monk sembrava incarnare tutta l'originalità artistica, l'indifferenza verso le regole e l’innocente eccentricità che amavo nella musica afroamericana. Il grande critico musicale Arrigo Polillo e la sua Storia del Jazz me lo decantavano come un gigante, un genio, eppure io faticavo a comprenderlo fino in fondo. Gli assoli di piano di Monk mi apparivano pieni di dissonanze, presentavano dei salti improvvisi oppure si chiudevano in pause inopinate. Era qualcosa di affascinante e al tempo stesso spiazzante, soprattutto paragonandolo allo stile di altri grandi jazzisti dell’epoca.  E ci volle del tempo perché imparassi ad amarlo veramente. Ma le sue sorprendenti composizioni (ora riconosciute come punti di riferimento musicali moderni, indipendentemente dal genere) avevano in sé una strana, inelegante bellezza che reinventava improvvisamente la melodia, ricostruiva il concetto stesso di armonia e anche quello del ritmo. Un jazz tutto particolare, meno pirotecnico e spettacolare di altri e tuttavia straordinariamente creativo. Nel 1956 Thelonious aveva appena perso tutto nell’incendio della casa dove aveva vissuto per 35 anni. Tutto: quadri, arredi, il pianoforte, le partiture, insomma ogni cosa che avesse realmente valore per lui. Era in un momento cruciale della sua carriera in quanto pur avendo già registrato una ventina di album, non era ancora riuscito a conquistare veramente il pubblico. Era considerato troppo duro, troppo spigoloso, addirittura c’era chi lo riteneva un modesto musicista. Ma Monk era un uomo ostinato e caparbio per cui decise di non mollare e tirare dritto, ripartendo da un momento difficile per lanciarsi di petto verso il suo progetto musicale e in qualche misura verso il suo destino di genialità. Nasce così Brilliant Corners, il suo capolavoro. Un album registrato per l'etichetta Riverside nel 1956 con una band di prima categoria che comprendeva tra gli altri il sassofonista Sonny Rollins e l'ex batterista di Charlie Parker, Max Roach oltre che Oscar Pettiford al basso e Clark Terry e Thad Jones alla tromba. Si tratta del terzo disco di Monk registrato per l'etichetta Riverside ed il primo, sempre per la Riverside, ad includere brani di sua propria composizione. Per merito della sua rilevanza storico-musicale, l'album è stato incluso nella Hall of Fame dei Grammy nel 1999. E’ da considerare come la sessione più ambiziosa dal punto di vista compositivo nella decennale carriera jazz del grande Monk. La complessa title track dell'album, richiese più di una dozzina di tentativi di registrazione in studio, ed è considerata una delle composizioni jazz più difficili di sempre a causa dei suoi continui cambi di tempo. Il tema musicale era così infido nel suo inusuale fraseggio e nelle sue variazioni ritmiche che anche una band pur eccellente come quella di quei giorni ebbe grandi difficoltà nell’eseguire il brano, al punto che la versione finale fu possibile solo combinando insieme due take. Di più, tutta la registrazione fu leggendariamente frammentaria a testimonianza della tremenda complessità delle idee musicali di Thelonious. Però va sottolineato che Brilliant Corners non è affatto un mero esercizio di tecnica e virtuosismo, ma è invece un’opera audace ed avventurosa che non ha mai perso il suo potere di sorprendere e sedurre anche col trascorrere dei decenni. Monk introduce il pezzo iniziale con degli accordi che sono come pugnalate, le note scuotono il corpo, le armonie dei fiati sono inusitate, i temi si rincorrono. Brilliant Corners è avvincente, così come le bizzarre e dissonanti improvvisazioni del compositore. Il colosso Sonny Rollins sviluppa le idee con i suoi toni profondi di sax tenore. E poi tutto l’album è caratterizzato da un’accattivante varietà: come il groove urbano di Hornin' In o il rilassato incedere di Let's Cool One. Pannonica con il suo mix surreale tra la schiettezza del piano e la timida sonorità di un glockenspiel. La bellezza sfolgorante del meraviglioso blues Ba Lue Bolivar Ba Lues Are, che è quasi  un richiamo diretto alle radici stesse della musica afroamericana. Questo album arrivava poco prima degli sconvolgimenti del free jazz e delle avanguardie di fine anni '50: quelle di Ornette Coleman, John Coltrane e Cecil Taylor. Era ancora pienamente bop, ma mostrava già quanto potessero armonizzarsi la più semplice forma delle canzoni con un nuovo e più avanzato idioma jazzistico. La grande musica del ‘900 è passata anche dai solchi di Brilliant Corners e molto anche dalle dita quasi impacciate di Thelonious Monk. Vi consiglio di dedicare un po’ di tempo all’ascolto di questo album bellissimo ed importante. Scoprirete un mondo inedito di melodie, armonie e ritmi in grado di parlare direttamente al vostro spirito. Questo è il grande jazz, questa è la inestimabile eredità del genio di Thelonoius Monk. Imperdibile.