Miles Davis – Rubberband


Miles Davis – Rubberband

Miles Davis è indubbiamente una delle figure più importanti della storia della musica del ‘900. Lui è stato prima di tutto un grandissimo compositore, un innovatore rivoluzionario ed un leader carismatico. Secondariamente fu anche il trombettista che tutti conoscono e che ha praticamente inventato il suono denominato "cool jazz". Un peculiare stile jazzistico che ha scosso la scena musicale tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60. Dal punto di vista estetico ed esecutivo Miles privilegiò sempre il ruolo dello spazio e della sottrazione, quasi a incarnare la frase fatta inglese "less is more" (meno è di più).  Tuttavia, non molto dopo aver pubblicato diversi album storici durante il suo periodo d’oro, tra cui "Round About Midnight e Kind of Blue", Davis abbandonò quella strada per seguire il suo instancabile desiderio di reinventarsi pur mantenendo il sound controllato ed etereo della sua tromba che lo ha reso famoso. Ad esempio abbracciò tra i primi la svolta elettrica nel jazz come nel celeberrimo In A Silent Way, o nel discusso Bitches Brew. Non certo gli unici esempi di ibridazione tra il jazz e l’elettronica, ma sicuramente tra i più significativi. La volontà di Davis di adottare le tendenze contemporanee gli ha fatto attraversare 50 anni di storia della musica stando sempre un passo avanti alla maggioranza dei musicisti jazz. Almeno fino agli anni '80, quando i suoi lavori, forse troppo carichi di sintetizzatori ed altre sofisticazioni non acustiche, finiranno per diventare più pop che jazz, rendendo oggi  tutto inevitabilmente datato. Con la sola eccezione dell’eccellente Tutu del 1986. D'altra parte è nota l'idiosincrasia che l'artista maturò a partire dagli anni '70 verso ogni forma di jazz classico. Miles Davis è mancato nel 1991 e da allora a suo nome sono uscite solo compilation ed antologie. Questo fino al Settembre del 2019 quando inaspettatamente è stato pubblicato un album postumo intitolato Rubberband, la registrazione dimenticata di Miles Davis. Il trombettista iniziò Rubberband nel 1985, quindi prima di Tutu, ma abbandonò il progetto lo stesso anno. Da lì a poco sarebbe passato allo storico album condiviso con Marcus Miller e nessuno pensò più a Rubberband per oltre 30 anni. Ora i produttori originali Randy Hall e Zane Giles, insieme al nipote di Davis, Vince Wilburn, Jr., che suonò la batteria su Rubberband nel 1985, si sono uniti per completare il progetto e pubblicare finalmente il risultato finale. Miles Davis aveva stabilito di inserire le voci di Chaka Khan e Al Jarreau, ma questo non è stato possibile in fase di produzione e così al loro posto sono stati scelti Ledisi, Lalah Hathaway e lo stesso Randy Hall. In più laddove Miles Davis non aveva completato una canzone, Hall, Giles e Wilburn, Jr. l'hanno finita al suo posto. Ebbene, dopo l’ascolto del disco, diciamo subito che, anche se il risultato non convince del tutto, manifestando qualche lacuna di troppo, emana comunque un fascino ipnotico e intrigante. Solo a tratti l'album suona come dovrebbe essere un lavoro di Miles Davis, questo è vero, e tuttavia il discorso cambia parecchio nei pezzi strumentali, quelli in cui possiamo riassaporare le traiettorie della tromba davisiana che emergono da una distesa di suoni sintetizzati. Per fortuna la produzione ha dato spazio anche al leader e sia pure su basi ritmiche funky ed elettroniche ci restituisce le sue improvvisazioni libere e di gran classe. Tra i brani cantati il più convincente è Rubberband Of Life, protagonista la brava Ledisi. Qui c’è il tipico Davis con le sue fulminanti incursioni di tromba: emozioni estreme in poche note. Giudicando l’album senza pregiudizi si sente come Miles interpretasse a modo suo le varie tendenze degli anni '80. E’ risaputo che la musica che lo circondava lo incuriosiva e ne era attratto: "Give It Up" è il jazz visto attraverso l'obiettivo del funk di Prince miscelato con George Clinton, mentre "This Is It" mostra lampi di glam rock alla Scritti Politti (un’altra delle fisse del Miles di quegli anni). Certo il fatto che Davis avesse preferito i sintetizzatori rispetto ai fiati ed i sintetizzatori o i campionamenti rispetto agli strumenti veri è sempre qualcosa di difficile da digerire, ieri come oggi. Le idee musicali, non molte in verità, ci sarebbero pure anche se nel complesso appare tutto piuttosto leggerino, specialmente nei brani cantati. Ascoltare il contributo di Miles a See I See mette a nudo come un singolo assolo del trombettista sia stato tagliato ed allungato per raggiungere i 4 minuti del pezzo. Il timbro della tromba si fa più opaco e fragile, rilevando le sofferenze dell’ultima parte della carriera di Davis, e tuttavia non manca di fascino. La classe in lui non è mai mera tecnica o virtuosismo strumentale, ma piuttosto un raffinato lirismo che si coniuga con geniali intuizioni nell’organizzazione delle idee musicali. "Echoes in Time / The Wrinkle" dura addirittura nove lunghi minuti e pur lasciando trasudare gli echi seducenti della tromba spaziale di Davis, una maggiore sintesi avrebbe giovato al brano. Di sicuro lo stesso Miles Davis avrebbe gradito inserire un proprio esteso assolo, ma dubito fortemente che lo avrebbe confezionato con così poche variazioni. La produzione molto presente e barocca tende a risultare un po' invadente e forse avrebbe beneficiato di soluzioni più agili ed asciutte. Ovviamente i seguaci più estremi di Miles Davis troveranno irrinunciabile Rubberband poichè ci troveranno il tassello mancante dell’ultimo tratto della carriera del genio di Alton. Per gli ascoltatori meno addentro nella produzione del maestro e soprattutto per i più giovani è potenzialmente un punto più facile e contemporaneo da cui partire alla scoperta dell`enorme tesoro davisiano, più lontano nel tempo ma inestimabilmente prezioso. Partire dalla fine non è mai una buona idea, ma a volte può essere uno stimolo per l’esplorazione di nuovi e straordinari territori. Per coloro che amano solo il Miles acustico questo album così come molti altri dagli anni ’70 in poi è praticamente inascoltabile. Trent’anni dopo la sua scomparsa, la tentazione di uscire con un prodotto targato Miles Davis era irresistibile, ed eccoci qui con il Rubberband datato 2019, introdotto da un apprezzabile dipinto del Maestro in copertina. Non è uno dei capolavori degli anni Cinquanta o degli anni Sessanta, questo è certo. In quel periodo si potrebbe scegliere a colpo sicuro e la qualità sarebbe sempre garantita. Potremmo definirla, senza far torto a nessuno, una sofisticata operazione di rianimazione musicale. Niente di più e niente di meno.