McCoy Tyner - Sahara


McCoy Tyner - Sahara

Il maestro McCoy Tyner, ovvero uno dei più grandi pianisti jazz del dopoguerra, è mancato pochi giorni fa: voglio quindi rendergli il giusto tributo parlando di uno dei suoi album più importanti. La scelta non è stata facile, ma alla fine ho deciso per Sahara: cerebrale, intenso, quasi selvaggio nella sua creatività esplosiva. Probabilmente è questo l’apice della produzione discografica di questo formidabile pianista. Dopo la morte di John Coltrane, McCoy Tyner si venne a trovare in una sorta di dilemma artistico/musicale. Cercare di rimanere al passo con gli insegnamenti del suo mentore, continuando con le incredibili esplorazioni dei primi anni '60, o svoltare decisamente per affrancarsi dall’ingombrante personalità di Trane. Tyner in verità sembrava avere qualche difficoltà nel navigare in territori espressivi ancora più estremi di quelli esplorati nei due o tre anni prima della scomparsa di Coltrane, avvenuta nel 1967. I suoi album successivi come leader erano certamente solidi, validamente ancorati al linguaggio del jazz ma fin troppo tradizionali, quasi come se il pianista avesse bisogno di più tempo per interiorizzare e riorganizzare l’eredità che gli era stata tramandata. Nel 1972 arriva però il punto di svolta: con Sahara, McCoy Tyner trovò la sua "via di mezzo" sulla quale costruire il suo idioma, con tutta la forza del tardo Coltrane, ma espandendosi con una ferocia e una libertà di suono straordinarie. Per questo Sahara è semplicemente una delle più grandi registrazioni jazz pubblicate dopo il 1970. E non a caso nessuno degli altri membri del suo quartetto ha mai suonato così ispirato, così libero e creativo come avviene qui. Ascoltare il sax di Sonny Fortune ad esempio è già di per se una conferma di una dirompente e quasi rabbiosa vena artistica. Calvin Hill al contrabbasso è più solido di una roccia, sempre profondo e ispirato. E infine un giovane Alphonse Mouzon fa capire quanto fosse incendiario il suo modo di suonare il jazz giusto un soffio prima della sua conversione alla fusion. Ma è concentrandoci su Tyner che ci si accorge di quanto il pianista riesca ad esprimere energia pura, controllata ed incanalata con una precisione straordinaria e però al contempo quasi fisica, come un assalto al pianoforte. Insomma, per dirla in poche parole, Sahara è quel che si definisce un capolavoro. Lo stile di Tyner ricorda un fiume in piena o un vortice da cui è difficile sottrarsi. Una sorta di incredibile esperienza a cavallo tra la spiritualità e la concretezza terrena. Il disco prende il via alla grande con l’energia di "Ebony Queen", un brano modale il cui ritmo propulsivo è alimentato dal classico stile percussivo di Tyner, accentuato qui dai piatti di Alphonse Mouzon e dal frenetico lavoro di contrabbasso di Calvin Hill. "A Prayer for my Family" è un pezzo meditativo per solo piano che si sviluppa come un autentico flusso di coscienza, una sorta di sfogo emozionale canalizzato attraverso le due mani del maestro. "Rebirth" è piena di accordi fragorosi e improvvisazioni di alto livello, così complesse e veloci che fa quasi impazzire. Da sottolineare come Sonny Fortune sembri quasi far esplodere i polmoni sul suo sax contralto, costringendolo ad urlare e gemere come se stesse incanalando lo spirito stesso di John Coltrane. "Sahara", nel corso dei suoi 23 minuti, copre un vasto territorio musicale, replicando la maestosità e la miseria di quell’area geografica con uno spettro di sonorità tali da renderla una delle migliori composizioni di Tyner in assoluto. "Valley of Life", trasuda fascino e mostra una grande compiutezza nella forma. Qui stranamente Tyner rinuncia al suo pianoforte e utilizza il Koto (uno strumento tradizionale giapponese a corde) delineando una trama esotica sulla quale il flauto di Sonny Fortune e le percussioni di Mouzon fluttuano come sospesi nella nebbia. McCoy Tyner continuerà a pubblicare album di qualità nel corso degli anni, ma non raggiungerà più queste vette. Sahara è un’opera jazz incredibilmente valida e dovrebbe trovare un posto nella collezione di ogni appassionato di jazz. Intenso e cerebrale, è probabilmente uno degli album acustici definitivi dell’era post-bop e sicuramente è un ascolto consigliato anche se non vi piace il jazz. R.i.P. Mr. Alfred McCoy Tyner (Filadelfia, 11 dicembre 1938 – Filadelfia, 6 marzo 2020)