Miles Davis - Miles Smiles


Miles Davis - Miles Smiles

Senza ombra di dubbio il secondo quintetto di Miles Davis, quello della metà degli anni '60, è stato il motore di un rinnovato e vigoroso interesse per il jazz da parte del famoso trombettista: in quel periodo di fermento creativo, il divino Miles diede corpo ed anima ad una vena musicale ritrovata. Davis fu stimolato dalla giovane band che aveva messo insieme con una vitalità ed un entusiasmo che fecero una grande differenza rispetto al precedente momento buio. Qui è proprio il gruppo che contribuì ad ampliare i confini musicali di Davis, quasi obbligandolo a prendersi dei rischi e trascinandolo verso la sperimentazione, ma la band fu di fatto anche d’aiuto allo stesso Miles per superare un periodo difficile della sua vita personale (la morte dei suoi genitori, i problemi di salute e le battute d'arresto creative). A quel tempo, la band era in una fase di transizione tra il jazz tradizionale e qualcosa che andasse oltre il mainstream: un esempio fu l’album E.S.P. (Columbia, 1964). Miles da parte sua, aveva una forma di repulsione per il free-jazz, cosa che confliggeva con le tendenze avanguardiste del quintetto. Il jazz che venne fuori da questa dicotomia fu dinamico ed imprevedibile, con un approccio molto aperto verso l'armonia che era però sostenuta da una visione molto elastica e moderna dei ritmi. In aggiunta a questo, nei concerti, il repertorio si concentrava ancora sui vecchi classici e ovviamente sugli standard. Ne consegue che grazie all’intelligenza ed al genio di Davis in collaborazione con la duttilità ed il rispetto verso il leader di tutto il gruppo, il quintetto affrontò il repertorio con grande zelo ed un propositivo dinamismo, cosa che rese i brani molto conosciuti più audaci ed in qualche misura nuovi. Miles Smiles è un album in cui si ascolta un jazz acustico caratterizzato da un formidabile spirito d’innovazione, è un lavoro teso all’esplorazione di nuovi orizzonti. Tutto considerato, questo è un disco grandioso, forse insolito ma artisticamente pregnante. E non è certo un caso che le registrazioni dello stesso periodo, sfornate come solisti dai componenti del quintetto, siano di un livello altissimo, al punto che oggi sono considerate anch’esse dei classici. Pensiamo a Maiden Voyage di Herbie Hancock (Blue Note, 1965), Speak no Evil e Juju (Blue Note, 1965) di Wayne Shorter e a Spring (Blue Note, 1965) di Tony Williams. Se su E.S.P. la band era in fase di rodaggio, questa volta è chiaro come i musicisti abbiano affinato l’interplay portandolo sulla soglia di una specie di telepatia musicale: quella che Miles Davis cercava da sempre con ostinazione nei suoi collaboratori. Miles Smiles mostra un gruppo di brillanti musicisti che uniscono i loro talenti per formare un'unità coesa e finalmente votata all’interazione reciproca. Gran parte dell'album è in equilibrio tra il vecchio e il nuovo linguaggio del jazz. Come risultato, si delinea il fatto che queste composizioni sono un ottimo esempio di come mescolare al meglio lo sperimentalismo del free jazz con la tradizione. E’ così, che da qualche parte, tra questi due mondi opposti, il quintetto di Miles ha trovato il suo posto, dando vita a uno dei più eccitanti jazz mai suonati. Tutte le composizioni, a partire dall’iniziale “Orbits”, passando da "Footprints" di Shorter, fino alla finale "Gingerbread Boy" sono pezzi complessi, costruiti su architetture armonicamente polifoniche, dal punto di vista jazzistico declinate sia in forme convenzionali che non usuali. Il quintetto si distende musicalmente come una valanga che spinge verso una continua scoperta e non si accontenta di un ripetersi meccanico di convenzioni. Anche questo suggerisce che i livelli di interazione tra i musicisti sono davvero saliti a uno stadio superiore. La naturale conseguenza di questo stato di grazia artistico è che la magica tromba del leader viene esaltata dal collettivo, che da parte sua prende a sua volta il timbro e la dinamica di Davis come riferimento e stimolo. Nel 1967 questo disco vinse il premio come miglior album dell'anno nel sondaggio di  Down Beat, il Quintetto ottenne il primo posto come migliore gruppo e Miles Davis riguadagnò il primato nella classifica come miglior trombettista. Ovviamente una band formata da Davis, Shorter, Williams, Carter e Hancock non può essere considerata “normale” e di fatto anche Miles Smiles non è certo un banale prodotto discografico post-bop. Anzi, al contrario, la ristampa di questo album storico rappresenta da un lato un richiamo irresistibile per i fan consolidati e fedeli, dall’altro un'introduzione pressochè obbligatoria per i novizi del jazz di Miles Davis. Miles Smiles può probabilmente essere considerato l'apice dell’evoluzione del jazz acustico e una delle migliori testimonianze registrate della vera forza del secondo quintetto storico di Miles Davis. Giusto un soffio prima che il genio di Alton sconvolgesse ancora una volta il mondo del jazz con la sua svolta elettrica: In a Silent Way e Bitches Brew stavano per arrivare.