Down To The Bone – Dig It


Down To The Bone – Dig It

A volte può essere piacevole anche ascoltare una band che suona, oggi, nel 2017, la musica che era in voga all’inizio degli anni ’90. Quella era l’epoca dell’esplosione della corrente denominata acid jazz e loro, i Down To The Bone, erano già immersi in tutto e per tutto dentro a quel movimento. Ad oltre vent’anni di distanza questo singolare gruppo di musicisti persevera nel proporre il suo “vintage acid jazz” con granitica caparbietà ma anche ottimi risultati. Down To The Bone prende il nome dal primo jazz club di Londra che si chiamava più in breve "To The Bone". Il progetto è figlio della mente creativa del produttore e DJ Stuart Wade  che, pur essendo il deus ex machina di tutto, non ha mai suonato in prima persona uno strumento nella sua stessa band: né in sede di registrazione, né durante i concerti dal vivo. Tuttavia le sue idee musicali sono così brillanti che il gruppo ha avuto successo, soprattutto in Gran Bretagna ed in seguito anche negli USA. Esiste un filo conduttore, mai interrotto, che è cominciato con il primo album From Manhattan To Staten nel lontano 1996 e arriva fino all’uscita di questo nuovo lavoro intitolato “Dig It”, datato 2014. E’ da sottolineare che sono addirittura tre i gruppi di musicisti coinvolti nei Down To The Bone: la Live UK Band, la Live USA Band ed infine il mini collettivo usato per le registrazioni in studio e dunque per gli album. Tutti seguono, come detto, le linee guida di Stuart Wade, il quale sarà anche un dj ma dimostra di saper anche assemblare un eccellente repertorio musicale e naturalmente produrre nel migliore dei modi questo manipolo di bravi musicisti. Niente invenzioni particolari, nessuna esplorazione avanguardista, solo un genuino mix di funk, jazz e soul con tanti fiati e groove a volontà: ovvero la formula classica dell’acid jazz. Le analogie con la musica degli Incognito sono inevitabili: l’amicizia, gli interessi comuni, le stesse passioni musicali fanno sì che il sound sia in linea di massima piuttosto simile. Certo la band di Bluey Maunick è un punto di riferimento ineguagliabile e d’altra parte i Down To The Bone propendono più verso la musica strumentale, ma la matrice è quella. Ed echi di altre mitiche band dell’acid jazz britannico sono parimenti udibili, ad esempio James Taylor Quartet, New Jersey Kings o Vibraphonic. Dig It propone una cavalcata funky in dieci brani, tutti piuttosto lunghi, solo due dei quali sono cantati dalla brava vocalist Katie Leone (guarda caso appartenente alla “famiglia” Incognito). Il piano elettrico, il vibrafono (!), i fiati sempre potenti e puntuali , basso, batteria e percussioni creano un tappeto sonoro inconfondibile, lo stesso che è possibile ascoltare dal vivo in alcuni storici  club londinesi, come il Jazz Cafè o il Marquee o ancora la Brixton Academy. Su Dig It tutto scorre fluido e piacevole, ogni cosa è al suo posto grazie agli arrangiamenti sempre efficaci, caratterizzati da un perfetto equilibrio tra parti corali ed assoli, senza protagonismi od eccessi di virtuosismo. Il groove è potente come vuole la migliore scuola di quell’acid jazz che tanto mi piace e che dopo tanti anni continua ad essere una delle migliori espressioni della musica contemporanea. Meritano una citazione particolare sia il tastierista Oli Silk, il cui uso del Rhodes incanta gli ascoltatori attenti ai dettagli, che la bravissima cantante Katie Leone, che mette in mostra le sue indubbie qualità di soul singer dalla vocalità potente e cristallina. Si capisce per quale ragione lei sia una delle nuove cantanti degli Incognito. Dig It è dunque un album ad alto fattore di divertimento, per chi lo ha suonato e soprattutto per chi lo ascolta. Semplice e diretto, genuino e allegro, l’ultimo lavoro dei Down To The Bone invita a battere il piede a tempo con il funk ed il soul venato di jazz che questi ragazzi hanno saputo esprimere dalla metà degli anni ’90 fino ad oggi. Stuart Wade rimane il produttore, l’arrangiatore ed  il direttore artistico di questa bizzarra macchina da groove dal sapore deliziosamente retrò ma al tempo stesso molto attuale: i suoi preziosi collaboratori aggiungono la qualità che solo i musicisti di grande spessore sanno donare. Inutile aggiungere che i Down To The Bone sono un “must have” per tutti gli appassionati di acid jazz, ma rappresentano anche una valida alternativa a tutta quella musica piatta e priva di mordente che inflaziona le radio e di cui si alimentano i talent show.