Horace Silver – Song For My Father


Horace Silver – Song For My Father

Horace Silver, il cui vero nome è Horace Ward Martin Tavares Silva, è nato a Norwalk il 2 settembre 1928 e morto a New Rochelle il 18 giugno 2014. È stato un grande pianista e compositore statunitense, particolarmente apprezzato per il suo stile ricco di influenze funky, hard bob e gospel e con uno spiccato interesse verso la musica africana e latinoamericana. Silver ha iniziato la sua carriera come sassofonista, passando poi al piano. È stato scoperto in un club di Hartford dal sassofonista Stan Getz, con il quale ha poi fatto il suo debutto discografico. Successivamente si è trasferito a New York, dove, insieme ad Art Blakey, ha fondato un gruppo guidato da entrambe (che sarebbe poi divenuto il nucleo dei Jazz Messengers), Ha quindi iniziato a suonare con i grandi nomi del jazz, accompagnando tra gli altri Coleman Hawkins e Lester Young. Il suo primo disco con Blakey e la loro storica formazione, “Horace Silver and the Jazz Messengers”, è da molti indicato come uno dei momenti chiave della nascita dello stile hard bop. Nel 1956, Silver ha infine lasciato Blakey per formare il suo quintetto, utilizzando quello che sarebbe diventato il classico organico di un piccolo gruppo: sax tenore, tromba, piano, basso e batteria. Il suo album di maggior successo è stato “Song for My Father”, realizzato con due diverse formazioni del quintetto nel 1963 e nel 1964. A partire dagli anni '70, Silver ha iniziato a registrare per la Blue Note, diventando amico del proprietario Alfred Lion e garantendosi un controllo sulla produzione dei propri album, cosa che allora era inconsueta. Molti dei suoi brani, tra cui "Doodlin", “Peace” e “Sister Sadie”, sono diventati degli standard del jazz che sono ancora molto eseguiti. “Song for My Father” è l’album più famoso e di successo del pianista ed ha ricevuto unanimemente delle recensioni positive dalla critica ed una notevole risposta da parte del pubblico. Il disco è senza dubbio un capolavoro dell’hard bop, caratterizzato da brani dal fascino immediato ma tutt’altro che semplici e banali. Silver d’altra parte è sempre stato un maestro nel bilanciare i ritmi più particolari con armonie complesse per una miscela unica di vivacità e raffinatezza. Song for My Father può probabilmente vantare l’atmosfera più sofisticata tra tutti gli album di Horace Silver. In parte ciò è dovuto ad una sfumatura vagamente esotica che derivava soprattutto dall’interesse crescente di Silver per i ritmi e le tendenze emerse fuori dagli Stati Uniti: la bossa nova del classico "Song for My Father", per esempio, o il tema dal sapore orientale di "Calcutta Cutie". O ancora il sentore tropicale di "Que Pasa?". Sono tutti spunti geniali e sottili che esaltano il sound di Horace Silver quanto basta per far emergere ancor di più la sua classe innata. Le melodie e i fraseggi sono molto briosi ed interessanti. La title track “Song for my father” è stata definita, probabilmente a ragione, uno dei pezzi jazz più incantevoli mai scritti. Una curiosità rispetto al brano è che gli Steely Dan ne hanno fatto la base musicale per la creazione della loro famosa hit "Rikki Don't Lose That Number." Il lavoro possiede un raro e squisito equilibrio tra composizione e improvvisazione, rendendone la fruizione estremamente piacevole. Di fatto è un album che ribolle di idee ed è ricchissimo di contaminazioni: per questa ragione dalle sue tracce si sprigiona un’energia positiva che riesce ad essere rilassante senza tuttavia diventare noioso. All’ascolto risultano particolarmente apprezzabili le parti di sax e tromba, soprattutto quando questi suonano "all’unisono": una costante lungo tutto il lavoro e peraltro caratteristica spesso vincente anche nei Jazz Messengers. Va lodata tra l’altro la qualità della registrazione e dell’incisione, cosa che rende giustizia alla qualità delle esecuzioni permettendone di apprezzare ogni sfumatura. Lo stile pianistico di Silver è secco, fantasioso e profondamente funky: del resto, quella di Silver è una delle pochissime influenze riconoscibili nello stile pianistico di Cecil Taylor: da lì gli vengono i violenti ed espressionistici accenti dislocati sulle ottave basse della tastiera, ma non solo. Silver ha delineato nel tempo un suo «breviario di composizione musicale» che comprendeva: «bellezza melodica, significativa semplicità, grazia armonica, ritmo, e  tutte le varie influenze artistiche». Horace Silver ha lasciato un’eredità importante: in primis il suo ascendente su molti altri pianisti e compositori, ed inoltre la promozione e la crescita degli innumerevoli giovani talenti del jazz che sono apparsi nelle sue band nel corso di quattro decenni. “Song for My Father” è uno di quegli album seminali del jazz di cui non si può fare a meno. Stimato per la sua freschezza e la sua espressività, evidenzia al contempo una rara capacità di evitare l’auto compiacimento che qualche volta emerge in alcuni musicisti di jazz.