The Earth Disciples – The Getaway Train


The Earth Disciples – The Getaway Train

The Earth Disciples: chi sono costoro ? Sono certo che quasi nessuno sarà a conoscenza di questa band. Questo è infatti un gruppo praticamente sconosciuto, di cui si ha traccia solo per un singolo album e per una brevissima stagione di attività risalente alla fine degli anni ’60 ed ai primissimi anni '70. Non si sa molto di loro, la sorpresa più grande però arriva al momento dell’ascolto della loro musica perchè bisogna ammettere che in essa c’è qualcosa di inusuale, strano ed interessante. Dicevo che hanno un solo album all’attivo, intitolato The Getaway Train, registrato nel 1969 per l'etichetta Solid State di Sonny Lester, una compagnia specializzata in jazz un pò fuori dagli schemi. La band comprendeva Rudy Reid alle tastiere , Il figlio di Red Holloway, Jimmy Holloway alla chitarra (e occasionalmente alle tastiere), Reggie Austin al basso e Reggie Harris alla batteria. Tutti personaggi misteriosi, nessuno dei quali ha avuto in seguito una carriera di una qualche rilevanza. Eppure la proposta di questi ragazzi era una miscela molto originale di vari generi: quello che suonavano gli Earth Disciples sfidava davvero le categorizzazioni, superando in qualche modo i vincoli di stile ed andando a collocarsi su un piano diverso, piuttosto singolare. Diventa dunque difficile trovare le parole per descrivere in modo esaustivo The Gateway Train o anche solo per accostarlo a qualche altro album dello stesso periodo. La sensazione è quella che i contenuti fossero comunque di un certo livello, con un’alchimia sonora elaborata, dove la batteria e la chitarra meritano una menzione speciale, ma un ruolo importante veniva giocato anche dal piano elettrico e dalle fantasiose linee di basso. The Earth Disciples riuscivano ad unire passione e intensità con una punta di improvvisazione senza appesantire troppo il loro sound, che al contrario appare pervaso da una piacevole leggerezza. Erano gli anni della rivoluzione hippy, della consacrazione del rock a fenomeno planetario, del jazz elettrico e della nascita del funk. Ciò che gli Earth Disciples misero in atto fu certamente la commistione di ognuno di questi ingredienti con il soul, forse più nel senso spirituale che musicale del termine: in ultima analisi erano quattro giovani musicisti che si divertivano a suonare. Avevano intrapreso un viaggio sonoro nel quale fondevano i loro cuori e le loro menti in una singola entità artistica nuova e particolare. Ma gli echi del jazz, del rock psichedelico e del funk erano ben presenti nell’estetica musicale degli Earth Disciples, così come dai loro pezzi emergeva un lodevole gusto melodico, che tuttavia restava perennemente in bilico tra le atmosfere cosmiche tipiche del momento, una sorta di lounge ante litteram e la ricerca di soluzioni a loro modo sorprendenti. The Gateway Train è un album totalmente strumentale e potrebbe piacere senza dubbio agli appassionati di rock per la sua immediatezza e la sua genuina e spontanea essenzialità, priva di orpelli e di architetture troppo sofisticate. E’ un lavoro grezzo, quasi artigianale ed estremamente diretto. Tuttavia si percepisce in esso anche un’assimilazione del jazz elettrico, che sia pure velatamente, è parte della dinamica del gruppo. I dieci brani del disco sono tutti piuttosto brevi e sono spesso movimentati da cambi di ritmo e inaspettati mutamenti di atmosfera. A tratti si nota una qualche somiglianza con alcuni accenti tipici della scena di Canterbury, dove una vena di progressive rock veniva influenzata dalle contaminazioni jazzistiche, in evidenza soprattutto negli assoli. Come detto, gran parte delle parti solistiche e delle melodie sono affidate alla chitarra elettrica ed al Rhodes, che si fa carico, ovviamente, della struttura armonica dei brani. Dal punto di vista ritmico gli Earth Disciples sono figli del loro tempo, con la batteria sempre impegnata in complesse soluzioni percussive e il basso elettrico, molto vivo, ad inseguire le sue linee potenti e fantasiose. Un ruolo importante viene in questo caso giocato anche dalla chitarra. Il bravo Jimmy Holloway infatti quando non è impegnato in prima linea come solista si mette al servizio della band con un brillante e martellante lavoro di accompagnamento ritmico. La sensazione che si ricava dall’ascolto di The Gateway Train è quella di una lunga suite suddivisa in 10 movimenti che ruotano tutti intorno ad un unico filo conduttore di stampo psichedelico, nel quale la ripetitività dei temi ha un ruolo rilevante pur nella singolarità musicale degli specifici segmenti. I momenti migliori dell’album sono la delicata ballata strumentale La Bahemia, le due parti (1 e 2) dell’onirica Bitter End, la vibrante Rollin’ Over e la bella Serenade Of A Summer Butterfly. Con The Gateway Train ci troviamo di fronte ad un disco strano e in qualche modo speciale: un “unicum” sia dal punto di vista dei contenuti sia perché, dopo la sua pubblicazione, gli Earth Disciples non ebbero più l’opportunità di registrare nessun altro album. Non fu certo il solo gruppo a non dare seguito alla propria attività, ma di sicuro loro si resero protagonisti di un lavoro dai connotati artistici molto particolari e dalle caratteristiche musicali sfuggenti, come abbiamo visto, piuttosto difficili da catalogare. L’originalità di certo non mancava a questi quattro musicisti afro-americani che decisero di non conformarsi ai canoni del jazz o del funk o magari del soul come la maggior parte di quelli che suonavano alla fine degli anni ’60. In ultima analisi questi 33 minuti di “viaggio” sonoro non sono certo passati alla storia come un capolavoro, ma ci regalano lo stesso un interessante punto di vista alternativo sulla musica di quel periodo così ribollente di tumulti sociali ed artistici. Gli Earth Disciples seppero ritagliarsi uno spazio creativo tanto piccolo e stimolante quanto fugace ed effimero proprio in quel contesto di grande cambiamento. Il jazz qui è "borderline" ma per i più curiosi può essere un ascolto interessante.