George Benson – Shape Of Things To Come



George Benson – Shape Of Things To Come

Non potevo esimermi dal parlare, prima o poi, di un musicista come George Benson. Icona della chitarra jazz ed al contempo idolo per generazioni di appassionati del soul, del pop e dell’r&b. Un fenomeno più unico che raro, si potrebbe dire ineguagliato, vista la sua capacità di essere così trasversale da abbracciare con uguale successo mondi musicali tanto distanti tra loro. George, non a caso, è considerato uno dei più raffinati ed eleganti chitarristi della scena mondiale, gode di un’ottima reputazione tra i jazzofili ed è inoltre dotato di uno straordinario talento vocale. Una combinazione incredibile quella tra la sua "mitica" chitarra Ibanez e la sua splendida voce: una simbiosi davvero unica. In una carriera come la sua che, come è facile immaginare, è stata lunghissima, ci sono moltissimi album al suo attivo e molti di questi sono lavori di grande pregio. Tra i tanti ho scelto Shape Of Things To Come, che è il disco del suo debutto con la mitica CTI di Creed Taylor. La scelta non è casuale, perché segna la consacrazione di una vera e propria star globale sulla scena del jazz. Il grande Taylor vedeva lontano ed ingaggiò Benson subito dopo la morte di Wes Montgomery nel 1968, e direi che sostituto migliore non poteva essere trovato. L’album è stato curato benissimo dall'arrangiatore Don Sebesky (che aveva lavorato precedentemente proprio con Wes Montgomery) e dall'ingegnere del suono Rudy Van Gelder. Bisogna poi parlare della band messa a disposizione di George Benson: come ospiti figurano due colossi come Herbie Hancock e Ron Carter (entrambi membri del Miles Davis Quintet, di cui Benson era stato a sua volta ospite), ed ancora il bassista Richard Davis e il pianista Hank Jones. La core band di Benson per queste date comprendeva l'organista Charlie Covington, il batterista Leo Morris e il percussionista Johnny Pacheco. I ricchi arrangiamenti che sono la firma musicale di Don Sebesky comprendono poi archi, fiati e coristi. Tutto era pensato affinchè Benson, per così dire, si conformasse più possibile allo stile di Wes Montgomery, tuttavia George era ed è un artista di grande personalità. Di certo era consapevole dei suoi mezzi artistici e non voleva certo seguire pedissequamente le orme del maestro ne le direttive della produzione. Impose dunque un suo personale controllo sulla registrazione, con risultati eccellenti. L’album inizia piuttosto morbidamente, con una leggera melodia soul-jazz intitolata "Footin 'It", brano scritto da Benson e Sebesky. L’orchestra risponde alla chitarra di Benson, che non manca di allungarsi in uno dei suoi assoli mentre l’organo di Covington inietta dosi di funk. Lo stile di Benson non è rotondo come quello di Wes Montgomery: è più tagliente e nervoso e George fa anche un interessante esperimento usando un dispositivo chiamato Varitone sovra incidendolo sulla sua chitarra. Richard Davis tira fuori con forza dal suo basso il groove mentre il percussionista Pacheco lavora mirabilmente sullo sfondo. La title track ha un andamento quasi da colonna sonora per una serie tv, con un bel dialogo tra l'organo hammond, i flauti e l'orchestra e la strana chitarra di George Benson, usata in modo non convenzionale. “Face It Boy, It’s Over” è un brano scritto nel 1968 che Benson trasforma in un solido numero di soul-jazz con il groove sugli scudi e vibrazioni che si infilano sotto la pelle anche grazie all’organo hammond. Il disco scorre fluido e piacevole tra la radicale rivisitazione di "Chattanooga Choo Choo" (praticamente irriconoscibile per come è stata trasformata) a "Do Not Let Me Lose This Dream" di Teddy White e Aretha Franklin, che George legge con un tocco di spirito latino. Forse è questo il pezzo dove il chitarrista rende maggiormente omaggio alla memoria di Wes Montgomery avvicinandosi al suo stile. Da notare il bellissimo arrangiamento dei fiati ad opera di Don Sebesky mentre anche Charlie Covington vola alto con il suo organo, pur lasciando ampio spazio per il brillante assolo di Benson. "Shape of Things That Are and Were" è un meraviglioso jazz blues notturno nel quale Benson sembra voler ribadire che in realtà lui è diverso da Montgomery. I fiati sono incisivi e sottolineano la componente blues della melodia, ma è il chitarrista a esibirsi in un assolo assassino con una scioltezza ed una naturalezza estremamente seducenti. Interessante poi la cover del successo di Boyce & Hart "Last Train to Clarksville" che dopo un’introduzione di armonica blues, si trasforma in un jazz funk vivace con fiati brillanti e il batterista Leo Morris in evidenza. Ron Carter qui dimostra la sua versatilità al basso ma George Benson si supera mettendo in campo il meglio del suo repertorio di chitarrista jazz, fatto di fraseggio, staccate, accordi e sequenze di note ineguagliabili. Shape of Things to Come è l’album dell’avvento di George Benson, non solo come solista jazz, ma anche come talentuosa star in divenire. In un decennio raggiungerà davvero lo status di popstar, perà sarà per sempre un chitarrista geniale,  si scoprirà cantante come pochi e si confermerà autore e produttore di gran livello. Oggi George Benson è un anziano e ricchissimo musicista, senz’altro appagato dalla sua formidabile carriera e dall’enorme successo planetario conseguito. Tuttavia pur essendo passato sulla sponda della musica commerciale, resta un formidabile jazzista ed un chitarrista come pochi nella storia. Questo è un album del suo passato che merita la qualifica di classico senza tempo poiché anche molti anni dopo la sua pubblicazione continua ad essere un ascolto  molto stimolante. Il George Benson di Give Me The Night e 20/20 è lontanissimo da queste atmosfere ma qui troverete un chitarrista jazz  che suona meravigliosamente nello stile che è proprio del suo dna. Caldamente consigliato.