Essence Of Funk – Essence Of Funk



Essence Of Funk – Essence Of Funk

Quale può essere esattamente l’essenza del funk? Una domanda che mi sono posto molte volte ed alla quale presumo si possano legittimamente dare numerose risposte. A mio parere il funk è prima di tutto una profonda sensazione ritmica, che cattura a livello fisico: una esplosione di pulsanti combinazioni di basso e batteria che vengono ammantate di ipnotici accordi e melodie blues e jazz. Ma la mia idea di funk è legata a quello elettrico della metà degli anni ’70, di Herbie, di Stevie, degli EWF, dei Funkadelic. Ho letto che alcuni osservatori delle cose afro americane lo collocano su un piano più elevato, dandone un’analisi più sociologica e metafisica: per questi il funk è una rappresentazione della quotidiana, faticosa arrampicata dell’esistenza umana fatta anche di note arruffate e contorte, di ritmi sincopati e di scoppiettanti fiati. Anche il vero jazz può dunque esser stato e continuare ad essere funk: in verità cominciò ad connotarsi tale moltissimi anni fa, con una forma diversa da quella che conosciamo tutti e tuttavia ad essa molto affine nello spirito. I musicisti di jazz cominciarono a diventare “funky” negli anni ’50, come contraccolpo alle correnti colte e cerebrali, quelle denominate cool e straight ahead; fu allora che alcuni artisti misero in atto un sorta di controriforma, incrementando l’uso di elementi di blues, di gospel e introducendo nella dinamica del jazz anche echi dei tradizionali canti di lavoro. Una strada che condusse all’hard bop e che poi completò il suo persorso con l’avvento delle strumentazioni elettriche. Un’ultima interessante notizia è che il primo esempio di uso della parola funk per una registrazione di jazz fu “Opus De Funk” di Horace Silver, risalente al 1953. Questa lunga introduzione è motivata dalla collezione di brani denominata proprio Essence Of Funk di cui voglio parlarvi. Questo è un album che è composto da titoli scritti tra la fine degli anni ’50 e quella degli anni ’60, cioè un periodo che si rivelerà essere l’epoca d’oro di quello stile che in seguito sarà chiamato soul-jazz. L’album in questione però risale al 1995, ovvero il momento di piena esplosione del fenomeno acid jazz (nome di fantasia, creato in Inghilterra… n.d.r.), una stagione durante la quale un’intera generazione andava riscoprendo le sue radici, e per farlo esplorava proprio i pezzi che rappresentavano quanto più possibile “l’essenza del funk”. Però va aggiunta una notazione: c’erano e ci sono moltissimi musicisti che suonano (anche molto bene) il funk, molti di meno sono quelli in grado di capirlo fino in fondo. Dando un’occhiata alla formazione di questa band, assemblata appositamente per l’occasione, possiamo già capire che questi appartengono alla seconda categoria. Una line-up incredibile, una riunione di musicisti che incutono rispetto e ammirazione con i loro stessi nomi: in ultima analisi ci troviamo davanti ad un gruppo di gente che conosce molto bene la materia. Per essere più chiaro è opportuno che riveli chi sono i formidabili strumentisti coinvolti nel progetto: Tom Browne alla tromba, Ron Carter al basso, Lenny White alla batteria, Billy Childs al pianoforte, Donald Harrison e Bennie Maupin ai sax. Si può definirla una super-band ? Certo, perché è esattamente questo quello che è. Il formidabile sestetto è stato messo insieme e diretto dal batterista Lenny White col preciso intento di dare nuova linfa a sette bellissimi brani che potremmo catalogare come classici dell’hard bop prima ancora che funk o soul jazz. L’operazione sembra essere perfettamente riuscita, dato che al di là di qualche accento elettrico, i contenuti sono tutt’altro che copie sbiadite o annacquate rispetto all’originale. Un aspetto piacevole e in qualche misura sorprendente di questa sessione è che il trombettista Tom Browne ha finalmente la possibilità di suonare vero jazz (in luogo della funky disco commerciale alla quale ci ha abituato) e bisogna sottolineare che lo fa davvero bene, risultando in ottima forma. Donald Harrison si distingue con il suo sax alto, dimostrandosi musicista di valore in tre dei sette pezzi. I restanti quattro sono nelle sapienti dita di Bennie Maupin che, come d’abitudine, giostra benissimo tra sax tenore, sax soprano e clarinetto basso, strumento atipico del quale è uno dei migliori interpreti di sempre. Il pianista Billy Childs completa il gruppo con la sua classe e la sua raffinatezza, regalandosi una pausa di divertimento in più, un po’ fuori dalle sue abituali corde. Ron Carter è un vero gigante del basso e non ha bisogno di presentazioni così come il bravissimo Lenny White che con la sua batteria dispensa sempre una grandiosa propulsione ritmica a tutto il progetto. Numeri senza tempo come "Cornbread" di Lee Morgan, "Freedom Jazz Dance" di Eddie Harris, "Jive Samba" di Nat Adderley e "Comin 'Home Baby" composta da Bob Dorough sono sicuramente brani che meritano attenzione. Gli originali qui sono solo tre: Loose Change di Ron Carter del 1986 e Eternal Flame di Bennie Maupin del 1977. A completare l’album troviamo Slow Drag di Donald Byrd, un pezzo composto nel 1967. Essence Of Funk è una registrazione molto attraente sia per i jazzofili appassionati di hard bop che per i cultori delle sonorità più elettriche o se preferite “acide”.  E’ diretto, potente, fisico, in una parola è funky. Pur senza mostrare grandi innovazioni, risulta piacevole e ricco di pathos: se sia esattamente l’essenza del funk non posso affermarlo con certezza, ma di certo è qualcosa che ci si avvicina tantissimo.