Jay Graydon - Bebop


Jay Graydon - Bebop

Chissà quante volte ascoltando una bella canzone pop avrete pensato “ma come è arrangiata bene” “come suona ricca ed elegante”. Probabilmente stavate ascoltando una produzione di Jay Graydon. Sconosciuto alle masse, Jay Graydon è un personaggio di grande rilevanza per tutta la musica contemporanea e in particolare per quella particolare corrente della cultura americana che prende il nome di West Coast. Noto principalmente per il suo ruolo di produttore e arrangiatore, si è distinto per il sound caratteristico e sofisticato che ha saputo infondere a tutti gli artisti con i quali ha avuto modo di collaborare. Chitarrista di talento, Graydon ha però portato avanti gran parte della sua carriera ricoprendo un ruolo piuttosto defilato e non da protagonista, dedicandosi con enorme successo sia alla direzione artistica che alle tecniche di registrazione. Un’attività che gli ha fruttato due Grammy Awards e la stima incondizionata di tutto il panorama musicale internazionale. Nato nel 1949, a Burbank, in California, ha fatto il suo incredibile e precoce “debutto” nel mondo della musica all'età di due cantando con il padre nello show televisivo di quest’ultimo. E d’altra parte Jay proviene da una famiglia di musicisti; suo fratello Gary suona la chitarra anche se non professionalmente e suo padre era, come detto, un cantante e cantautore. La sua versatilità lo ha portato ad abbracciare molti stili e correnti che spaziano dall’r&b al pop all’aor al jazz. E’  proprio traendo ispirazione da questa molteplicità di interessi e da un amore nato in tenera età che Jay Graydon ha dato alla luce una imprevedibile e inaspettata raccolta di composizioni originali di jazz in stile bebop. Ed è anche naturale (forse un po’ banale) che l’album in oggetto sia intitolato proprio “Bebop”. Una festa scintillante di musicalità, improvvisazioni solistiche, cambiamenti armonici avanzati e ritmi sincopati, nella migliore tradizione jazzistica ma con un tocco di modernità. Dieci tracce, tra le quali una intro di diciannove secondi estratta proprio da quello "show TV di Joe Graydon del 1951", in cui il piccolo Jay Graydon dice a suo padre che gli piace il bebop. In pratica quarantanove anni dopo Graydon finalmente da alla luce un progetto tutto imperniato sullo stile jazzistico che lo affascinò sin da bambino. Bebop si avvale di una bella registrazione digitale e offre una estesa gamma di frequenza e delle dinamiche molto naturali, a differenza di altri prodotti simili. Questa qualità si sposa magnificamente con il bebop e le sue funamboliche variazioni armoniche, come succede ad esempio con la formidabile batteria di Dave Weckl o con le altre delizie musicali sciorinate dal sassofonista Brandon Fields, dal bassista Dave Carpenter, e dal pianista Bill Cantos. Il disco trasmette all’ascoltatore un alto livello di piacere d’ascolto. Ciò è particolarmente evidente in un brano come "Blow Man" durante il quale il notevole assolo di pianoforte di Cantos e le splendide frasi melodiche e armoniche provenienti dal sax di Brandon Fields vengono esaltate perfettamente. Il progetto è prettamente acustico, e lo stesso Jay Graydon suona quasi sempre una chitarra semi-acustica, approfondendo la sua padronanza dell’improvvisazione solistica e catturando in modo mirabile l'essenza stessa del bebop, in un modo assai convincente per un artista che mai si era cimentato con il jazz puro. Con questo album Jay aggiunge altre e più vivaci sfumature al suo già policromo disegno musicale: non cerca alcuna scorciatoia e nessuna facile soluzione nascondendosi dietro la distorsione, l’alto volume o utilizzando tutti i tipi di gadget elettronici possibili. Bisogna essere un musicista di valore per cimentarsi a questi livelli, e Jay Graydon sicuramente dimostra chiaramente la sua abilità e la sua versatilità proprio su questo tanto atteso lavoro di jazz. Tra i brani, tutti molto divertenti e  interessanti, una menzione particolare va a  “Oh Yes There Will”  che apre di fatto l’album e fa capire subito che qui il jazz c’è eccome. E poi "Go ‘Way Moon", con la sua atmosfera raccolta e rilassata o la bluseggiante “C-Bop”. Simpatica la versione jazzistica dell’inno americano che assume contorni inaspettatamente da ballata jazz. Graydon gestisce il suo ruolo di solista attraverso la filosofia del “less  is more” con gusto e misura, dispensando sottile intelligenza e precisione tecnica senza mai mancare della giusta ironia. Bebop non solo consegna Jay Graydon alla ribalta del jazz contemporaneo con un’idea d’infanzia portata finalmente a compimento ma conferma il suo mosaico musicale arricchendolo con un nuovo e stimolante tassello, per la gioia dei suoi vecchi fan e con l’inaspettato apprezzamento dei jazzofili più appassionati.
(P.S.: L'unica nota negativa riguarda la copertina dell'album che merita senza dubbio una nota di demerito per la sua approssimazione che non rende affatto giustizia ai contenuti che sono viceversa di grande spessore.)