Brian Clay - Groove Story


Brian Clay - Groove Story

Se cercate uno stile musicale imparentato con il jazz e tuttavia senza le spigolosità e le difficoltà che quest’ultimo può presentare, finirete per imbattervi inevitabilmente nello smooth jazz. Morbidi suoni, melodie accattivanti, arrangiamenti raffinati contraddistinguono da sempre questo genere di fusion che ormai da tanti anni è diventato popolare. Sono numerosi i portabandiera di questa particolare corrente, in particolare tra i sassofonisti, i chitarristi ed i pianisti. Molti di questi sono artisti affermati e di grande successo, ma ci sono anche tanti giovani emergenti che risultano sconosciuti ai più. Pescando tra i meno noti, vorrei parlare di Brian Clay:  che è un pianista compiuto e maturo, ma anche un vocalist di talento, un ricercato compositore ed un affermato musicista di studio. Brian Clay è uno strumentista di primo piano in una scena smooth jazz come quella di Atlanta, che negli ultimi anni pare sfornare con regolarità alcuni dei migliori prospetti del panorama americano. Brian ha condiviso il palco, come atto di apertura o artista di supporto, con alcune vere e proprie leggende del jazz tra cui George Duke, David Sanborn, Stanley Clark e Gato Barbieri, così come con le star del contemporary jazz Norman Brown, Gerald Albright, The Rippingtons, Rick Braun, Kirk Whalum e Euge Groove. Lo stile di Brian Clay lo mette a  diretto confronto con autentici miti del pianoforte, gente del calibro di Joe Sample e Bob James, che appaiono effettivamente come le sue fonti d’ispirazione più forti. Il suo stile vocale invece ricorda Nat King Cole, Donny Hathaway e Luther Vandross, ma le parti cantate sono davvero poche nelle sue registrazioni. Inoltre la sua presenza scenica è davvero magnetica e le sue performance dal vivo sono estremamente dinamiche. Il pianista ha al suo attivo quattro album, di cui questo Groove Story è il suo ultimo. Uscito nel 2016, è la continuazione di un discorso estetico e stilistico iniziato una decina di anni fa ed evolutosi in maniera costante fino ad oggi.  Brian unisce uno straordinario talento di musicista con una eccellente conoscenza del jazz contemporaneo, certificata da una lunga militanza radiofonica presso la più importante emittente smooth jazz di Atlanta e attraverso la propria piattaforma internet denominata Jazzspirations. I sette brani dell’album catturano l’attenzione per la scorrevolezza e la gradevole vena melodica sottolineata dal giusto groove, profumato di funk. Allo stesso modo il suono del suo pianoforte acustico appare sempre brillante, pulito e preciso, senza eccessi di virtuosismo e senza sbavature. Gli arrangiamenti sono raffinati ma essenziali e sono tesi a valorizzare al massimo il tocco delicato e l’eccellente diteggiatura di Brian Clay. Se gli si può imputare un difetto, forse l’album non brilla per originalità, ma va detto che in parte è lo stesso smooth jazz ad essere per lo più ingabbiato dentro a degli schemi piuttosto ristretti. Groove Story resta comunque un bel disco: ideale per un sofisticato sottofondo domestico oppure per un piacevole viaggio in automobile. A volte può bastare anche così.