John Coltrane - Ballads
John Coltrane - Ballads
Di John Coltrane si conosce moltissimo, quasi tutto, è inutile dunque raccontare la biografia di quello che, senza dubbio, è uno dei geni assoluti del ventesimo secolo ed uno dei musicisti jazz più famosi di sempre. Diverso il discorso se ci si addentra nella sconfinata discografia del sassofonista di Hamlet. Tra i numerosissimi album di John Coltrane ci sono molte registrazioni storiche ed importantissime ed una manciata di lavori controversi che tuttavia riescono a dividere in qualche misura anche i suoi stessi appassionati. In generale, le sue opere più discusse sono quelle della parte finale della sua lunga carriera, come Om e Ascension, che si spingono nei territori del free jazz e sono di difficile lettura per chiunque. Per contro, Ballads è un album del 1962 che spesso viene criticato ed etichettato come troppo facile. Forse qualcuno lo può interpretare come una sorta di compromesso tra lo stesso Coltrane, teso verso il linguaggio del free e l’etichetta Impulse! che forse preferiva un approccio più graduale alla modernità. In effetti può essere stato una risposta di Coltrane a quei critici che trovavano il suo jazz dell’epoca troppo complicato, pieno di note e in generale ostico e spigoloso. Ovvero potrebbe essere considerato quasi una forzatura della volontà ormai maturata nel sassofonista di esplorare mondi nuovi e spingersi oltre le convenzioni del jazz classico. Al di là di queste teorie nate attorno alla pubblicazione di Ballads ed a tutte le speculazioni più o meno legittime della critica, la realtà è che questo è un grandissimo disco di John Coltrane. Trane è qui impegnato a fare quello che ha sempre fatto con passione ed impegno e cioè esplorare nuove strade e nuove modalità, in una ricerca artistica personale inesauribile ed illuminata, sia pure in questo specifico caso nel solco della tradizione. Ballads è un’opera che guarda al lato più passionale della musica, alle sue espressioni più calde e romantiche. Un particolare percorso calato nel mainstream che Coltrane avrebbe intrapreso sia con Johnny Hartman (su John Coltrane e Johnny Hartman, 1963) che con Duke Ellington (su Duke Ellington e John Coltrane, 1963), nonostante a quel punto il genio si fosse già lanciato verso la musica modale in odore di free jazz. Il formidabile quartetto (oltre a Coltrane ci sono: McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison al contrabbasso e Elvin Jones alla batteria) non aveva mai suonato prima gli otto brani, e li registrò tutti (eccetto All or Nothing at All) alla prima take senza fare alcuna prova. Le esecuzioni sono morbide, avvolgenti e introspettive. In particolare il suono di Coltrane appare malinconico e riflessivo, mentre ampio spazio viene lasciato anche al pianoforte di Tyner che non manca di mettersi in luce senza mai strafare. Elegantissimo nella sua purezza formale, Ballads scorre fluido ed incantato, quasi fosse la colonna sonora di un film in bianco e nero, evocativo e profondo eppure sempre musicalmente leggiadro. Una narrazione musicale continua, sia pure composta da otto distinti capitoli che avvolgono l’ascoltatore in una morbida coperta di note, fatta di melodie penetranti ma sempre garbate, che rilassano, evocano ricordi e danno un senso di serenità e di equilibrio. Qui non ci sono highlights o segnalazioni di un brano piuttosto che un altro, l’album è da ascoltare tutto d’un fiato, da godere in ogni attimo, in ogni fraseggio. Probabilmente i capolavori assoluti di Trane sono altri, tuttavia Ballads rimane un esempio meraviglioso di mainstream jazz ed un momento particolare nella discografia del sassofonista. Con Ballads Coltrane ci regala un gioiello melodico proprio quando è alle porte per lui una svolta talmente radicale da non consentirgli quasi più un ritorno ai linguaggi più accessibili. Forse anche per questo lo apprezzo così tanto. Red Garland, uno dei suoi pianisti storici, disse: “Dopo Parker è arrivato Trane. Poi, quando anche lui è scomparso, è rimasto il deserto. Arriverà un altro messia? All'orizzonte non appare nessuno”. Questo parla della grandezza del Coltrane musicista, ma mi è cara una frase dello stesso John che fotografa soprattutto l’uomo: “Il jazz, se si vuole chiamarlo così, è un'espressione musicale; e questa musica è per me espressione degli ideali più alti. C'è dunque bisogno di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà. E con la fratellanza non ci sarebbe nemmeno la guerra”. Cosa dire ? … Immenso.