Alan Hewitt & One Nation - Evolution


Alan Hewitt & One Nation . Evolution

Alan Hewitt è un tastierista di talento, noto come solista principalmente nell’ambito dello smooth jazz. Come produttore ha avuto l'onore di lavorare con Maurice White degli Earth Wind and Fire per oltre mezzo decennio, coronando questa collaborazione con il “Greatest Hits” degli EWF che ha raggiunto il disco di platino nel 2000. E’ stato inoltre tastierista in tour per la leggendaria band rock dei Moody Blues, e l'elenco delle sua partecipazioni sia come produttore che come musicista sono numerose ed importanti. Alan Hewitt è anche il compositore di colonne sonore di una lunga lista di produzioni cinematografiche e televisive. Dal punto di vista musicale Hewitt prende ispirazione con naturalezza dal jazz contemporaneo, dalla fusion ma anche dal pop e dal rock. Il suo ultimo album, "Evolution" è un perfetto esempio di fusione tra rock, jazz e progressive. Alan ovviamente padroneggia il pianoforte e tutte le tastiere e si avvale della collaborazione di JV Collier al basso, Sonny Emory alla batteria, Jamie Glaser e Duffy King alla chitarra e di due ospiti speciali come Orianthi e Alex Boye. La formazione ci dice, prima ancora di ascoltare una sola nota, che Alan Hewitt & One Nation sono una band di musicisti dotati di grande virtuosismo, tutti molto rispettati dai loro colleghi. Abituato alle atmosfere ovattate e forse un pò banali dei precedenti album di Hewitt da solista, non immaginavo questo genere di lavoro e di conseguenza le mie aspettative non andavano al di là di una modesta curiosità. Ora, dopo aver sentito le dodici tracce di "Evolution" mi accorgo di essere incappato in qualcosa degno del massimo rispetto e di grande attenzione. Anche se formalmente piuttosto lontano dal jazz, musicalmente "Evolution" non ha punti deboli, è una raccolta di grandi brani magistralmente eseguiti. È fresco, è potente ed energico, è retro ed è moderno, in due parole: è convincente. Si tratta di una sintesi molto ben riuscita di vari generi musicali tra di loro piuttosto distanti e caratterizzati da strutture sonore alquanto differenti. Qui troviamo infatti la fusion degli anni’70 e molto del miglior progressive dello stesso periodo, ma anche il funk e il rock.  Alan Hewitt è un virtuoso della tastiera, ma stupisce la sua raffinata sensibilità nella creazione di questi sorprendenti paesaggi sonori definiti su una molteplicità di ritmi sofisticati. Si va dalla elastica e pirotecnica fusion di "Devotion" alla variopinta e frammentata atmosfera rock  di "Wunderland", passando per il soul funk latineggiante di "Revelation” (ft. Alex Boye)" e lo scintillante prog-rock di "Utopia” (ft. Orianthi). Dopo i primi brani si intuisce chiaramente che si sta ascoltando uno degli album di crossover più brillanti, lucidi e maturi degli ultimi anni. L’abilità compositiva di Alan Hewitt e la padronanza sulle tastiere sono davvero impressionanti, esemplificate al meglio nella cavalcata progressive di "Into The Eye (ft. Orianthi)" così come sulla jazzistica "Big Bang", dal ritmo sincopato e originalissimo. Alan Hewitt si fa conduttore dei talenti di questa band, composta da veri maestri dei loro strumenti, riuscendo anche a lasciare il giusto spazio a tutti i musicisti ed esaltare le individualità. E così è piacevole ascoltare la bella voce di Alex Boye, apprezzare la chitarra della brava Orianthi, che come sempre, è tecnicamente superba ma senza eccessi. Fantastico è anche Duffy King che affascina con la sua elettrizzante sei corde in alcuni dei pezzi più significativi. Una menzione particolare infine per quel fenomeno di Sonny Emory alla batteria, che per tutto l’album dispensa ritmo ed energia da par suo, adattandosi a tutti gli stili con intelligenza e versatilità. Non ci sono dubbi che Alan Hewitt sia un grande talento della nostra epoca, circondato da un gruppo di musicisti (One Nation) che valorizzano al meglio le sue qualità. Il risultato è "Evolution" un album che mette in mostra una superba tecnica strumentale e al contempo riesce ad emozionare, senza diventare mai freddo o fine a se stesso. E’ ovvio che qui il jazz o la fusion sono solo un piccola parte dell’alchimia e gli appassionati cultori del purismo forse farebbero bene ad evitarlo, tuttavia gli ascoltatori più curiosi, e di sicuro i seguaci del progressive rock, troveranno molti motivi per apprezzare un’opera come questa. In ultima analisi è un disco che dimostra qualora ce ne fosse bisogno, che i veri musicisti, con veri strumenti sono ancora in grado di creare e suonare composizioni stimolanti ed interessanti, come mai potrebbero fare loop, campionamenti e tecnologia.