Steve Davis – Say When


Steve Davis – Say When

Analizzando un’uscita discografica datata 2015 come quella di Steve Davis viene spontaneo pensare che i cambiamenti che hanno modificato il corso del jazz nel 21° secolo sono stati molti ed estremamente diversificati. Con il supporto dei media, sempre alla ricerca della novità, sembra che i fautori delle nuove tendenze abbiano optato con convinzione per un allargamento del concetto stesso di jazz, esasperandone l'apertura fino a comprendere anche stili che sono, ad onor del vero, lontanissimi dall’originale. È così che gli elementi chiave, che sono stati sempre in primo piano nel jazz, come l'elaborazione profonda e metodica della melodia, lo swing e l'improvvisazione, vengono ormai considerati come obsoleti da una parte consistente della critica e del pubblico. Diciamo che effettivamente una piccola porzione della nuova musica riveste un ruolo di vitale importanza nell’innovazione e nella ricerca, ma gran parte di essa è  purtroppo musicalmente irrilevante, ed anzi contribuisce ad assottigliare ulteriormente il pubblico del jazz: una platea che, a conti fatti, si riduce di giorno in giorno. Questa premessa da sola basterebbe a rendere un album come Say When di Steve Davis una merce rara, quasi fosse una sorta di stato dell’arte  del jazz mainstream, declinato da alcuni tra i migliori musicisti di New York. Questo album, inoltre, rende omaggio alla leggenda del jazz J.J. Johnson, cosa che induce ad un’ulteriore carica di interesse ed ottimismo. Però è triste pensare al fatto che questo tipo di registrazioni erano la norma qualche decennio fa, mentre oggi vanno considerate splendide eccezioni. Il trombonista Steve Davis può vantare una bella discografia come solista, ma si è ritagliato al contempo un ruolo importante nella band One For All, che molti osservatori paragonano ai Messengers di Art Blakey. Davis stesso dice che questo omaggio a J.J. Johnson era in cantiere da molti anni, però ha deciso di dare corpo al progetto solo di recente. I brani che compongono Say When sono ben undici e tutti di consistente lunghezza, per un totale di oltre un’ora di bellissima e genuina musica jazz. Gli originali di Johnson sono sei, ma tutto l’album è costituito da materiale classico associato a vario titolo al celebre trombonista be-bop: Davis ha sia l'esperienza che l’abilità tecnica per onorare al meglio il suo mentore, esprimendo così anche la sua propria pulsione creativa. A supporto del bravo trombonista ci sono i suoi più fidati e regolari collaboratori, vale a dire Eric Alexander, Harold Mabern, Nat Reeves, e Joe Farnsworth. Un gruppo di musicisti che ha suonato insieme così tante volte che il loro livello di comunicazione musicale è praticamente perfetto. La novità è qui rappresentata dall'aggiunta di Eddie Henderson alla tromba. Va detto che Davis, nei suoi arrangiamenti, utilizza i fiati con molto gusto ed equilibrio: di fatto il trombonista riesce a creare un’architettura musicale perfettamente congeniale alla libertà espressiva di ogni singolo solista. Ad esempio la suggestiva tromba con sordina di Eddie Henderson illumina un brano come "Shortcake", tessendo lucide melodie di grande bellezza. Sull’originale di Harold Mabern intitolato "Mr. Johnson" è Eric Alexander che si mette in evidenza con il suo assolo di sax, concludendolo con uno dei suoi caratteristici trilli, ma anche l’intervento del trombone del leader è degno di nota. Quella proposta da Steve Davis è una formula seducente ed anche molto coinvolgente, come è facile apprezzare ascoltando brani come "Say When" e "Pinnacles". Harold Mabern è puntuale con i suoi caratteristici accordi ed il suo inconfondibile tocco soul crea le basi armoniche per il classico  "What Is This Thing Called Love?" ed il bel brano "Kenya". Viene dato il giusto spazio anche al bassista Nat Reeves, che ha la possibilità di mettersi in luce, prendendosi due stupendi assoli  su "Lament" e "Shutterbug." Una nota particolare va poi riservata al batterista Joe Farnsworth: il quale dimostra qui, ancora una volta, il motivo per il quale è considerato uno degli specialisti più acclamati del panorama jazzistico contemporaneo. Il suo drumming è vario e fantasioso e il suo groove è una vera icona di come una batteria jazz dovrebbe davvero suonare. Pur essendo Say When un album di Steve Davis, egli non si fa mai prendere la mano dal suo ruolo di leader e non da mai la sensazione di voler essere protagonista a tutti i costi. Ciò nonostante, il suo trombone appare agile e pieno, così come la mirabile liricità del suo sound colpisce l’ascoltatore in tutti i brani del disco, in particolare sulle due bellissime ballate "Lament" e "There Will Never Another You". Il retaggio del mitico J.J. Johnson è particolarmente evidente in un  vecchio cavallo di battaglia  come la celeberrima "When the Saints Go Marching In" che la band ripropone come numero di chiusura dell’album. Con Say When, Steve Davis confeziona un disco estremamente intelligente, ammantato da un’aura di classicismo jazz ed intriso di un grande senso di rispetto nei confronti del maestro di tutti i trombonisti moderni: J.J. Johnson. Coadiuvato da una sezione ritmica tra le migliori sulla piazza e da due solisti di grande spessore Steve Davis ci regala uno dei suoi migliori lavori di sempre. Ispirandosi al bebop degli anni '50, Steve Davis ha perfezionato un suo personale e distintivo suono al trombone, contribuendo in maniera significativa a mantenere vivo uno strumento troppo spesso dimenticato. Qui si ascolta il classico ed immortale hard bop, ed è un disco da scoprire assolutamente.