Bill Laurance - Aftersun


Bill Laurance - Aftersun

Bill Laurance  è un pianista, compositore, arrangiatore e produttore inglese, probabilmente sconosciuto alla maggior parte del grande pubblico. La sua formula musicale è un complesso intreccio di jazz e fusion con echi di elettronica e classica. Dopo aver studiato presso l'Università di Leeds, Laurance ha lavorato con diversi artisti tra cui il trio hip-hop Morcheeba, il sassofonista Chris Potter e il chitarrista africano Lionel Loueke. Come attività parallela, guida il duo elettronico Fix ed è soprattutto uno dei membri fondatori dell’eclettico collettivo jazz di Brooklyn Snarky Puppy. Nel 2014, Laurance ha pubblicato il suo primo album da solista, Flint, per l’etichetta GroundUp. A cui ha fatto seguito l'anno seguente con Swift. Aftersun del 2016, è quindi il terzo album da solista di Laurance. Ispirato dal suo interesse per l'astronomia e l'esplorazione dello spazio, l'album è caratterizzato dalle partecipazioni dei suoi colleghi Snarky Puppy: Michael League e Robert "Sput" Searight, e da quella del percussionista Weedie Braimah. Quelli di voi che hanno seguito questo blog negli ultimi mesi, sapranno quanto ogni attività correlata al gruppo degli Snarky Puppy rappresenti per me un motivo di grande interesse. Aftersun è di fatto il progetto più essenziale di Bill Laurance, a differenza dei suoi due dischi precedenti che sono stati invece concepiti come lavori di ampio respiro, pensati per restituire una grande atmosfera e un forte impatto. Laurance ha ridimensionato le sue ambizioni per questo nuovo album, lasciando da parte archi e ottoni, in favore di un semplice quartetto, con  il deus ex machina degli Snarky Puppy Michael League al basso, Robert 'Sput' Searight alla batteria e Weedie Braimah alle percussioni. Aftersun rappresenta dunque una nuova direzione nello stile compositivo di Bill. Il suo obiettivo principale è fondere i ritmi dance, un certo fusion groove e le percussioni africaneggianti con l’approccio originale che Laurance applica da sempre al jazz. Questi cambiamenti hanno portato ad un prodotto finale che è veramente speciale. Nessun album è perfetto, e questo ha certamente qualche neo, ma ciò che in ultima analisi ne esce è la creazione di un suono che è del tutto nuovo ma al contempo intrigante e familiare. Il disco si apre con “Soti”, un brano che introduce benissimo il sound complessivo di Aftersun. Un bizzarro effetto di fade-in (che ritroveremo più volte nel corso della registrazione) produce una sorta di emersione della musica, quasi come se provenisse dalle profondità degli abissi. Ma ciò che è immediatamente evidente, è l'uso massiccio di ritmi sincopati che, combinato con la forte presenza delle percussioni e delle potenti linee di basso di League, contribuisce a dare quella sensazione dance che sembra pervadere il progetto. Un altro degli elementi più divertenti di Aftersun è la mirabile manipolazione delle texture musicali. Tuttavia, a mio parere è nelle tracce incentrate sul pianoforte, come “The Pines” e “Madeleine” che questo disco esprime il meglio. In questi brani la propensione di Laurance per la fusion raggiunge l’apice della sofisticazione e della qualità, unitamente ad uno slancio emotivo impressionante. Sulla trascinante The Pines sia il basso che le percussioni sono meno abrasive e più rotonde, mentre il pianismo di Laurance è chiaro e pulito, ricco di sfumature, ma certamente non manca di dinamica e virtuosismo. Madeleine è invece tutta giocata sul contrasto: il piano elettrico sale alla ribalta su una ritmica persistente dal sapore afro e l'uso di suoni elettronici si fa più evidente. Tutto questo apre la strada per un ottimo assolo di basso di Michael League. E’ molto particolare la sensazione contrastante che questi brani suggeriscono all’ascoltatore;  suonano quasi come brani dance, ma non si percepiscono come tali. Non sono mai prevedibili: sono chiaramente disseminati di sensibilità jazzistica ma al contempo ci si rende conto che non sono facilmente codificabili. Madeleine è l'esempio perfetto di ciò che Laurance ha creato qui: un jazz ibrido, pieno di contaminazioni e suggestioni diverse che richiede la massima attenzione per essere veramente compreso. L’album è pieno di bei ritratti musicali e vi si coglie una vena positiva e serena, quasi impressionista. “Time To Run” è il brano più lungo del disco ed è indubbiamente una traccia dallo stile quasi minimalista: è ripetitiva, ma contiene un sacco di elementi complessi che mantengono vivo l’interesse, come ad esempio la ritmica ed i particolari riff di tastiere e clavinet. Purtroppo, anche un album accattivante come Aftersun ha qualche difetto. Ad esempio il brano “Bullet”, che ad onor del vero è fin troppo ripetitivo e banale, un pezzo che suona molto meno “cool” del resto dell’album. Ma il livello non tarda a risalire con la successiva “Aftersun”, un numero particolarmente evocativo e d’atmosfera con una bella progressione armonica ed un enigmatico e affascinate uso del moog. “First Light” suona ancora una volta spiazzante ed originale, con le tastiere del leader a giocare tra loro ed un intervento anche del vocoder. Il tema della ballata è svolto in modo mirabile con “Golden Hour” dove a prevalere è la bella melodia suonata dal piano acustico e nella quale l’atmosfera è rilassata e sognante. La traccia finale dell'album “A Blaze” è una canzone fantastica, che potrebbe essere la colonna sonora di un film thriller con il suo andamento nervoso ed irregolare: Bill Laurance usa i synth per simulare la chitarra distorta mentre la ritmica sincopata sottolinea energicamente la complessa struttura del brano. In ultima analisi, Aftersun è un gran disco che nasce da una sintesi tra l’esplorazione del nuovo e la tradizione a noi più familiare. Bill Laurance  ha realizzato un progetto creativo di grande fascino e concretezza mutuando in questa sua ultima fatica anche l'esperienza della collaborazione con gli Snarky Puppy. Aftersun è la dimostrazione che Laurance è un musicista molto intelligente da tenere in grande considerazione: egli non è solo il tastierista del gruppo cult del momento ma è senza dubbio una delle voci più interessanti del jazz britannico di oggi.