Tony Saunders – Sexy Somethin’


Tony Saunders – Sexy Somethin’

La vita del bassista Tony Saunders è stata fin dall’infanzia molto interessante. Figlio del grande tastierista e compositore Merl Saunders, Tony è stato protagonista di una serie di esperienze legate alla musica che ogni appassionato vorrebbe aver avuto. Due esempi ?...Da bambino gli fu insegnato pianoforte nientedimeno che da Herbie Hancock e per il suo decimo compleanno ricevette in dono da Sly Stone un organo elettrico. Cresciuto all’ombra di un artista come suo padre e spesso tenuto a contatto con i musicisti che gravitavano intorno alla Fantasy Records, Tony ha avuto relazioni dirette e continuative con molti personaggi di rilievo del mondo discografico, tra cui anche il famoso produttore Saul Zaentz. La sua passione per il basso è iniziata dopo aver assistito ad alcune sessioni di registrazione di Anthony Davis con suo padre Merl. Il giovane Tony restò talmente impressionato che si convinse ad impegnarsi nello studio della musica. Tony si diplomò infine al prestigioso conservatorio di musica di San Francisco come pianista, ma subito dopo cominciò a perfezionare le sue abilità con il basso. Le sue principali influenze erano James Jamison, Stanley Clark e Jack Cassidy. A conferma di una particolarissima parabola personale, fu Tom Fogarty dei Creedence Clearwater Revival a regalare a Tony il suo primo basso elettrico e Chuck Rainey e John Kahn a loro volta si interessarono al ragazzo, dandogli lezioni e segnando così definitivamente la sua carriera. Il viaggio musicale di Saunders, cominciato sotto una buona stella fin da bambino, è continuato fino a oggi, suggellato da collaborazioni prestigiose (Eric Clapton, David Crosby, Joe Sample, Chaka Khan, Ringo Starr, Bo Diddley) e da una piccola ma significativa produzione da solista. Tony Saunders può vantarsi di aver suonato in centinaia di album, ha scritto colonne sonore premiate (ha vinto due Emmy Awards) ed è autore anche di jingle commerciali. La sua attività continua senza sosta, anche come produttore, nel suo studio all'avanguardia nella California del Nord. L'ultimo album di Tony intitolato Sexy Somethin’ è il suo sesto lavoro come solista. Pur restando fedele al suo sobrio stile smooth jazz, Tony Saunders passando da un album all’altro, ha sempre riservato ai fan alcune piccole ma significative variazioni sul tema. Il precedente lavoro, Uptown Jazz, era stato impostato attorno ai ricordi ed alle sensazioni maturate quando gravitava nei club jazz di New York. Dopo 4 anni il suo sforzo è stato quello di cercare di creare il suo album migliore, il più piacevole, e perché no, il più sensuale: da qui il titolo del lavoro. Uno dei grandi vantaggi di avere così tanti anni di successi alle spalle consiste nella capacità di Saunders di attrarre in veste di ospiti delle autentiche superstar, cosa che lo agevola  nella realizzazione dei suoi progetti musicali. In questo lavoro il primo di questi collaboratori è il chitarrista Nils, che altro non fa se non aggiungere la sua frizzante energia al groove implacabile di Saunders su alcuni dei brani di Sexy Somethin’. Ad esempio sulla traccia di apertura, dove dona un nuovo e vivace tocco strumentale alla hit degli anni '80 "Rock Steady". Il bravo Nils risulta fondamentale in altri due momenti del disco da non perdere: ad esempio nello stimolante "Chasing The Dream", in cui fonde il lato più fluido e melodico della chitarra elettrica con il classico groove del moderno smooth jazz. Il brano è illuminato anche dal sax super soul della stella emergente Jeff Ryan ed ovviamente dal basso di Saunders. E’ particolarmente apprezzabile il modo così melodico con il quale Tony Saunders interpreti le sue onnipresenti parti da solo. Il suo è un flusso funk potente ma declinato con un fraseggio cantabile e sempre perfettamente nitido. C’è ancora spazio per la chitarra di Nils in abbinamento al maestro delle tastiere Jeff Lorber quando Tony rende omaggio al grande George Duke con il brano After George. E’ un rilassato momento pieno di pathos ma non privo di groove. Come faceva spesso lo stesso George Duke, la traccia diventa più funky mano a mano che  procede fino a quando Lorber parte con un favoloso assolo di synth e quindi con un'improvvisazione al pianoforte che è un vero inno all'epoca d’oro della fusion, così ben interpretata dal maestro Duke. Ma Nils non è l'unica star della chitarra su Sexy Somethin’. Saunders ha chiamato anche Paul Jackson, Jr. sulla setosa e forse autobiografica "Tony's Romance" dove il corpulento bassista abbina il suo stile serrato e scattante con quello del famoso chitarrista: ritmico alla maniera della vecchia scuola ma pungente e preciso in assolo. In verità un brano bellissimo, uno dei migliori dell’intero album. Il pezzo che da il titolo all’album, Sexy Somthin’ è un altro saggio della maestria di Saunders al basso elettrico: il musicista fa fluttuare le sue linee corpose e liquide sull'eleganza della scrittura jazzistica sfruttando appieno la magia del synth di un'altra importante guest star, la tastierista Gail Johnson. La Johnson contribuisce anche sulla intrigante "Brock Avenue" con sapienti tocchi di piano elettrico che vanno a creare un pezzo di grande impatto. Come sempre Saunders è solidissimo nel gettare le basi per la scintillante melodia sviluppata al piano dal co-produttore del disco Ray Chew, mentre è il turno del sempre bravo Paul Brown prendere posto alla chitarra. Se l’intento di Tony Saunders era quello di dare vita ad un album di smooth jazz basato sul fantastico sound del suo basso, il bersaglio è stato centrato anche questa volta. Complice un corposo aiuto di un folto gruppo di eccellenti guest star, Sexy Somethin’ è un disco accattivante, ricco di spunti interessanti e sempre estremamente gradevole. Si tratta di contemporary jazz di facile lettura e tuttavia non privo di una qualità compositiva intrinseca di ottimo livello nonché di un notevole buon gusto negli arrangiamenti. Ovviamente è principalmente destinato a chi predilige il basso elettrico come strumento solista, ma non mancherà di essere apprezzato da un più vaso pubblico di appassionati di quella forma leggera e poco impegnativa di jazz che da qualche anno a questa parte viene universalmente definita con l’aggettivo “smooth” (furbo in inglese).