Omar Hakim & Rachel Z - The Trio Of Oz


Omar Hakim & Rachel Z - The Trio Of Oz

Scoprire casualmente il progetto The Trio of Oz di Omar Hakim e Rachel Z  è stato uno di quei piaceri inaspettati che di tanto in tanto si verificano, specialmente se si è avidi ricercatori di musica. Non avevo avuto occasione in precedenza di imbattermi in questo lavoro del 2010, ma dopo aver saggiato le qualità di questo trio sono contento che sia successo. Il batterista Omar Hakim, dopo aver pubblicato un paio di album da solista non proprio esaltanti a causa di una chiara vocazione commerciale, ha finalmente trovato una formula che mi è apparsa subito molto convincente. Per dare finalmente una svolta alla sua produzione artistica in un modo che fosse degno del suo indubbio talento, Omar ha messo insieme una mini band denominata Trio Of Oz e quello di cui vi parlo è purtroppo il loro primo e finora unico album. D’altra parte Hakim ha un curriculum che parla da solo: ha suonato con Miles Davis, Herbie Hancock ed i Weather Report, ma l’elenco delle sue collaborazioni (anche fuori dal mondo del jazz) sarebbe davvero troppo lungo da riportare. Universalmente apprezzato per la sua versatilità, l’abilità tecnica ed il magnifico groove che è in grado di sprigionare, Omar Hakim è uno dei batteristi e session man più importanti degli ultimi quarant’anni. Trio Of Oz nasce grazie al sodalizio (non solo artistico) con la pianista Rachel Nicolazzo (alias Rachel Z.), completato da un’altra donna: la contrabbassista Maeve Royce. I tre musicisti hanno creato un album emozionante e per certi versi anche inatteso. Sia Hakim che Rachel hanno in passato frequentato territori molto lontani dal jazz, in alcuni casi davvero in antitesi. Ma qui si concretizza una sorta di miracolo musicale poiché la scelta dei brani pescati dal mondo del rock farebbe presagire esiti molto diversi. Ed invece eccoci davanti ad un incontestabilmente vero disco di jazz. Un jazz moderno ma rispettoso della tradizione dove l’alternanza degli stati d’animo passa dalla tensione alla malinconica dolcezza, dalla gioia di vivere alla riflessione, spingendo magneticamente a scoprire quello che verrà dopo. Qualcuno potrebbe obiettare che l’album non contiene composizioni originali ma solo covers. Bene, questo è senza dubbio vero, ma il consiglio è quello di ascoltare con la mente aperta: i temi e le melodie sono firmate da altri, ma una volta che il trio ha finito di presentare la traccia di base dei brani (ovviamente nell’idioma jazzistico), non ci sono più regole e strutture. Si entra nel regno di Oz… e la magia ha inizio davvero. E in quel preciso momento non importa che tu sia o no un fan degli artisti responsabili di queste canzoni (tra cui "Lost" dei Coldplay, "In Your Room" dei Depeche Mode, "King of Pain" dei Police, "Sour Girl" dei Stone Temple Pilots, "Angry Chair”di Alice In Chains, e "I Will Posses Your Heart" di Death Cab For Cutie). Il Trio di Oz li prende e li fa propri. Di fatto dopo pochi secondi di ascolto non si può fare a meno di rimanere colpiti dal sound e dal groove che scaturisce dalla band. Il batterista Omar Hakim dimostra una volta per tutte che il suo talento è eccezionale ed il suo modo di suonare è uno dei più spettacolari dei nostri tempi, anche se si esprime con la lingua del jazz e non solo quella della fusion o del funk. E’ il paradigma del drumming moderno, in grado di spaziare tra stili e generi diversissimi con la stessa naturale disinvoltura: un modello di riferimento per chiunque si approcci alla batteria. Lui ha anche gestito in prima persona il mixaggio dell'album e supervisionato la registrazione in ogni suo aspetto: semplicemente Hakim ha colto perfettamente l'atmosfera del Trio. Il risultato è un disco nitido, preciso e immediato, esattamente come dovrebbe essere. Mi piace sottolineare quanto sia degno di nota il suono di contrabbasso di Maeve Royce, che ha svolto un lavoro eccezionale non tanto in termini di volume, quanto di sensibilità e tecnica. A proposito, Maeve Royce ha di certo un curriculum meno impressionante di Hakim e Rachel Z, ma il suo basso acustico si integra alla perfezione con il trio, dando una spinta significativa ad ogni brano. Basta porre l’attenzione ad esempio ai suoi adorabili passaggi con l’archetto su "Det Tar Tid" o godersi la sua introduzione perentoria ed accattivante di "I Will Possess Your Heart". O ancora quando si destreggia con un brano di pura estrazione rock blues come "Whipping Post". Il già citato "I Will Possess Your Heart" mostra anche lo speciale tipo di potenza pirotecnica che Hakim è in grado di scatenare con la sua batteria. Rullate selvagge, ma totalmente in controllo, con Rachel Z che mantiene un solido sottofondo di accordi su cui imbastire intrecci ritmici tanto arditi quanto ipnotici. E poi non si può ovviamente non parlare di Rachel Z stessa, che in carriera ha collaborato con alcuni grandi del jazz come Wayne Shorter, Larry Coryell e Al Di Meola e nel contesto del trio sembra trovarsi davvero a suo agio. Il suo stile pianistico con il Trio of OZ spazia dai lontani echi di Monk alle sequenze veloci dal sapore di bebop. Riversa nell'esecuzione, con intelligenza e ottima tecnica, deliziose cascate di note che si amalgamano sulle trame ritmiche dei suoi compagni d’avventura. Vola sulla tastiera con la grazia e l'immaginazione di Keith Jarrett senza risultare mai una vana imitatrice. Attraverso Trio Of Oz, Omar Hakim e Rachel Z cercano di conciliare due anime contrastanti come il jazz ed il rock, scegliendo una via non facile, e cioè quella che vede prevalere lo stile più colto e raffinato su quello più popolare e diretto. Le collaborazioni che i due hanno avuto con numerosi artisti pop/rock hanno evidentemente sortito un effetto benefico. Lo scambio e l’interazione tra le due culture musicali è servito da trampolino per la creazione di un nuovo modo di coniugare due mondi tanto diversi. Quello che ne esce è una sorta di ibrido mutante, un soggetto musicale che cerca di catturare il divertimento del rock senza compromettere l'integrità colta del jazz. In realtà, alla prova dell’ascolto, il Trio Of Oz fa pendere l’ago della bilancia sonora molto più dalla parte del jazz che verso quella di altre forme musicali moderne. Si rifugge dalla trappola dell’ipertecnicismo a tutti i costi, si evitano le chitarre funamboliche, i sintetizzatori, i volumi eccessivi e la ricerca del virtuosismo ad effetto. La strada è invece quella di una pacata ed intelligente rilettura del classico trio jazz nella quale Hakim e Rachel Z, insieme a Maeve Royce, sembrano piuttosto ridefinire il concetto di "jazz rock" con una formula avvincente e piena di passione che tuttavia, pur profumando di contaminazioni, resta saldamente nel solco della tradizione. Però il bello del Trio Of Oz sta proprio nel fatto che ogni volta che il jazz pare sul punto di risultare troppo conservativo o incatenato nei suoi schemi i tre musicisti fanno uno scatto in avanti,  trovando quel delicato equilibrio tra il retaggio del passato e la spinta verso il futuro. Consigliato a tutti.