Gilgamesh – Gilgamesh


Gilgamesh – Gilgamesh

Agli inizi degli anni ’70, nel progressive rock, ci fu un momento di grande fermento creativo in grado di creare una scuola, una corrente di pensiero, uno stile che ha lasciato un’impronta importante del suo operato. Questa bellissima parentesi prese il nome di scuola di Canterbury e se ne parlo in questo blog è perché la caratteristica principale e distintiva delle band e degli artisti che facevano parte di quel gruppo era proprio l’affinità elettiva con il jazz e con la sperimentazione. Ovviamente qualcuno di questi musicisti era più orientato verso il rock, ma la maggior parte di essi suonavano, componevano e creavano con un spirito davvero molto vicino al jazz. I Gilgamesh furono uno dei migliori esempi della corrente canterburiana: era il 1975 quando la band ci consegnava l'esordio omonimo, fotografia di un gran bel gruppo, emerso quando la scena britannica della piccola città del Kent stava volgendo al termine. L'album del quartetto del tastierista Alan Gowen,  che comprendeva in quel momento anche il chitarrista Phil Lee, il bassista Jeff Clyne e il batterista Mike Travis, fu pubblicato dalla Virgin Records. Verso la metà degli anni '70, il sostegno dell’etichetta Virgin alle band di questo tipo stava per finire, anche perchè ormai il punk e poi la new wave erano prossimi a sconvolgere il mercato discografico. Arrivati dunque in ritardo rispetto al momento clou della scuola di Canterbury, Gowen e compagni avevano connotati  simili al super gruppo Hatfield & The North, e in effetti proprio Dave Stewart, il tastierista degli Hatfields, ha co-prodotto questo album. I Gilgamesh avevano perfettamente assorbito la filosofia musicale degli Hatfields e delle loro lunghe suite così come la complessità dell’approccio di Canterbury più in generale. Al contempo la band non era una mera e palese emulazione ma anzi, oltre a proporre una sua personale via, era anche portatrice di un benemerito recupero di quanto fatto ad esempio dai troppo spesso dimenticati Soft Machine. Sicuramente fin dalle prime note di apertura della complessa suite in tre parti "One End More / Phil's Little Dance / Worlds of Zin", i Gilgamesh si dimostrano capaci di agili linee musicali e intricate armonie, pur astenendosi in modo ammirevole da un eccesso di tecnicismo. Inevitabilmente si sentono echi di progressive alla King Crimson con tanto di pianoforte a coda (cit. Keith Tippett su Lizard) e di mellotron. Ma ci sono anche contaminazioni jazz funk suggerite dall’uso del clavinet ed un sentore generale di jazz, poiché non mancano lunghi assoli e una dose d’improvvisazione. Tuttavia una produzione uniforme ed attenta attenua queste eccentriche contrapposizioni, mettendo in risalto la chiarissima appartenenza alla mitica corrente canterburiana. "Lady and Friend" mostra un’atmosfera diversa e molto più rarefatta dove inizialmente il basso di Clyne, simile a una ninna nanna, viene accompagnato da un leggero piano elettrico e dalla chitarra, per poi diventare una sorta di lenta ballata corale. "Arriving Twice" di Gowen è un meraviglioso intermezzo di meno di due minuti: chitarra acustica, pianoforte elettrico e synth delineano una melodia che si ispira al jazz, al folk e al classico ma che alla fine trascende tutte queste etichette. Dove il jazz elettrico si fa più evidente è la prima parte di un’altra lunga suite in tre sezioni intitolata "Island Of Rhodes / Paper Boat / As If Your Eyes Were Open". Il piano elettrico fluttua liquido in un universo notturno che ricorda In A Silent Way così come fa la chitarra elettrica. Il brano si anima progressivamente in una spirale sonora molto intrigante e va infine a compiersi su ritmi più sostenuti dando libero sfogo all’improvvisazione di un ispirato Phil Lee. Un susseguirsi di colpi di scena musicali imprevedibili, che creano un grande pathos. L'album ogni tanto indulge sui suoni cari agli Hatfields di Rotter’s Club, ad esempio in "Jamo and Other Boating Disasters" che presenta la voce da soprano di Amanda Parsons in puro stile Northettes. Resta comunque diffusa una forte sensazione di jazz rock, di raffinatezza e di ottima perizia tecnica.  In realtà è lo stesso Alan Gowen che evita la trappola di una eccessiva replica del Canterbury Sound, non abusando dell’organo Hammond carico di effetti in favore dell’uso più massiccio di sintetizzatori dai suoni sinuosi e avvolgenti e del piano elettrico. Insomma si preferisce accarezzare l’ascoltatore invece di colpirlo con le sonorità più acide. Il progetto Gilgamesh durò per un breve periodo di circa 3 anni e produsse due soli album, il secondo dei quali, altrettanto interessante, uscì nel 1978. Presto il gruppo si sciolse, in parte anche a causa dei profondi cambiamenti nelle tendenze musicali e del contemporaneo declino anche dell’epopea della scena di Canterbury. Il movimento canterburiano fu per una decina d’anni un fenomeno unico ed irripetibile all’interno del più vasto mondo del progressive rock. Un collettivo formato da un relativamente ristretto gruppo di musicisti che, collaborando tra loro, sperimentarono, innovarono, crearono qualcosa di nuovo ed originalissimo. Nomi come Soft Machine, Hatfield & The North, Henry Cow, National Health, Matching Mole, Isotope e ovviamente Gilgamesh hanno scritto una pagina indimenticabile nella storia della musica moderna, esplorando una via assolutamente unica per miscelare il rock con il jazz.