Don Grolnick - Hearts And Numbers


Don Grolnick - Hearts And Numbers

Don Grolnick è uno di quei musicisti che godono della stima incondizionata da parte dei colleghi, soprattutto di quelli più famosi e rinomati. Tuttavia non ha mai avuto un grande seguito tra il pubblico, sia pure in quello circoscritto e sempre attento del jazz. Questo è un vero peccato perché Grolnick è stato un ottimo pianista e un geniale compositore, ma anche un innovatore ed in qualche misura un pioniere delle tendenze più moderne del jazz. Un male incurabile lo ha sottratto al mondo a soli 48 anni, con appena 4 album all’attivo.  Per queste ragioni meriterebbe una più vasta fama e maggiore riconoscimento a livello globale. La storia di Don Grolnick nasce a Brooklyn, ma in realtà lui è cresciuto a Levittown, in California, e fin da ragazzo ha vissuto immerso nel jazz. Ha frequentato la Tufts University e nel 1971 è entrato a far parte dei Dreams, una band jazz-rock che includeva musicisti emergenti che poi diventeranno star come il sassofonista Michael Brecker, il trombettista Randy Brecker e il batterista Billy Cobham. (e vorrei sottolineare i nomi appena citati). Per tutti gli anni '70 e all'inizio degli anni '80, è stato un musicista di punta a New York, dove oltre a suonare jazz nei locali top della metropoli ha avuto modo di collaborare ad album di artisti pop come "Streetlights" di Bonnie Raitt, "What's New" di Linda Ronstadt e a due capolavori senza tempo come "Royal Scam" e "Aja" degli Steely Dan. Tra i suoi progetti non vanno dimenticati i gruppi fusion, come gli Steps Ahead e i Brecker Brothers che si sono largamente avvalsi delle sue sofisticate composizioni oltre che della sua bravura come tastierista. Don Grolnick debuttò a livello discografico nel 1985 con "Hearts and Numbers" e dalla fine degli anni '80 iniziò a concentrarsi maggiormente sul jazz. Questo album ha avuto notevole influenza su tutta la musica fusion degli anni ottanta e novanta e rappresenta molto bene la creatività di Don e la sua capacità di comporre brani complicati e spiazzanti, costruiti in modo ardito e basati su progressioni armoniche e ritmiche del tutto originali. Pur essendo catalogabile sotto il genere fusion, è ben chiara una forte componente jazzistica in tutta l’architettura sonora degli otto brani che compongono l'album: sono stati tutti scritti da Don Grolnick, che non a caso  era molto stimato anche e soprattutto come compositore. Sono composizioni che sanno mettere a profitto i sofisticati progressi che l'armonia stava compiendo in quegli anni, con utilizzo di alchimie musicali intricate che assimilavano suggestioni anche da generi estranei al tradizionale percorso jazzistico. A questo si aggiunga un utilizzo molto raffinato delle ritmiche, con un uso massivo dei tempi dispari e molte variazioni sul tema. Pointing At The Moon in apertura di album è immediatamente la testimonianza di una straordinaria inventiva: l’atmosfera è rarefatta, molto particolare e si distinguono sia Michael Brecker ed il suo sax che la bella chitarra elettrica di Jeff Mironov. More Pointing riprende là dove era finito il precedente brano, ma qui tutto è giocato in un sottile dialogo tra sax e tastiere a creare qualcosa di indefinibile e liquido dove spicca la grande capacità esecutiva di Michael Brecker. Pools è segnata da un ritmo strano e frammentato, in perenne movimento tra la ballata e il medio tempo: questo è probabilmente uno dei brani più belli in assoluto di Don che ci regala da par suo un assolo di pianoforte meraviglioso. Da sottolineare anche il lavoro di Will Lee al basso e il drumming vivace di un grande Peter Erskine. Regrets è una vera e propria ballata jazz dai toni molto crepuscolari e malinconici con la presenza alla chitarra di Bob Mann e un languido assolo di sax di Brecker, senza dubbio il mattatore di questo album. Delicatissimo e raffinato il piano di Grolnick, mette in risalto la qualità della partitura. The Four Sleepers vanta la presenza di Marcus Miller al basso e nuovamente Jeff Mironov alla chitarra elettrica. La melodia è bellissima ed avvolgente con i synth di Don Grolnick che abbracciano letteralmente l’ascoltatore conducendolo in un percorso lunare e decisamente onirico. A riportare il tenore del disco in acque musicalmente più agitate ci pensa Human Bites, una sorta di be bop fusion furiosamente scandito da ben due batteristi: un Peter Erskine in gran forma ed un formidabile Steve Jordan. A tenere alta la tensione emotiva del brano ci pensa la chitarra elettrica del sempre originale Hiram Bullock. Act Natural si distingue dagli altri pezzi per l’uso dei synth molto più massiccio, ma non certo per la qualità della composizione che si mantiene sempre su livelli elevati con un risultato finale estremamente godibile nel contesto di una fusion molto raffinata. Chiude i giochi Hearts And Numbers suonata da Grolnick in perfetta solitudine pennellando armonia e melodia con il pianoforte acustico ed i synth. Sono tre minuti di puro godimento e beatitudine musicale. Tutti i musicisti qui impegnati, ognuno dei quali è una stella del firmamento jazzistico contemporaneo, sono straordinari sia nelle parti scritte sia nelle ottime improvvisazioni, e riescono a rendere il tutto fluido e scorrevole, anche se indubbiamente Hearts And Numbers non può certo essere considerato un’opera di facile lettura. Si tratta di una fusion geniale ed elaborata, perfino sorprendente se paragonata con quello che ci si aspetta da questo genere. E’ qualcosa di indefinibile che sta tra i Weather Report e gli Steps Ahead, tra la new age ed il be bop senza mai scadere nel kitsch o nel banale. E il frutto maturo del talento di un grandissimo musicista che solo una gravissima malattia ha sottratto ad una carriera che, ne sono sicuro, avrebbe potuto regalare molte altre gemme di questo livello, sia nel jazz che nella fusion. Respect.