Nucleus - We'll Talk About It Later


Nucleus - We'll Talk About It Later

I Nucleus hanno iniziato il loro lungo viaggio nel jazz-rock quasi cinquant’anni fa, nel 1969, quando il trombettista Ian Carr decise di mettere insieme questa storica band composta in origine anche dal sassofonista Karl Jenkins, dal batterista John Marshall, dal bassista Jeff Clyne e dal chitarrista Chris Spedding. Si tratta di un gruppo di grande rilevanza dal punto di vista musicale e rappresenta una delle punte di diamante del movimento jazzistico britannico. We'll Talk About It Later è il secondo album dei Nucleus, datato 1970, arrivato a pochi mesi di distanza dal primo lavoro  intitolato Elastic Rock. Il jazz, in quel periodo di grande fermento creativo, complice la lezione di Miles Davis, andava a cercare nuove strade e allo stesso modo anche il progressive rock esplorava con interesse la contaminazione con forme musicali più mature ed evolute. È da questa ricerca, da questo incrocio di stili che nasce la ricetta dei Nucleus: il gruppo che tra tutti gli esponenti del cosiddetto jazz-rock, più degli altri restò vicino al linguaggio del jazz, esaltandone la complessità formale e tuttavia riuscendo anche nell’intento di avvicinare ad esso nuovi adepti, provenienti proprio dal progressive. La mente creativa ed il leader di questa band fu dunque per quindici anni il trombettista Ian Carr: un musicista di grande talento e dotato di una visionaria creatività, ma soprattutto di una tecnica superlativa e di un timbro sonoro tra i più significativi della storia recente del jazz. C’è un fascino particolare nella complicata musica dei Nucleus, un furore ricco di passione ma cerebrale e matematico al tempo stesso. Più e meglio dei Soft Machine e di altri gruppi che operarono sulla stessa lunghezza d’onda, seppero camminare su quella pericolosa ma intrigante linea di confine tra due mondi tanto diversi quali erano (e sono) il jazz ed il rock, sintetizzando una formula unica ed originale che suona attuale ancora oggi. A conferma di una inevitabile evoluzione, in questo secondo album dei Nuclues i brani si allungano diventando allo stesso tempo più complessi e dinamici, colorandosi di nuove ed inattese connotazioni rispetto alla sobria “tranquillità” di "Elastic Rock". I musicisti dimostrano di essere diventati una vera band che, guidata dalla poliedrica tromba di Carr, pone il suo fulcro attorno al duo formato dal tastierista Karl Jenkins e dal chitarrista Chris Spedding, ma dove ogni singola personalità si ritaglia il suo spazio espressivo. L’album inizia con un brano paradigmatico come "Song For The Bearded Lady" che fin dalle prime battute attira l’attenzione dell’ascoltatore. Si tratta di un numero molto vivace e trascinante, ma anche riflessivo e geometrico. D’altra parte la peculiarità di " We'll Talk About It Later " risiede proprio in questa sua mutevole e vibrante vitalità, nella sua complessità che non compromette l’equilibrio generale. C’è spazio, come è giusto che sia, per gli assoli dei singoli, che però non sono mai fini a sé stessi ma anzi sono motivati e funzionali alla struttura musicale delle composizioni. Costringere i Nucleus all’interno di rigide definizioni di stile è una cosa difficile: basta ascoltare ad esempio la delicata "Lullaby For a Lonely Child" in cui sono i fiati di Carr e Brian Smith a comandare i giochi, ma un tocco di esotismo inaspettato è dato dal sorprendente bouzouki (una specie di banjo) suonato da Spedding. La title track è un’insinuante crescendo di energia dove. tra la tromba wah wah di Carr e la ritmica quasi blues. troviamo in prima linea la chitarra di Chris Spedding, il quale non avrà forse l'esuberanza tecnica di Allan Holdsworth ma ha dalla sua un ricercato gusto per la finezza e le cesellature melodiche e armoniche. "Oasis" sono quasi dieci minuti di sperimentalismi carichi di un atmosfera surreale, di ipnosi e meditazione in cui l’orecchio è stimolato dal suono rotondo della tromba che si incrocia con quello più acido e stridente dell'oboe. Il punto di contatto più evidente tra il jazz ed il progressive rock è la fresca ed un po’ scanzonata "Ballad Of Joe Pimp", uno dei pochissimi brani cantati della band e di fatto un sorprendente omaggio al grande genio di Frank Zappa. Il finale è lasciato ad un brano corale, poderoso e coloratissimo: "Easter 1916”, pezzo ispirato ai moti irlandesi di quell'anno, è una sorta di maratona musicale, una magnifica progressione di suoni. Spazio dunque all’improvvisazione jazzistica, inizialmente più controllata ma poi finalmente libera e scioltissima. Il pezzo si dipana lungo la sua mutevole e movimentata strada, prima condivisa da tutti i membri della band con i loro strumenti che poi, lentamente, si defilano uno alla volta. Inizialmente abbandona la voce narrante, poi le tastiere, la chitarra, il basso, fino a quando i solisti rimangono in due, sax e batteria, a rincorrersi in un gioco di abilità nel quale a restare infine da solo è Marshall con la sua rutilante batteria, per quaranta secondi di lucida improvvisazione, conclusi da un’ultima rullata: spiazzante. La lezione dei Nucleus è stata un fulgido esempio di creatività: di lì a poco la strada tracciata da Ian Carr e compagni verrà percorsa, sia pure con diversi connotati stilistici, dai valorosi paladini del Canterbury sound e da molti altri musicisti in Europa e naturalmente dall’altra parte dell’oceano. Resta il fatto che la musica di questi coraggiosi pionieri britannici del jazz-rock è un patrimonio inestimabile che non va dimenticato ed anzi andrebbe riscoperto e valorizzato quanto più possibile.