Dave Grusin – Kaleidoscope


Dave Grusin – Kaleidoscope

Dave Grusin è un compositore e pianista statunitense. Di lui ho parlato in un precedente post riguardante uno dei suoi dischi più belli, lo splendido omaggio a George Gershwin uscito qualche anno fa. Dave è noto soprattutto per essere un autore di colonne sonore cinematografiche, oltre che un pianista jazz ed un grande arrangiatore. Portano la sua firma di più di cento colonne sonore e ha vinto l'Oscar per quella del film Milagro. Tra i suoi lavori più conosciuti si possono annoverare I tre giorni del condor, Sul lago dorato, I favolosi Baker, Il campione (per il quale ha ricevuto una nomination all'Oscar), Havana, Il paradiso può attendere, Tootsie (per il quale ha ricevuto una nomination per la miglior canzone originale, It Might Be You), Ocean's Twelve. Assieme a Larry Rosen, ha fondato nel 1982 la GRP Record, un’etichetta di musica jazz fusion che ha fortemente caratterizzato gli anni ’80 e ’90 con una serie di produzioni discografiche di grande rilevanza che si distinguevano per la perfetta qualità audio. All’inizio della sua carriera Grusin è stato prima di tutto un pianista jazz, influenzato da Thelonius Monk e da Cedar Walton e tuttavia dotato di una sua peculiare personalità musicale. Kaleidoscope del 1964 è il suo terzo album e dal punto di vista jazzistico è senza dubbio quello più importante della prima fase della sua vita artistica. Il linguaggio è un hard bop dalla connotazione classica e non a caso la band messa insieme per questo progetto è un sestetto composto da Stanley Turrentine (sax tenore); Bob Cranshaw (basso); Larry Rosen (batteria); Thad Jones (tromba), Frank Foster (sax tenore) oltre naturalmente allo stesso Grusin al pianoforte. Se già dalla formazione si può intuire il livello delle esecuzioni di questo lavoro, guardando ai titoli dei brani, altrettanto si può dire a proposito dei suoi contenuti. Ben sei sono standard del jazz, e sorprendentemente, solo due sono originali dello stesso Dave: otto tracce che svariano tra atmosfere diverse ma sono tutte legate dal filo conduttore di una genuina e sincera passione per i grandi maestri del passato ed un forte legame con l'idioma canonico dal jazz. Si comincia con Kaleidoscope, un veloce e vibrante brano in purissimo stile hard bop dove si mette subito in luce un ispirato Stanley Turrentine al sax sulla base della sezione ritmica puntualmente e gagliardamente sul tempo. Bellissimo l’assolo di piano di Grusin e ottimo il lavoro all’unisono degli ottoni del sestetto. Love Letters viene eseguita in trio dal solo leader accompagnato da Rosen e Cranshaw: un bel modo per mostrare tutte le doti di improvvisatore di Dave. La celeberrima Straight, No Chaser di Thelonius Monk viene introdotta dal caratteristico riff dei fiati a cui fa seguito il liquido pianoforte di Grusin che conduce mirabilmente l’ascoltatore incontro al solo di sax di Turrentine e di seguito a quello di tromba di Thad Jones ed infine ad un interessante intervento di contrabbasso del bravo Bob Cranshaw. I toni blues di What’s up sono di nuovo introdotti dal trio di ottoni, mentre l’assolo di Stanley Turrentine che segue è la dimostrazione di quanto questo musicista fosse a suo agio con questo particolare linguaggio stilistico. Molto bella anche Inez, una sorta di walzer jazz in cui l’ottimo contrappunto dei sax e della tromba sottolineano i percorsi melodici dell’improvvisazione di piano di Grusin. Lo standard Stella By Starlight è eseguito in maniera brillante e vivace anche se ancora una volta in trio. L’altro originale di Dave Grusin è il movimentato Gozwell, che altro non è se non un’ennesima lettura del classico stile hard bop. Tutti i solisti hanno lo spazio per far udire la loro voce, a turno il sound di Frank Foster e Stanley Turrentine, poi quello di Thad Jones ed infine del leader esprimono la loro personalità in modo brillante e creativo. Per chiudere l’album torna l’essenzialità profonda e mai banale del genio di Monk, qui con il suo Blue Monk, che Grusin interpreta al meglio, leggendo in maniera perfetta le famose pause e i tipici stacchi ritmici del genio di Rocky Mount. Gli “strani” accordi, che poi in realtà sono perfettamente logici e funzionali, sono la base armonica sulla quale si innestano gli assoli di tutti i componenti del sestetto. Kaleidoscope è un lavoro compiuto e intelligente: esteticamente perfetto nella sua filologica lettura del jazz mainstream. Il bop è quello giusto, gli interpreti sono talentuosi e ispirati, per il giovane (all’epoca) Dave Grusin si è trattato certamente di una prova di maturità che lasciava presagire quella grande carriera che poi in effetti il pianista del Colorado si è guadagnato sul campo. Certo il jazz “vero” è tornato solo di recente tra le sue dita, ma non si può certo non tenere conto dei numerosi e validi album di fusion che sono usciti dalla sua mente creativa a partire dalla metà degli anni ’70 e di sicuro non si possono dimenticare le sue splendide ed acclamate colonne sonore.