Neil Larsen - Orbit


Neil Larsen - Orbit

“Molto tempo fa in una galassia molto, molto lontana… c’erano gruppi che si chiamavano Weather Report, Crusaders, Mahavishnu Orchestra, Return To Forever, Headhunters.” Suonavano un sorta di nuova musica strumentale che spaziava dal jazz al funk al rock, pescando il meglio tra tutte queste diverse influenze. Neil Larsen è uno dei diretti discendenti di quella meravigliosa epoca musicale. Ho già parlato di Neil Larsen in occasione dell’uscita del suo ultimo cd “Forlana”. Larsen non è sicuramente un nome familiare quando si parla di jazz contemporaneo, a meno che non siate veri appassionati o abbiate conosciuto ciò che lui ha fatto negli anni ’70. Ma Neil è uno straordinario tastierista, che ha trascorso gran parte della sua carriera facendo suonare meglio altri musicisti e sfornando solo una manciata di album a suo nome. Voglio tornare a scrivere su di lui, prima di tutto per il suo grande valore e poi perché, come tutti i grandi artisti, anche per quanto lo riguarda, nella sua discografia c’è un autentico capolavoro. Risale al 2007, è il quinto disco di Larsen ed il suo titolo è “Orbit”: uno dei migliori album di jazz contemporaneo (anche se le etichette sono in questo caso riduttive) del secondo millennio. Neil Larsen ha messo insieme una super band con Robben Ford alla chitarra, Jimmy Haslip al basso, Tom Brechtlein alla batteria e inoltre Gary Meek al sax e Lee Thornburg alla tromba: una concentrazione di talenti davvero stratosferica. Inoltre è difficile trovare una registrazione audio migliore di questa. I proprietari della Straight Ahead Records, Bernie Grundman e Stewart Levine hanno utilizzato tecniche di registrazione allo stato dell'arte ed in più hanno catturato tutto "dal vivo", senza sovra incisioni od effetti, con la tecnica denominata “direct to disc”. Con Orbit Neil Larsen ha creato un’opera che si muove tra Jazz, Blues, Funk, Latino e sicuramente la miglior Fusion (negli anni ’70 si sarebbe detto jazz rock). Il repertorio è solo parzialmente originale perché il tastierista ha avuto il merito e la felice intuizione di inserire anche alcune delle sue composizioni più significative. Brani che vengono dal periodo con i Full Moon e dai più importanti tra i suoi precedenti album. Ovviamente sono pezzi di grande musica che vengono reinterpretati e rivisti profondamente dalla nuova band, ridisegnati con una sensibilità contemporanea e più moderna. Il risultato è stupefacente: Orbit è un disco a cui bastano pochi minuti di ascolto per catturare l’attenzione e far innamorare chiunque ami la buona musica. La title track ad esempio è attraversata da un’atmosfera inquietante, punteggiata dalla chitarra di Ford, che si intreccia e si dipana anche grazie alle accattivanti melodie dei fiati. Il suono purissimo e dettagliato della registrazione aumenta il pathos delle ballate come Arioso e From A Dream, e migliora il groove di Day Train e il ritmo di Sudden Samba. La tecnica di produzione del disco mette tutti d'accordo sul fatto che non si sia mai sentito così bene il suono di Neil Larsen e Robben Ford. Inoltre c’è un batterista fenomenale come Tom Brechtlein che fornisce alla ritmica della band tutto il tiro che ci si aspetta ed anche di più (ascoltare Shing per capire meglio). Le tastiere ed i fiati fanno da guida, la chitarra elettrica incanta in ogni passaggio. Una considerazione particolare va fatta su Robben Ford:  qui si può capire quanto bravo sia questo musicista. Non solo quando si mette in prima linea, ma anche se ci sofferma ad ascoltare quello che fa in sottofondo (Jungle Fever e Sudden Samba sono dei buoni esempi). E’ normale ritenere Ford uno dei migliori chitarristi oggi sulla scena. E per quanto a Robben piaccia cantare e suonare blues, lui brilla davvero quando si impegna nel jazz rock: su Orbit è davvero ispirato nel suo modo di suonare  non solo per gli assoli meravigliosi, ma anche per gli incredibili giochi sulla ritmica. La stella di questo album è lui, non c’è dubbio. Neil Larsen a sua volta è, ovviamente, uno straordinario tastierista, tra l’altro è uno dei pochi che può vantare un suono immediatamente riconoscibile. Il suo organo, il piano elettrico, le puntate al piano acustico e l’uso dei synth offrono un ventaglio completo di possibilità espressive che esalta la sua fantastica versatilità ed un inventiva fuori dal comune. Ci sono molte cose su Orbit che rendono questo un album speciale. Alludo prima di tutto alle composizioni: tutte e 12 le tracce sono memorabili per vari motivi. E poi la band, che oltre a Larsen e Ford, include, come detto Jimmy Haslip, Tom Brechtlein, Gary Meek e Lee Thornburg. È una formazione formidabile e, cosa non così scontata, funziona veramente bene per coesione, feeling e interplay. Tutti i musicisti trovano il loro spazio nell’architettura dei brani a conferma del perfetto equilibrio tra le varie personalità che compongono la band. La maggior parte dei contenuti di Orbit può essere considerata senza dubbio una forma molto jazzata di fusion. Ma c’è anche il funk jazz declinato in modo molto interessante e c’è pure l’acid  jazz con l’organo protagonista e Robben Ford sempre presente a ricamarci sopra. L’organo per Neil Larsen è stato una costante, la sua voce predominante in tutte le registrazioni da solista e, ancora una volta, lo è in Orbit. I nuovi arrangiamenti, gli strumenti aggiornati ai tempi, alternati a quelli vintage, fanno di questo album il lavoro definitivo per accostarsi a Neil Larsen. Di fatto Orbit è un must per tutti gli appassionati di fusion e di jazz contemporaneo: la musica è fenomenale e la qualità della registrazione è davvero mozzafiato: si può chiedere di più ? La  fusion, quella buona, si trova in “Orbit”.