Max Roach – Percussion Bitter Sweet
Moltissimi musicisti di jazz possono vantare una lunga
carriera. Quella di Max Roach oltre che lunga è stata caratterizzata da una irrefrenabile
spinta verso il virtuosismo, l’innovazione ed accompagnata inoltre da una encomiabile integrità. Fin dall’inizio, ovvero
dagli esordi della metà degli anni ’40 arrivando alla sua scomparsa nel 2007 non
c'è stato un momento nel quale il suo nome non abbia portato con sé una sensazione
di talento e superiorità. Max Roach è stato di fatto la prima vera superstar
della batteria: la sua incredibile indipendenza delle braccia, la proverbiale precisione,
la notevolissima velocità, l’innovazione che ha portato con se ne fanno un
punto di riferimento assoluto. Ma Max oltre alla tecnica aveva una visione
superiore: un'idea del jazz come forma d’arte alta ed indipendente prima
che di un intrattenimento o di un business. Vedeva la musica afro americana
come un lungo filo ininterrotto lungo in quale i musicisti di epoche diverse e
seguaci di differenti stili e correnti avevano sempre qualcosa da insegnarsi
l'uno con l’altro. Il suo credo era apprendere dai maestri ed insegnare agli
allievi, senza segreti, con il massimo dell’interazione e dello scambio
creativo. Fu anche un pioniere delle etichette discografiche concepite per il
jazz gestite dagli artisti stessi, a partire dalla Debut Records, creata con
Charles Mingus nel 1952. Per fare un esempio di quanto detto precedentemente,
nel 1960, assunse l’ormai anziano Coleman Hawkins, di 20 anni più vecchio, per
suonare in We Insist! in un momento storico nel quale rivolgersi ai grandi del
passato non accadeva certo con frequenza. Quell’album sottotitolato (non per caso) New Freedom
Suite può essere considerato il prologo di questo Percussion Bitter Sweet. In
breve: Max Roach è stato un gigante del jazz e fu grande fin dai suoi primi
anni di attività quando creò il bebop con Dizzy Gillespie, Kenny Clarke,
Charles Mingus e Charlie Parker. Il be bop fu una corrente che generò una sconvolgente
ventata di innovazione, qualcosa che trascendeva anche i confini della musica. In
seguito, durante la seconda parte della sua vita artistica, collaborò con
drammaturghi, coreografi, compositori classici, cori gospel; gestì anche un
gruppo di sole percussioni chiamato M'Boom. Si è reso protagonista anche di
indimenticabili duetti con Anthony Braxton, Dizzy Gillespie e Cecil Taylor, tra
gli altri. Max, come ogni altro musicista, ha vissuto un momento di particolare brillantezza e fermento
creativo. Possiamo collocare questa fortunata e meravigliosa stagione a cavallo tra gli anni '50 e la metà degli
anni '60, il tempo in cui prese coscienza del suo importante ruolo di compositore e band
leader. In pratica, dopo aver terminato gli studi di composizione e teoria musicale
alla Manhattan School of Music, nel 1954 fondò una band con il trombettista
Clifford Brown che durò per un paio d'anni, fino alla morte dello stesso Brown
nel 1956, da quel momento in poi fu straordinario e sfavillante quanto il suo
jazz. La sua batteria prese vita e cominciò a distinguersi per personalità ed originalità. Roach si concentrò presto verso ritmi insoliti per il jazz, come
il 5/4 di "Driva Man" su We Insist! e il 7/4 di "Man From South
Africa" in questo Percussion Bitter Sweet. E non bisogna dimenticarsi del
suo sodalizio con la cantante jazz Abbey Lincoln, che divenne sua moglie e lo
spinse verso un convinto coinvolgimento politico. In questo album il messaggio
è chiaro fin dall’inizio: non si torna indietro, gli anni '60 sono arrivati.
Questa registrazione della Impulse Records del 1961 è esplosiva, iconoclastica
ed intrinsecamente, politica pervasa com’è sia di rabbia che di una sorta di esaltazione
trascendente. Chi pensasse ancora a Max come un be bopper si ritrova al
cospetto di un progetto completamente diverso eproiettato verso l'avanguardia. Max è
brillante come non mai, bravo ad infrangere qulle regole che lui stesso ha aiutato
a scrivere. We Insist! Freedom Now Suite, riconosciuto come un classico dalla
critica, percorreva una direzione simile, con un messaggio politico teso al riconoscimento dei diritti degli afro americani. Ma Percussion Bitter Sweet
sopravvive alla prova del tempo come un lavoro più variegato e compiuto. È di
fatto anch’esso un classico, forse misconosciuto,
che ci offre uno spaccato chiarissimo di un particolare momento di
trasformazione del jazz, oltre che la fotografia musicale di una formidabile formazione.
La tensione armonica e melodica emoziona subito e questa intensità è più che
rafforzata dalla prorompente ritmica della batteria che non cala mai in tutto il disco: Max si
esibisce in assoli ispirati che sembrano quasi quelli degli strumenti a fiato. L’album si dipana tra brani bellissimi e
diversi: "Garvey's Ghost" con il suo ritmo 6/8 ed il vocalismo dark ed
inquietante di Abbey Lincoln o la ballata provocatoria "Mendacity" che
critica ironicamente i politici corrotti con immagini di diritti civili negati
e violenti linciaggi. L'assolo di Eric Dolphy è un lacerante blues che rappresenta uno
dei momenti migliori del maestro del sax alto. "Man From South Africa" è essenzialmente
un blues in 7/4, dove Max Roach ed il bassista Art Davis liberano il groove ed
i solisti si esprimono con libera disinvoltura. Percussion Bitter Sweet regala
all’ascoltatore quaranta minuti di un jazz forte e visionario: una lettura
personale della musica afro americana da parte di uno dei massimi esponenti
della batteria di tutti i tempi. E’ una sorta di presagio musicale quello che
Max Roach propone: suggerisce che il nuovo decennio sarà parimenti tumultuoso e stimolante non solo in campo artistico.