Jeff Lorber - Bop


Jeff Lorber - Bop

Jeff Lorber è un tastierista capace da sempre di creare un affascinante e armonioso sound che unisce elementi di funk, R & B, rock e jazz elettrico. Nel corso della sua lunga e brillante carriera artistica si è reso protagonista della nascita e dello sviluppo di quel sotto genere del jazz che venne denominato prima fusion ed in seguito smooth jazz o contemporary jazz. Nato a Philadelphia nel 1952, iniziò a suonare il piano all'età di quattro anni, ma la vera infatuazione di Lorber per il jazz iniziò di fatto durante il suo periodo di studio presso il  Berklee College of Music: una passione che si estrinsecò con la sua band Jeff Lorber Fusion, la quale tuttavia faceva della contaminazione e del crossover con altri stili il suo tratto caratteristico. In effetti la musica proposta era qualcosa di abbastanza lontano dal jazz tradizionale (pur essendo di questo un derivato). Perciò era difficile, per i suoi numerosi fan, intravedere la possibilità di ascoltare Lorber impegnato nel più classico dei repertori della musica afro americana. Ed invece ecco la sorpresa che non ti aspetti e che non può che stuzzicare la curiosità di chiunque abbia a cuore il jazz ed ogni novità ad esso inerente. Leggere il titolo dell’album e vedere quali nomi sono coinvolti nel progetto accanto alla parola "bop" è sicuramente già un fatto degno di nota, anche e soprattutto perché sono tutti esponenti di rilievo proprio della musica fusion. Ma il legame tra queste superstar ed il jazz è molto più stretto di quanto non si sia abituati a pensare. Basta scorrere le biografie di quasi tutti i moderni paladini dello smooth jazz per comprendere quanto questi talentuosi e versatili musicisti abbiano avuto a che fare  con i classici standard del jazz nel corso della loro vita artistica: è proprio su queste melodie immortali che  hanno imparato ad improvvisare come Coltrane o a padroneggiare gli arditi accordi di Monk. Si tratta di gente che ha frequentato il Berklee College o qualche altro importante conservatorio studiando alla corte dei grandi del jazz (esempi: Loeb con Stan Getz, Lorber con John Scofield). Come Lorber anche gli altri hanno lasciato il loro segno in un “altro” idioma musicale (o meglio in un altro “dialetto” dello stesso linguaggio). Tuttavia ciò non significa assolutamente che essi abbiano dimenticato la loro origine. Bop è dunque innanzitutto una specie di promemoria (magari per qualcuno potrà essere una rivelazione) che si può riassumere così: questi musicisti possono suonare seriamente il jazz. Nessun dubbio sul fatto che gente del calibro di Harvey Mason, Randy Brecker, John Patitucci, Brian Bromberg, Everette Harp, Eric Marienthal, Rick Braun, Brian Dunne e Till Bronner oltre a Lorber e Loeb abbiano nelle loro corde la tecnica e la preparazione per affrontare una simile sfida. Però ascoltarli per una volta tutti insieme fare del vero, buon jazz è un piacere assoluto ed impagabile. Il programma non prevede altro che classici del bop: i brani sono eseguiti con genuina esuberanza ed un profondo rispetto. Appare chiara fin da subito la perfetta  comprensione delle dinamiche degli standard ma soprattutto dei delicati e complessi cambiamenti armonici contenuti al loro interno. Una sessione di jazz classico  sottende ad un sound "tutto acustico"; anche qui è quasi esattamente così ma non completamente, poichè Jeff Lorber non rinuncia al suo Rhodes dimostrando che un pianoforte elettrico può funzionare altrettanto bene di uno acustico, quando è nelle mani giuste. Va detto che c’è quasi sempre stato molto jazz nel suo approccio, quindi non è poi così difficile per lui mettere il suo stile al servizio del jazz tradizionale e dell’improvvisazione. Ogni brano di questo album può essere facilmente trovato su qualsiasi libro parli di jazz, dato che la carrellata dei nove classici che compongono Bop è una sorta di breviario della musica Afro Americana del secolo scorso. Tra l’altro può essere considerato già un piccolo miracolo essere riusciti a portare contemporaneamente in studio tutte queste star, sempre estremamente impegnate. Per Bop c’era una piccola finestra di tempo disponibile e nessuna possibilità di post produzione tesa alla ricerca del miglior risultato possibile: nonostante ciò, anzi forse proprio per questa ragione, Bop è un disco schietto, diretto e bellissimo. I brani di Thelonious Monk "Straight No Chaser" e "Round Midnight" dissipano ogni dubbio sulla band e gettano la luce dei riflettori su un ispirato Rick Braun, che non solo dimostra tecnica e buon gusto ma aggiunge qualcosa di personale. Chuck Loeb si disimpegna stupendamente con i suoi gustosi assoli su "A Night IN Tunisia" di Dizzy Gillespie e in "Now's The Time" di Charlie Parker. Ci fa ricordare di Wes Montgomery su "All The Things You Are", che è l'unico brano in cui non compaiono i fiati. Everette Harp mette in evidenza la sua attitudine verso il soul e l’r&b presentandosi in gran forma  nel classico calypso di Sonny Rollins intitolato "St. Thomas". Qui anche Rick Braun si distingue per il suo assolo di trombone. Il turno di Eric Marienthal arriva con "Now's The Time" di Charlie Parker: Eric presta il suo sax contralto ad uno dei momenti più intensamente bebop dell’intero album. La band cambia quasi del tutto  per la trascinante "Giant Steps" di John Coltrane: a Lorber e Loeb si uniscono per questo numero John Patittucci (basso), Randy Brecker (tromba) e Brian Dunne (batteria). Non sorprende che sia Brecker a piazzare quel genere di assolo di tromba fluido e sicuro tipico di un veterano di lungo corso. Una menzione particolare va senza dubbio allo splendido lavoro di piano elettrico che Jeff Lorber dispensa in ogni singolo brano: chi ha una particolare passione per il suono del Rhodes davvero non dovrebbe perdersi queste nove perle. Bop è un album molto ben riuscito e splendidamente suonato. In parte è una risposta a coloro i quali si pongono degli interrogativi sui musicisti dediti alla fusion ed allo smooth jazz, ma anche se lo si considera semplicemente come una registrazione di jazz “straight ahead” non si resta minimamente delusi. La parte migliore di Bop risiede proprio nella musica, il suo punto di forza sta nella bravura di ogni singolo musicista, ma il disco brilla anche per l’affiatamento e la coesione di tutti nell’agire come una vera band. I proventi del cd sono devoluti alla ricerca sulla Sindrome Policistica Renale (PKD), una malattia genetica che ha come unica via d’uscita il trapianto del rene. Jeff Lorber era affetto da questa malattia ma è guarito proprio con un trapianto e per questo motivo ha deciso di impegnarsi nell’aiutare chi soffre. Bop è quindi doppiamente benemerito: da un lato perché spinge gli ascoltatori di fusion e smooth jazz ad un ascolto più impegnato e maturo, dall’altro per la bellissima ricaduta sulla ricerca per la cura di un grave male.