Marcus Miller – The Sun Don’t Lie


Marcus Miller – The Sun Don’t Lie

Se penso al basso elettrico, io penso a Marcus Miller, se devo parlare di tecnica slap mi viene in mente Marcus Miller, se immagino una graduatoria di bassisti indovinate chi metto al primo posto? Sempre lui, sempre il formidabile, unico, straordinario Marcus Miller. Questo monumentale e virtuoso musicista, eclettico poli-strumentista nonchè valente compositore è apprezzato fin dagli anni ’80 per le molteplici collaborazioni con i grandi nomi del mondo del jazz: tour, registrazioni, ospitate che hanno contribuito ad accrescere la sua notorietà in modo esponenziale. Ma la più importante tra tutte le relazioni artistiche fu sicuramente quella con il maestro Miles Davis; per il divino Miles il giovane leone Marcus compose ed arrangiò gli due ultimi album. Un viatico che ben pochi al mondo potevano permettersi e che la dice lunga sul talento del re dei bassisti. Prima di registrare The Sun Don’t Lie,  cioè quello che a tutti gli effetti è il suo primo vero album di fusion strumentale non posso dimenticare i due precedenti lavori, quasi interamente cantati e suonati in prima persona dallo stesso Miller: produzioni vicine all’r&b ed al pop nelle quali non manca comunque il buon gusto ed una giusta dose di virtuosismo. Ma The Sun Don’t Lie è tutta un’altra storia e rappresenta una svolta decisiva nella discografia di Marcus: pur essendo di fatto una sorta di opera prima l’album è la summa di tutta la musica del formidabile bassista. Anche a distanza di molti anni resta uno dei suoi dischi più belli e una delle opere fusion più interessanti della storia di questo genere. Se ascoltato con un minimo di attenzione non si faticherà certo a ritrovare tutti gli ingredienti salienti dell’estetica di Marcus Miller: il funk prima di tutto, il jazz ovviamente, un pizzico di blues ed una sensazione di generale raffinatezza che corre lungo tutti i brani. Una delle abilità di Miller è proprio quella di saper infondere ai suoi lavori (in seguito la formula verrà puntualmente riproposta) una tanto sofisticata quanto fruibile atmosfera pop, che tuttavia è come se restasse sempre sullo sfondo, non prendendo mai il sopravvento sulla vera sostanza che è invece profondamente jazz. Ma il vero filo conduttore è il suo basso elettrico, protagonista assoluto di ogni pezzo: suonato divinamente, ora come solista, ora come strumento ritmico prende letteralmente vita nelle mani di Miller che ne dispone a piacimento, in totale ed assoluto controllo. Dopo Jaco Pastorius e Stanley Clarke che sono venuti prima, mai il basso aveva avuto un interprete in grado di far volare così alto uno strumento normalmente relegato ad un ruolo di comprimario. L’apertura dell’album è riservata a "Panther" e Miller ci mette subito il suo Fender per “cantare” la melodia principale del pezzo, mentre solo in seguito entrano una batteria elettronica insieme a quella acustica di Poogie Bell, le tastiere e la potente chitarra di Dean Brown. Quest’ultima qui come in altri momenti del disco è particolarmente aggressiva e rockeggiante, una necessità probabilmente dettata dalla spaventosa dinamica del basso di Marcus, che da par suo, sul finale piazza un magico assoli con la tecnica dello slap, nella quale è il numero uno. Panther diventerà in seguito uno dei cavalli di battaglia più gettonati dei concerti di Miller. “Steveland” cambia territorio, portandoci verso ritmiche più tranquille e palesando una maggiore raffinatezza e una vena quasi romantica. Il sax, molto intenso, è suonato dall’amico David Sanborn ed anche l’intervento della chitarra, qui suonata da Johnatan Butler, è degno di nota; ma ancora una volta bisogna soffermarsi sulla bellezza dell’assolo di basso di Miller che dispensa classe e tecnica a piene mani. Il nostro si esibisce anche al clarinetto basso, strumento nel quale Marcus se la cava più che bene. Sale l’intensità con “Rampage” in cui il funk prende il sopravvento, affiancato da un’energetica dose di rock. Magica l’apparizione della tromba di Miles proprio al centro del brano. La delicata e passionale “The Sun Don’t Lie” vira per un momento su toni più rilassati, mostrando al contempo il lato più jazzistico della personalità di Miller: il bellissimo piano è quello di Joe Sample, ma tutta la melodia è guidata dal basso che in qualità di solista è usato come una vera e propria chitarra, mentre per la parte ritmica insiste sul vibrante slap. "Scoop" è un divertimento funky tutto basato su di un ritmo martellante sopra il quale il sax di Kenny Garrett trova modo di innestare idee interessanti, mentre Marcus picchia duro sul suo Fender dal primo all’ultimo minuto. "Mr Pastorius" è invece un brano per solo basso: un breve ma intenso omaggio ad uno degli idoli di Miller. "Funny", mette insieme la ricercatezza del jazz col funky più genuino, in un mix interessantissimo in cui  la tromba di Michael Stewart, con il classico suono modulato dalla sordina, è protagonista di una sorta di evocazione esoterica di Miles Davis. Il sax soprano è magistralmente suonato da un ispirato Everette Harp. Straordinaria per la sua musicalità e orecchiabilità la successiva "Moons", un brano in cui la fusion è colorata da molto jazz e dove Miller sembra davvero divertirsi a sfoggiare tutta l’abilità di cui è capace, prima al basso e poi anche al clarinetto basso. Un altro tributo a Jaco viene dalla cover di "Teen Town" un complicatissimo pezzo di bravura che Pastorius compose ai tempi dei Weather Report: Miller sceglie di eseguirlo tutto in tecnica slap. "Juiu" è la sintesi perfetta tra il funk e la fusion ed è caratterizzato da un tripudio ritmico dove per una volta sono i sassofonisti Everette Harp e Kirk Whalum, con il loro sound soul, a tenere banco. A conclusione dell’album arriva la dedica calorosa al grande maestro Miles Davis intitolata “The King Is Gone". Come è facile immaginare si tratta un pezzo malinconico e lento dove gli ospiti sono ancora una volta prestigiosi; Tony Williams alla batteria e Wayne Shorter al sax, mentre tutti gli altri strumenti li suona in prima persona Marcus Miller. Introdotta dal clarinetto basso che propone il crepuscolare tema accompagnato solo dalle tastiere il brano assume una connotazione jazzistica che è il fertile terreno per un magnifico assolo di Shorter. La conclusione è emozionante e bellissima con il clarinetto basso che con il suo tono profondo e triste mette un epitaffio musicale dolce e amaro sul ricordo indelebile del divino Miles. The Sun Don’t Lie anche oggi, a 24 anni dalla sua pubblicazione, suona fresco e moderno esattamente come allora, sia pure con qualche eccesso (perdonato) nell’uso delle drum machine. Marcus Miller non è solo uno straordinario virtuoso del suo strumento ma è anche un validissimo compositore ed il suo talento splende cristallino oltre il tempo che trascorre e va al di là delle mode e dei gusti musicali. Questo è un album consigliato a tutti, ed è la dimostrazione che si può fare musica di qualità senza annoiare l’ascoltatore, intrattenendo con gusto senza scadere nel commerciale. State certi che quando vi capiterà di riascoltare questo eccezionale musicista, vi ritroverete ad esclamare: hey, ma questo è Marcus Miller!