Jimmy Ponder – Illusions


Jimmy Ponder – Illusions

Jimmy Ponder: un nome che ai più risulterà praticamente sconosciuto. In realtà lui è uno dei tanti chitarristi che hanno animato la scena del jazz e del jazz funk fin dai primi anni '70, focalizzandosi in particolare su quello stile musicale di crossover che fu la caratteristica peculiare di quel periodo storico. Al pari di altri musicisti molto più famosi di lui, come Wes Montgomery, George Benson, Grant Green o Boogaloo Joe James, Ponder ha certamente tratto dalle sue registrazioni una fonte di reddito importante ma anche e soprattutto un mezzo fondamentale per mettersi in mostra. Tuttavia, forte di un talento non comune e di una visione artistica genuina, ha dovuto lottare con i produttori discografici per ottenere un minimo di licenza creativa da applicare alle sue opere. E’ noto che esiste un profondo conflitto di interessi nelle dinamiche della produzione discografica che è in grado, a volte, di modellare il prodotto finale. Se l'obiettivo diventa la pubblicazione di un album di successo difficilmente il risultato sarà di valore. Quando invece si punta verso un processo creativo scevro da interessi commerciali sarà più facile arrivare a qualcosa di musicalmente interessante. Nel caso di Ponder, pur esistendo numerosi precedenti che rappresentavano dei modelli di successo, il chitarrista non arrivò mai ad una vera notorietà, anche se Jimmy registrò con etichette di prim’ordine come la ABC Impulse e la Milestone. I due album di Ponder per la Impulse, Illusions (1976) e White Room (1977) sono fortemente influenzati dal funk, e presentano sia brani originali che cover di canzoni popolari. Per quanto mi piaccia molto il soul  jazz ed il jazz funk della fine degli anni '70, posso dire che in questo ambito non sono certo mancate le delusioni. Persino alcuni degli artisti più talentuosi e di buon gusto hanno offerto prove tutt’altro che felici nel tentativo maldestro di piegare la loro inclinazione naturale verso la ricerca di un successo commerciale. L’album “Illusions” sembra inizialmente orientarsi verso questa tendenza. Invece, con un ascolto ripetuto ed attento, mi ha fatto ricredere ed infine la magia della chitarra di questo oscuro musicista mi ha convinto e definitivamente conquistato. Ron Carter, il veterano bassista jazz, già membro del quintetto di Miles Davis della metà degli anni '60, è un importante presenza su Illusions, in grado  di donare una sensibilità jazz più tradizionale ai brani che sono fondamentalmente influenzati dal funk e dal jazz latino. Un bellissimo esempio di questa collaborazione viene dalla ballata "Jennifer" dove Carter e Ponder utilizzano il puro e semplice suono acustico, senza effetti elettronici. Il pezzo ha una durata di nove minuti, e presenta un lungo assolo di Ponder, che riesce a giocare con la melodia improvvisando anche con le ottave. L’album inizia con Funky Butt, un numero soul jazz in cui Ponder indugia sull’uso del wah wah e si avvale di un arrangiamento ricco di archi che rammentano le produzioni della CTI e del Philly Sound. I giochi si fanno più interessanti con la successiva "Energy III" che è costruita su di un ritmo complesso ed eccitante, in pieno stile fusion, il quale si rivela un ottimo veicolo per gli assoli della chitarra e delle tastiere. Probabilmente il pezzo che colpisce di più è la cover di un successo dei Miracles: Do It Baby è resa con un sound jazz funk molto accattivante che ricorda George Benson e mette in evidenza tutta la bravura e l’ecletticità di Jimmy Ponder. Interessante anche Illusions che è una bossa brasilianeggiante tutta incentrata sulla perizia tecnica di Ponder, il quale illumina la scena con una performance equilibrata e di gran classe. L'ultima canzone, "Sabado Sombrero", è un brano che si stacca un po’ dal resto dell’album. Per cominciare è acustica ed è tutta giocata sui tenui colori latineggianti dettati dalle percussioni e dal basso di Ron Carter. Si tratta di un originale dello stesso Carter, che qui si esibisce sostanzialmente in un duo con il chitarrista. La canzone è lenta, con elementi di musica spagnola e brasiliana che si mescolano al blues americano. Spogliato delle tastiere, della batteria e dei fiati, Ponder mostra tutta la sua forza tesa quasi ad impersonare un sorta di mini orchestra condensata nella sua chitarra, spostandosi con disinvoltura tra accordi, ottave e linee melodiche, ma mantenendo un solido controllo dell’atmosfera del pezzo. D’altra parte la capacità di Ponder di rivestire simultaneamente i ruoli di vari strumenti anche quando suonava da solo, è di fatto la chiave del suo talento di chitarrista. Le tastiere presenti nell’album sono firmate da uno dei miei pianisti preferiti, ovvero Ronnie Foster, che non a caso più avanti diventerà un collaboratore irrinunciabile di George Benson. All’apparenza Illusions sembra suonare come un classico album degli anni ’70, legato al jazz funk ed al soul, con i suoi speciali effetti di chitarra ed i ritmi colorati di latino. Ascoltandolo con attenzione però si può trovare di più: un diversificato composito di stili che include il jazz tradizionale, il rock e il pop , mixati in modo impeccabile e sempre piacevole. Jimmy Ponder merita sicuramente maggiori riconoscimenti ed è a mio parere, una valida alternativa ai “soliti noti” della chitarra jazz funk.