Shaun Martin – 7 Summers



Shaun Martin – 7 Summers

Ci sono artisti che lavorano nell’ombra per anni, producendo e supportando altri musicisti e cantanti ma senza sentire l’esigenza di esprimersi in prima persona. Uno di questi è Shaun Martin: un pianista e arrangiatore che durante la sua carriera si è impegnato nella collaborazione con personaggi come Chaka Khan, Erykah Badu, Kirk Franklin e gli Snarky Puppy, garantendo loro delle produzioni vincenti e una innegabile qualità nel prodotto finale. Tuttavia Martin ha sempre covato un desiderio recondito di arrivare un giorno ad essere il protagonista del suo stesso ingegno. Curiosamente si era dato un orizzonte di circa sette anni per arrivare al risultato di produrre finalmente un suo album da solista. E’ evidente che in sette anni possono succedere un sacco di cose, è un periodo di tempo abbastanza lungo perché si verifichi un’inevitabile e significativa crescita personale sia a livello musicale che umano. Ma alla fine, dopo aver lungamente e molto attentamente preparato il suo debutto, Shaun Martin è arrivato alla meta con un lavoro intitolato 7 Summers. Un album che ci offre una prospettiva nuova e più chiara sia sul talento dell'uomo come strumentista, sia sul suo personale viaggio attraverso questi ultimi sette anni di vita e di esperienze. 7 Summers regala una tavolozza particolare, che riflette il lavoro di Shaun Martin nel jazz, nell'hip-hop, nel gospel e financo qualche excursus nel pop e nella classica. L'album è stilisticamente vario, caratterizzato dal modo di suonare originale del pianista di Dallas sempre validamente supportato dalla sua band texana. Si tratta di un approccio "collettivo", dove numerosi collaboratori abituali prendono parte al progetto: tra questi Nikki Ross, Claudia Melton, Adrian Hulet, Mark Letierri e Geno Young. Ognuno di questi ospiti porta un sapore peculiare e distintivo al mix complessivo, dando all'album un ulteriore senso di collegialità. Anche le canzoni sono come raggruppate in sezioni stilistiche che sembrano seguire il percorso musicale e personale di Martin. Dopo "Introduction", in cui il pianista fa una sorta di riassunto recitato del disco innestandolo su un inebriante groove che stuzzica le aspettative dell’ascoltatore, ecco che arrivano le tracce strumentali che mostrano la sua impressionante musicalità. Ad esempio il festoso "One Big Party", nel quale Martin dimostra di non prendersi troppo sul serio e sa intendere la musica come un affare giocoso e scanzonato. Oppure “Madiba” che innesta il funk su una architettura soul, con robuste percussioni, fiati roboanti e grandi assoli. "The Yellow Jacket", è un pezzo che reca alcuni tratti dello stile degli Snarky Puppy, mentre Martin mostra di aver assorbito la lezione di Keith Jarrett personalizzata dal suo tocco leggero e dalla sua sensibilità pop. "Lotus" è invece una bossa nova ritmicamente canonica che precede come tale fino a quando Martin mette mano al suo Rhodes, incantando con un assolo favoloso presto commutato in un altrettanto notevole intervento al piano acustico. Il brano cambia anche il registro ritmico diventando una sorta di ibrido tra fusion e latina dove anche i fiati si fanno sentire sul finale all’interno di un arrangiamento complessivo davvero splendido. Il secondo gruppo di brani segna un cambiamento di stile e l'aggiunta del cantato. "Have Your Chance at Love" fa davvero pensare ad un tema cinematografico e di certo è una transizione piuttosto stridente rispetto alla precedente "Lotus", ma una volta che ci si abitua alla nuova atmosfera, con la parte vocale di Nikki Ross a farla da padrona, la bellezza della canzone traspare, anche se forse con un eccesso di romanticismo. "Love, Do not Let Me Down" ha un'atmosfera più dark ma non meno romantica. Le intense armonie vocali di Claudia Melton riempiono gli altoparlanti con grazia, in un brano che si può definire neo soul. “Lone Gone” è un intermezzo non particolarmente riuscito e, pur essendo una bella canzone d’amore, è sin troppo pop per il contesto dell’album. 7 Summers si chiude con gli ultimi tre brani: uno di puro jazz intitolato “The Torrent”, dove Shaun Martin mette in mostra tutto il suo talento di compositore e di pianista. Un altro a cavallo tra soul, hip hop e smooth jazz minimalista dal titolo "All In A Day's Work". Qui Shaun ritorna a volare sui tasti del piano elettrico riempiendo l’atmosfera di vibrazioni positive e accordi accattivanti. In ultimo un pezzo quasi classico come "Closing Credits (Requiem For Carolyn)" Martin ci da un saggio finale della sua grande versatilità: lui è uno di quegli artisti capaci di spaziare tra i generi più diversi con grande leggerezza ma sempre con estrema competenza. Molti musicisti sognano di pubblicare un album da solista, ma spesso non è così facile come sembra e tante volte i risultati non sono nemmeno quelli sperati. Ma i talenti come Shaun Martin si dedicano con tutta la passione possibile al loro lavoro, perseverano e fanno il possibile per realizzare opere che siano la migliore espressione della loro arte. 7 Summers è esattamente questo: fornisce uno spaccato meraviglioso del talento musicale di Shaun Martin e anche una sua visione del mondo come essere umano. Vario e colorato, intenso e profondo ma anche leggero, è un lavoro molto interessante che spinge a desiderare che non ci vogliano altri sette anni per poter ascoltare un nuovo capitolo della storia.