Sonny Criss – Jazz U.S.A.


 Sonny Criss – Jazz U.S.A.

Le ormai remote sessioni di Sonny Criss della metà degli anni '50, registrate per l'etichetta Imperial, mettono in luce un sassofonista di grandissimo spessore e grande autorità. Meritano almeno la stessa attenzione dei suoi più noti album per la Prestige degli anni Sessanta. In particolare è impressionante il suo debutto discografico come solista, intitolato Jazz U.S.A, sul quale oltre al resto del materiale brillano più degli altri gli standard veloci. Ma chi è Sonny Criss ? Per chi non lo conoscesse,questo sassofonista misconosciuto e forse sottovalutato è nato a Memphis, Tennessee, nel 1927 e si è trasferito a Los Angeles all'età di quindici anni. Non è affatto improbabile che la scelta di questo virtuoso del bebop di soggiornare sulla costa occidentale invece che nella mecca del jazz, ovvero New York, abbia in parte ostacolato l'evoluzione della sua carriera. Criss, come altri suoi colleghi dell’epoca, non mancò di suonare con grande successo a Parigi ed in Europa ma fu molto attivo anche in patria. Nonostante ciò resta uno di quei sassofonisti che non raggiunsero mai veramente una grande notorietà. Intraprese la strada del bebop già a partire dal 1947, suonando con Howard McGhee, Wardell Gray e Charlie Parker, lo stile del quale influenzò moltissimo il giovane Sonny. Tuttavia la sonorità di Criss assunse presto dei connotati originali e pur mantenendo in sé l’eredità di Bird non tardò a diventare a sua volta distintiva, caratterizzata da un sound morbido e vellutato, certamente meno spigoloso di quello del be bop. Il tour intrapreso con Norman Granz sotto l’insegna “Jazz At The Philharmonic” garantì comunque a Criss un discreto riconoscimento, quanto meno nell'area californiana. Nel 1955, Sonny si unì infine al gruppo del batterista Buddy Rich. I tre album che Criss registrò per la Imperial nel 1956, Jazz U.S.A., Go Man! e Plays Cole Porter (dove negli ultimi due c’era anche Sonny Clark) sono album da considerare di prim’ordine. Tuttavia la collaborazione con la Imperial Records non fu un’esperienza fortunata dato che questa era un'etichetta principalmente r&b e country. Ovviamente, la promozione del jazz non era in cima alla loro lista di priorità. A livello discografico andò meglio con gli album registrati in seguito per Prestige alla fine degli anni Sessanta, che ci restituiscono un Sonny Criss alle prese con un robusto hard bop declinato attraverso gli immancabili standard, un po’ di blues e qualche cover dei successi pop del momento. Criss ha poi anche registrato un paio di interessanti album per la Muse e la Impulse a metà degli anni Settanta. Tragicamente, nel 1977, Sonny Criss si suicidò all'età di 50 anni, una decisione presa dopo aver saputo di essere gravemente ammalato di tumore. Come dicevo precedentemente, questo sfortunato sassofonista ha avuto  la bravura ed il talento di modellare il suo stile su quello di Charlie Parker, ma ha indiscutibilmente sviluppato una sua interpretazione personale del be bop. La voce strumentale di Criss possedeva un affascinante vibrato, in contrasto con il suono più secco ed essenziale di Bird. Come Parker, Criss è un virtuoso che non lascia che la sua abilità tecnica prevalga sui reali contenuti del suo jazz. In più, nel suo modo di suonare si riscontra una piacevole vena romantica che non scade mai nel melenso. Il suo fraseggio era preciso e potente, con una profonda vena di blues e uno smagliante senso del ritmo. Questo fa di lui un musicista molto interessante da scoprire e si rivela un ascolto molto spesso piacevolissimo. Un’altra caratteristica di Sonny Criss è quella di vivisezionare gli standard per poi ricostruirli a suo piacimento, con un’ingannevole facilità. Le sue linee melodiche sono incisive ed accattivanti e sono sviluppate attraverso un’articolazione molto sapiente delle partiture. Lo si evince dalla sua rielaborazione di un classico come Sweet Georgia Brown o  in Blue Friday di Kenny Dorham. Quella che si ascolta è una grande sensazione di swing, colorata dal suo agile fraseggio. Criss padroneggia le note con la finezza di un peso piuma e la leggerezza di una farfalla. Nel suo caso non è il vigore assoluto che affascina, bensì sono più le sue abbaglianti sequenze a lasciare  stupiti ed ammirati. Il gruppo che accompagna Sonny Criss in questo album  è assolutamente all'altezza. Troviamo dunque un pianista come Kenny Drew, sempre elegantemente composto, la raffinata chitarra di Barney Kessel e Bill Woodson al contrabbasso più Chuck Thompson alla batteria. La combinazione tra il sax di Criss e la chitarra di Barney Kessel è quella che ci conduce ai momenti salienti dell'album, come in Sunday, il già menzionato Sweet Georgia Brown e l’originale dello stesso sassofonista intitolato Criss-Cross. Sonny e Barney offrono un'impeccabile interpretazione di Alabamy Bound, eseguito tra l'altro, ad una velocità vertiginosa. L'assolo di Kessel è qui particolarmente preciso e vigoroso: un bebop-swing da manuale. West Coast Blues è una composizione di Sonny Criss (da non confondere con quella di Wes Montgomery) dai tratti originali pur partendo da un canovaccio blues. Il celebre standard These Foolish Things è un altro esempio della maestria di Sonny Criss nel cogliere il senso profondo del grande American Song Book. Il sax lo abbellisce sapientemente con le sue frasi tortuose, incantando con una miscela di abilità ed energia che non ha minimamente perso smalto dopo tutti questi anni. Jazz USA è un ottimo album che permette di apprezzare un maestro del sax che probabilmente avrebbe dovuto raccogliere maggior fortuna ed un successo più vasto di quello che, complice anche il destino, la vita gli ha riservato. Da ascoltare.