Jeff Bradshaw - Bone Deep


 Jeff Bradshaw - Bone Deep

Una delle domande che più spesso si sono posti i jazzisti contemporanei è quanto realmente potessero spingersi in direzione di una più o meno radicale contaminazione artistica piuttosto che restare all’interno di una canonicamente rigorosa tradizione. Gli esempi di musicisti che hanno intrapreso la strada del rinnovamento nel jazz sono  numerosi, a cominciare da Miles Davis e continuando poi con Herbie Hancock, Chick Corea, Roy Ayers e molti altri. Il riscontro del pubblico ed anche quello commerciale per quelli che percorsero una strada alternativa fu subito evidente a tutti dall'inizio degli anni '70 e dura ancora ai nostri giorni. Questo anche a discapito della reputazione di quegli stessi musicisti tra i puristi del jazz. In effetti, è proprio dalla propensione alla sperimentazione di quei pionieri (e precedentemente di quelli del Be-Bop e del Free-Jazz) che è nato quel sotto genere comunemente noto come jazz-fusion. La lunga premessa serviva per introdurre il personaggio di questa recensione. Senza la dirompente genialità dei grandi del passato, ma con una certa originale personalità, anche il trombonista Jeff Bradshaw può infatti rientrare tra i  musicisti orientati alla sperimentazione “anticonformista”. In una certa misura il suo album di debutto del 2003, Bone Deep è un moderno tentativo di innovazione. Come specialista e virtuoso del suo strumento, Bradshaw vanta un sound che è possibile posizionare da qualche parte tra la jazz-fusion ed il neo-soul. La sua formula incorpora e miscela il jazz, il soul, l’r&b e,  occasionalmente, anche qualche eco africana: Bradshaw mette insieme qualcosa degli Earth, Wind & Fire, un po’ di Herbie Hancock, alcuni sprazzi di George Duke e per l’appunto una bella dose di neo-soul, ottenendo un effetto singolare. Qualcosa che ricorda le sonorità di oggi di Robert Glasper, Jr. con il quale non a caso in seguito collaborerà. In quest’ottica di revisione e sperimentazione della fusion, Bradshaw riesce a trovare un suo groove che è allo stesso tempo musicalmente sofisticato e tuttavia accessibile ed orecchiabile. L'uscita di Bone Deep arrivò anni dopo l'avvento di artisti come Erykah Badu, D'Angelo e Maxwell, che partendo dal soul indicarono una strada alternativa, poi diventata popolare. L'album di Bradshaw fece qualcosa di simile per la fusion, infilandosi nelle atmosfere urbane, destrutturando e semplificando uno stile spesso molto opulento. Prodotto dallo stesso Bradshaw, Bone Deep vanta cammei di Jill Scott, Floetry e Bilal, tra gli altri. Il suono di trombone di Bradshaw è ruvido e particolare e la sua abilità con lo strumento è sbalorditiva, poiché usa il “grande ottone” più come una seconda voce che nella maniera canonica. Ecco allora che molte delle tracce cantate vedono Jeff su un piano paritario nel confronto con l’interprete vocale. "Beyond the Stars", per esempio, con Glenn Lewis, mostra un'eccellente interazione tra la voce di quest’ultimo e il trombone di Bradshaw. Lo stesso vale per "Beautiful Day", che vede Bradshaw e Floetry che si alternano tra la melodia principale e l’accompagnamento. In "Can You Come Over", Carol Riddick si limita a cantare un ritornello mentre Bradshaw sfoggia  una performance strumentale eccellente. Altre tracce, come "Slide", con Jill Scott, trovano Bradshaw e il suo trombone in una situazione di contorno, che tuttavia mantiene una sostanziale presenza. In "Make It Funky", la performance di Jeff è in gran parte persa in una sorta di nebbia musicale creata dalla voce di Bilal e dagli altri strumenti. Questo approccio per così dire da “seconda linea” è in realtà piuttosto intrigante sulla cover di "Miss Celie's Blues (Sister)" che consente di ascoltare la voce  della talentuosa e forse sottovalutata N'Dambi. Bradshaw canta personalmente in "Guess You Never Know" e "Lookin '", proponendosi momentaneamente come vocalist. I brani "Soul of the Bahia", "Smooth Soul" e "On My Way" sono invece fondamentalmente strumentali. "Soul of Bahia" emana un'atmosfera da lounge music e incorpora echi di percussioni africane, mentre "Smooth Soul" estende il concetto di smooth jazz toccando forse il momento migliore dell’intero album. L'album si chiude in modo curioso con "The Bone is Back (Reprise)” che però nasconde al suo interno ben due bonus tracks che sono intitolate Swing Low e Yesterday: la prima strumentale, la seconda cantata. Tutto sommato, Bone Deep è un album piuttosto interessante ed anche a distanza di 17 anni dalla sua uscita mantiene una sua fresca attualità. Si snoda variamente tra vari stili, districandosi con intelligenza e misura in ogni contesto musicale. Jeff Bradshaw fa un uso molto originale del suo trombone e possiamo riconoscere questo artista come uno dei principali interpreti della fusion e del neo-soul dei nostri giorni. Merita quanto meno un ascolto.