Quincy Jones – Walking In Space


Quincy Jones – Walking In Space

Siamo abituati a conoscere Quincy Jones per la sua produzione musicale più recente, fatta di collaborazioni di grande successo con i più grandi artisti pop e per un paio di suoi album che hanno raggiunto i vertici delle classifiche negli anni ’80. Ma Quincy Jones è molto più di questo, è una delle personalità artistiche più importanti del secolo e la sua carriera, che ha attraversato praticamente sessant’anni di storia della musica, sta lì a certificare tutto quello che questo straordinario uomo è riuscito a fare. Quincy Jones è una sorta di genio rinascimentale della cultura afro-americana, essendosi distinto come direttore d’orchestra, come musicista, come compositore (anche di colonne sonore), per non parlare della sua attività di produttore, di quella di arrangiatore ed infine di proprietario di un’etichetta discografica. Ma Jones ha anche scritto libri, ha prodotto film e creato serie televisive di successo. Questo quadro sintetico da un’idea dello spessore culturale e dell’importanza a livello musicale che l’ormai ottantaquattrenne Quincy ha avuto dal dopo guerra ad oggi. In una discografia comprensibilmente molto vasta (anche se relativamente contenuta rispetto ad altri) ci sono ovviamente diversi album di grande valore e anche alcuni meno riusciti. Il jazz più tradizionale, declinato spesso nella forma della big band, è stato per lungo tempo il filo conduttore della sua produzione, ma vorrei invece focalizzare l’attenzione su un periodo, quello della fine degli anni ’60, che anche per Jones rappresentò un punto di svolta. Dopo qualche anno nel quale Jones fu impegnato nella composizione di colonne sonore cinematografiche, nel 1969 il direttore d’orchestra di Chicago firmò un contratto con la CTI di Creed Taylor e si impegnò nella registrazione di Walking in Space,  un disco stilisticamente molto eterogeneo che esplorava varie forme di jazz: elettrico, acustico, funk e da big band. Avvalendosi di alcuni bravissimi musicisti della scuderia Taylor, come Roland Kirk, Freddie Hubbard, Ray Brown, ma anche Bob James, Jay Jay Johnson e Hubert Laws, Jones conduce, organizza e arrangia una manciata di brani tra i quali non mancano alcuni standard. Quincy pesca dal musical di Broadway "Hair" due pezzi come “Dead End” e la title track “Walking In Space” ed è subito chiaro che l’album cammina in un territorio nuovo, dove il funk fa sentire la sua presenza pur mantenendosi saldamente nel campo del jazz. E tuttavia la presenza degli strumenti elettrici rappresenta un segnale di discontinuità rispetto al passato, così come gli arrangiamenti, davvero particolari e innovativi. Il disco inizia con Dead End in cui il basso di Ray Brown all’unisono con il pianoforte elettrico di Bob James si fa carico dell’introduzione, poi tromba e flauto creano l’accenno della melodia, fino all’ingresso potente della sezione fiati e a quello dell’intrigante chitarra elettrica di Eric Gale. Walking In Space inizia in modo simile, con Fredie Hubbard che soffia delicatamente nel suo flicorno, mentre il sax tenore di Roland Kirk lo circonda di note ed una eterea sezione vocale femminile contribuisce a creare una deliziosa ed intima atmosfera “da salotto”. Il ritmo decolla gradualmente e qui il flauto di Hubert Laws interviene dando un connotato spaziale al brano che, spostandosi verso il funk, consente alla chitarra soul di Eric Gale ed al sax energico e muscolare di Roland Kirk di esprimersi in assoli di rilievo. Il lungo pezzo di oltre 11 minuti vive di continui cambi di ritmo e di una irrequieta altalena di emozioni che lo rendono il top dell’album, soprattutto per l’arrangiamento. E’ molto cool jazz la lettura che Quincy Jones dà della popolare "Killer Joe" di Benny Golson, un brano nel quale è in grande evidenza il flauto di Hubert Laws, mentre il bravissimo Freddie Hubbard piazza il suo assolo di tromba con sordina innestandosi alla perfezione sulla roboante sezione fiati. Bello anche l’uso delle coriste nella parte cantata che riesce a dare un altro tocco particolare a questa indovinata cover. “Love And Peace” inizia con gli ottoni ed un sound subito palesemente orchestrale, funzionale ad una vera e propria sortita nel blues operata da quello specialista del genere che è il chitarrista Eric Gale. Molto bella è anche “I Never Told You”, una lenta e romantica ballata impreziosita da Toots Theilmans e dalla sua malinconica armonica a bocca: l’effetto è molto intenso e ricco di pathos. L'album si chiude con uno standard della tradizione gospel conosciuto in ogni parte del mondo come canto natalizio e cioè la celebre “Oh Happy Day”: il coro canta il ritornello mentre Hubert Laws risponde alle frasi vocali con il suo flauto. Qui si ha l’opportunità davvero rara di ascoltare Ray Brown suonare il basso elettrico in luogo dell’abituale contrabbasso e va detto che il groove non viene certo a mancare. Con Walking In Space, Quincy Jones si affaccia agli anni ’70 con un album che pur mantenendosi nel solco della tradizione anticipa alcuni temi che saranno in seguito approfonditi da un gran numero di artisti. Complessivamente si tratta di un lavoro leggero ed orecchiabile piuttosto lontano dalla complessità di Miles Davis o dei Weather Report di quel periodo, ma non mancano gli spunti interessanti. Il sound è quello tipico delle grandi orchestre, virato su toni quasi lounge: mantiene un’impronta jazzistica ed è corroborato da alcune discrete iniezioni di funky groove. Il maestro è validamente spalleggiato da un cast di musicisti di grande livello, e viene valorizzato dalla produzione perfetta di Creed Taylor. In un contesto creativo come questo, il genio di Quincy Jones ha confezionato sicuramente uno dei dischi più forti dell’intero catalogo della CTI. Non sarà una pietra miliare del jazz ma è pur sempre una valida testimonianza di come andava diversificandosi questo genere alle soglie di un decennio foriero di enormi cambiamenti.