Brian Jackson – Gotta Play


Brian Jackson – Gotta Play

Il tastierista Brian Jackson è noto soprattutto per il suo sodalizio artistico con Gil Scott-Heron, il cantante afroamericano  più politicizzato del ventesimo secolo. Sono passati 29 anni tra il 1971 e l’uscita di questo album “Gotta Play” un evento apparentemente inatteso anche per lo stesso Brian Jackson. Brian ha composto ed arrangiato un disco di vero jazz contemporaneo, ricco di eleganza e verve ma anche di funk e di groove. La tentazione di mettere in relazione l'attuale lavoro di Jackson con quello dei suoi esordi è ovvia, ma l’ascolto di  queste 14 tracce colloca Gotta Play su un piano che è  ben al di là del solco lasciato dal suo materiale precedente: di quest’ultimo conserva i forti legami con l’R & B ed una non scontata gradevolezza. Ma l’abilità di pianista e la maestria nell’arrangiamento non sono mai stati migliori di quanto è ascoltabile in questo album del 2000. Jackson ha concentrato le sue energie  creative più sull’intelligenza e la raffinatezza  piuttosto che sull’appariscenza estetica ed i suoi musicisti, anche se giovani, sono stati messi nelle condizioni di dare il meglio di loro stessi. David Mullen ad esempio, con i suoi sax, è un emulo di David Sanborn e Gato Barbieri, e ha una spiccata sensibilità melodica, un pò sul genere di quella del giovane Stan Getz. Il batterista Trevor Holden è un caldo session man di New York in grado di fornire un supporto ritmico adeguato. Lo stesso può essere detto per il bassista Don Martin, abile nel dipingere un mix di accompagnamento  carico di sfumature e colori. Al percussionista Num Her-ur Shutef Amun'tehu è delegato il ruolo di collante tra i vari strumenti e lui si adegua aggiungendo un alto livello di funky groove. Gotta Play apre con una breve intro di soli 39 secondi di tastiere e percussioni che conduce alla title track. E’ qui che si delineano i contenuti dell’album: dal cantato in stile scat all’intervento brillante dell’ospite Roy Ayers con il suo vibrafono, dal sax di Mullen alle tastiere stesse di Jackson il quadro che ne esce contempla molteplici sentori. Stevie Wonder,  i tardi War,  i primi Crusaders, gli Steely Dan, fino ad arrivare alla Midnight Band, tutti intrecciati in un mix che è tanto nuovo quanto familiare. "Kama Sutra" è un brano molto particolare: inizia con il pianoforte jazzato di Brian  e subito dopo vira su atmosfere stranamente mediorientali, per poi tornare nel territorio di un urban jazz contemporaneo sul quale irrompono il piano e  successivamente il doppio assolo di Mullen sia al tenore che al soprano. Le percussioni quasi  parlanti di Ahmun'tehu fanno da sfondo ai solisti per tutto il pezzo in un susseguirsi di invenzioni armoniche in questa che si configura come una fusion bost bop molto innovativa. “Moody Too” è un numero di grande bellezza grazie al synth ed al piano elettrico divinamente padroneggiati da un ispiratissimo Brian Jackson. A completare l’atmosfera anche il sax tenore di David Mullen per una ballata molto emozionale e vibrante. “Feelin’ U” dà una interpretazione personale dell’r&b mixandola con un accenno di rap lasciato però in secondo piano. Ascoltando “Free 4 Fall” scopriamo un Brian Jackson che mette il suo pianoforte al servizio dello smooth jazz, precorrendo un po’ i tempi, ma la sostanza è comunque lontana dalle edulcorate atmosfere a cui siamo abituati da qualche anno a questa parte. Suggestiva "Parallel Lean" con la voce di Jackson, che si dimostra un valido cantante, e un parlato in forma di recitazione di Gil Scott-Heron in persona. Gil non pare in perfetta forma, nonostante la bellezza della canzone, probabilmente a causa dei suoi continui problemi fisici. L’arrivo del pianoforte è, al solito, una delizia: ma tutto suona emozionalmente sofisticato. Robert Glasper deve aver ascoltato a lungo anche Brian Jackson prima di sintetizzare il proprio stile. Un altro punto di forza dell’album è il latineggiante "Yada Yada" dove il pianoforte di Jackson prende il centro della scena mentre la sezione ritmica ritaglia una gagliarda e moderna scansione dei tempi. Al contempo i sassofoni di Mullen scivolano intorno e attraverso le linee di piano, creando una nuova melodia modale. Sulla scia del miglior acid jazz Jackson propone un brano come “Outstanding” che a tratti ricorda gli Incognito e al pari del popolare gruppo inglese vanta una melodia davvero gradevole. La chiusura di Gotta Play è affidata ad un medio tempo funkeggiante il cui ritornello è punteggiato da un cantato scat e dove trovano voce gli assoli straordinari sia di Brian al piano ed al synth che quelli di sax di David Mullen. Una conclusione bellissima che invita ad un nuovo ascolto.  Questo album di Brian Jackson non può essere considerato un ritorno quanto piuttosto la rivelazione, finalmente in primissima persona, di un musicista di grande valore, apprezzabile come compositore, come tastierista ed anche come arrangiatore. Gotta Play è registrazione che merita ampiamente di essere ricercata ed ascoltata con grande attenzione da chiunque ami il jazz contemporaneo e non solo, dato che echi di r&b, di soul e di acid jazz sono parte integrante del progetto. È una cosa assolutamente positiva che anche un album per così dire "commerciale", all’interno del jazz, possa anche assurgere ad un eccellente livello artistico come nel caso di Brian Jackson e del suo Gotta Play.