Kurt Elling – The Gate


Kurt Elling – The Gate

È davvero curioso ma anche perfettamente comprensibile come  una piccola differenza di età possa aver influenzato la musica che ha risuonato nella giovinezza di ognuno di noi, determinando i nostri gusti e le nostre passioni. Ogni periodo storico ha i suoi generi di riferimento e di conseguenza ogni generazione vive la musica sulla base di un ampio e diversificato ventaglio di artisti e stili. Per il vocalist e pianista Kurt Elling, le influenze musicali che hanno condizionato i suoi gusti in gioventù, vanno ricercate in diverse fonti come ad esempio gli Earth, Wind & Fire o addirittura i King Crimson degli anni '80 o ancora in quella strana miscela post new wave  rappresentata da Joe Jackson. Ma su tutto, e più di ogni altra cosa, c’è stato il jazz, naturalmente sempre il jazz. E’ da tutte queste suggestioni musicali che viene fuori un album come The Gate. Elling continua nella sua lunga e fruttuosa relazione professionale con il pianista e arrangiatore Laurence Hobgood: un’unione artistica vecchia di 16 anni che è stata ed è il motore di una costante ricerca nell’ambito del jazz vocale, cioè la formula che Kurt Elling ha abbracciato fin da suoi esordi. Viste le premesse, non sorprenderà trovare su The Gate una versione piuttosto fedele di "Matte Kudesai" dei King Crimson resa in modo speciale dalla intrinseca capacità di Elling di rispettare l’originale pur rivisitandolo. E’ il bassista John Patitucci che guida di fatto la melodia, mentre Hobgood offre un delicato accompagnamento di piano ed il chitarrista John McLean impone le sue linee di chitarra simili a quelle originali di Adrian Belew, ma riviste con un tono più etereo. Kurt Elling canta da par suo, con il suo stile personale. Uno dei momenti clou dell’album è senza dubbio la versione swing della popolare "Steppin 'Out" di Joe Jackson, una cover sulla quale il pianoforte di Hobgood si muove leggero dentro e attorno alla struttura della canzone. Il disco si muove nel campo delle reinterpretazioni di brani famosi, quindi è quasi inevitabile che Elling proponga quella di "Norvegian Wood" dei Beatles: qui il già interessante arrangiamento di Elling e Hobgood viene impreziosito dallo straordinario assolo di McLean. E’ un crescendo emotivo notevole, ritmicamente sostenuto dal batterista Terreon Gully. Ma a stupire davvero è la cover di “After The Love Has Gone” la famosa ballata degli Earth Wind and Fire: Elling la propone con un tocco di raffinata eleganza jazzistica, da crooner consumato, con il sassofonista Bob Mintzer che va a riempire gli spazi con le sue evocative linee di sax. Elling sfrutta tutta la sua ampia gamma vocale, ed è affascinante scoprire che una canzone che conosciamo benissimo possa cambiare così tanto. Kurt si prende cura anche di Stevie Wonder con una cover della sempre bella "Golden Lady", in questo caso con un arrangiamento meno divergente dall’originale rispetto ad After The Love Has Gone. C’è spazio anche per una ballata tra le meno conosciute di Herbie Hancock quale “Come Running To Me" tratta da Sunlight e pure per un riedizione di "Blue in Green” di Miles Davis già proposto in passato da Al Jarreau.  "Samurai Cowboy"  vede un imprevedibile Elling in versione Bobby McFerrin crearsi la sua orchestra vocale attraverso la sovra incisione delle linee di basso  e di quelle delle percussioni. La lunghissima "Nighttown, Lady Bright", griffata Don Grolnick, termina l'album su toni più scuri e severi, con una inedita sezione recitata, per finire con una delicata ed atmosferica chiusura affidata al pianoforte di Hobgood magistralmente accompagnato dal Marc Johnson al basso e dalla batteria di Terreon Gully. Si assiste con sempre maggiore frequenza alla pubblicazione, da parte di molti musicisti, di album dedicati alle canzoni che hanno lasciato un segno nella formazione loro formazione artistica: Kurt Elling non fa eccezione e con The Gate ha attraversato i confini tra rock, pop, soul e R & B proprio per rendere omaggio ai suoi miti di gioventù. L’album è piacevolmente accessibile ma mostra al tempo stesso un’interessante e profondo caleidoscopio di interpretazioni e arrangiamenti che si apprezza sempre più mano a mano che lo si ascolta. Ancora una volta Kurt Elling dimostra che la buona musica sta lì, esattamente dove hai l’ardire di cercarla: si tratta solo di metterci sopra un timbro personale senza perdere di vista la propria identità.