Curtis Fuller – Blues-ette
Curtis Fuller – Blues-ette
Dopo la seconda guerra mondiale ha fatto la sua comprasa un nuovo stile di jazz chiamato "bebop". Questo genere altamente tecnico è una delle pietre miliari della storia della musica. Il pubblico ha potuto godere di ritmiche rapidi e armonie complesse per merito di geniali innovatori come Charlie Parker, Dizzy Gillespie o Charlie Mingus. Fin dall'inizio, il bebop non era destinato al ballo o al facile intrattenimento e non a caso le big band che erano solite suonare melodie orecchiabili stavano iniziando a declinare. Durante questo periodo, i quartetti e i quintetti guadagnarono in popolarità e finalmente le trombe e sax solisti prosperarono, mentre le opportunità per uno strumento di colore come il trombone erano ora limitate. Naturalmente c'erano delle eccezioni a questa regola. J.J. Johnson, Kai Winding e Al Gray erano alcuni trombonisti che eccellevano. In seguito, all'inizio degli anni '50, venne introdotto un diverso tipo di stile che venne definito "hard bop". L’Hard bop differisce da bebop i suoi tempi più lenti, per l’uso di un maggior numero di chiavi minori, per le linee di contrabbasso fantasiose ed anche per una contaminazione con il blues e l’R&B. E’ durante la metà degli anni '50 che un talentuoso e giovane trombonista di nome Curtis Fuller è entrato in scena. Fuller ha immediatamente abbracciato lo stile hard bop che era perfetto per il suo suono ricco e caldo. Quando Fuller suona il suo strumento, come solista o come accompagnatore, puoi facilmente descrivere il suo stile musicale dolce ma vigoroso al tempo stesso. E’ la capacità di Curtis Fuller di estendersi su più ottave con veloci colpi di pura genialità la caratteristica che lo distinge da molti dei suoi contemporanei. Nato a Detroit nel 1934, Curtis Fuller da ragazzo ha iniziato suonando il sax baritono. Al liceo decise di passare a un altro strumento, e scelse il trombone. Anche se Detroit sarebbe diventata in seguito sinonimo di "Motown sound", negli anni '50 “Motor City” ha dato i natali anche un buo numero di grandi del jazz come ad esempio Hank ed Elvin Jones, Donald Byrd e Kenny Burrell. Negli anni ’50 la maggior parte di questi musicisti si trasferì a New York e Curtis presto fece la stessa cosa. Qui ha avuto l’opportunità di arrivare ad essere il leader di una sua band. Fuller ha registrato album per le etichette Prestige e Blue Note ma è la sua collaborazione con Benny Golson con l’etichetta Savoy ad essere oggetto di questo mio post. Nel 1959 Curtis Fuller registrò Blues-ette, un disco composto da sei tracce nel quale figurano i suoi compagni di band: Benny Golson al sassofono tenore, Tommy Flanagan al piano, Jimmy Garrison al basso e Al Harewood alla batteria. Su ogni brano di Blues-ette Fuller è in prima linea dimostrando al pubblico che anche un trombone è uno strumento musicalmente coinvolgente. Curtis si distingue per le sue esecuzioni precise e dal tempismo impeccabile. In particolare la combinazione tra il suo trombone e il sax di Golson emerge per il sound ricco ed avvincente in un contesto dove ogni solista mostra una notevole abilità. Tutto semplice e lineare ma con una magnifica dose di calore e passione. Flanagan, Garrison e Harewood formavano una sezione ritmica che poteva tranquillamente competere con il meglio in circolazione. Non a caso questi tre musicisti sono responsabili di un ottimo lavoro per scansionare il tempo e fornire uno sfondo divertente e stimolante per le pennellate dei due solisti principali. Durante l’ascolto di questo album si ha netta la percezione del blues. A differenza di altre registrazioni che possono ugualmente avere "Blues" nel titolo, Blues-ette prende moltissimo dalla dolce malinconia e dall’atmosfera rilassata del popolare genere black. Ed è bellissimo notare come gli artisti si concentrino più sulla chimica ed il lavoro di gruppo invece di cercare di sfidarsi l'un l'altro in un mero esercizio di tecnica fina a se stessa. Un approccio iper-tecnico avrebbe probabilmente annullato la magica sinergia che invece appare nitidamente in ogni momento della registrazione. Ascoltando tutti i brani, qualcosa mi riporta alla mente l’immagine della bellezza associabile alla perfetta alchimia del nuoto sincronizzato. La traccia di apertura, "Five Spot After Dark", è un esempio perfetto di quello che sto dicendo. Scritta da Golson, è un pezzo nato per catturare l'attenzione e sicuramente ci si ritrova a suonarlo spesso. È una melodia soul blues che definisce gli stilemi di un genere venuto molto dopo come lo "smooth jazz" inserito nel contesto del jazz classico. Sia Benny Golson che Curtis Fuller ci deliziano con assoli liquidi e cristallini. La performance di Fuller dà in qualche misura un nuovo significato alla parola "definitivo", il suo trombone non è meno che memorabile. "Minor Vamp", scritto anch’esso da Golson, è un’altra piccola gemma. Presenta il suono caldo del sax con Garrison e Harewood che ancora una volta sono perfetti nel tenere il ritmo. È il brano più allegro e ottimista di Blues-ette e qui si può apprezzare la capacità di Fuller di suonare anche in velocità. "Blues-ette" comincia con Flanagan al piano ed è molto coinvolgente. Questa è una composizione che dà a ciascuno degli artisti l'opportunità di un assolo, ad eccezione del batterista Harewood, che mantiene un profilo leggero pur contribuendo a cementare ritmicamente tutti gli altri. Anche Jimmy Garrison al basso si distingue per il suo tocco vigoroso e pieno di fantasia. Sia il contributo di Fuller che quello di Golson sono anche in questo caso a dir poco eccezionali. Questo è un album che ho molto apprezzato. La voce calda e precisa del trombone di Curtis Fuller cambieranno la tua percezione di questo ottone, troppo superficialmente considerato uno strumento insipido e noioso. Il talento di Fuller nel suonare il trombone con la velocità e la precisione della maggior parte dei trombettisti o dei sassofonisti consentirà davvero una valutazione corretta delle potenzialità di questo strumento. In conclusione con Blues-Ette troverete un album dal suono fresco ed elegante che dovrebbe senza meno far parte di ogni collezione di jazz che si rispetti. Grazie all’arte ed alla maestria di Curtis Fuller e della sua band si ha l’opportunità di apprezzare al meglio il sound del vero hard bop. Blues-ette è un disco storico ed è vivamente raccomandato a tutti gli appassionati di musica che amano il jazz profumato da un tocco di genuino blues.
Tom Schuman – Reflections Over Time
Tom Schuman – Reflections Over Time
Tom Schuman è un tastierista americano, noto principalmente per la sua militanza nel famoso gruppo fusion Spyro Gyra, una delle band più popolari del contemporary jazz. Tom è stato presente su tutti gli album degli Spyro Gyra fino ad oggi ed ha composto, in prima persona o in collaborazione, oltre trentacinque brani per il collettivo. Tuttavia il suo impegno come musicista non si ferma ai soli Spyro Gyra dato che la sua creatività trova libero e naturale sfogo in una ormai consolidata carriera solista. Il suo debutto avvenne nel 1990 con Extremities seguito dall'album più direttamente influenzato dal jazz intitolato Schuman Nature. A questi seguirono due lavori di chiara matrice smooth jazz: Into Your Heart (2003) e Deep Chill (2005). Il suo album del 2010, Reflections Over Time, parte dalle esperienze precedenti per sintetizzare un mix di diverse tendenze e stili del jazz. Lo stesso Shuman infatti dichiara in proposito: "Il miglior modo per riassumere questo CD è descriverlo come una miscela eclettica di molti generi di musica. Jay Beckenstein, leader degli Spyro Gyra, dopo aver ascoltato il primo brano dell’album, "A Quote From Mr Z", che è un tributo al compianto Joe Zawinul, ne fu così entusiasmato da volerlo inserire nel programma live del gruppo. Infatti al momento lo spettacolo degli Spyro Gyra apre proprio con questo spettacolare pezzo. L'album vede la partecipazione di Bonny B, Kevin Stixx Marshall e Ludwig Afonso alla batteria, Ameen Saleem (contrabbasso su Giant Steps), Jay Azzolina, Alvin White, David Becker e Andy Wasson alle chitarre, Skip Martin alla tromba, flicorno e voce, Julian Tanaka al sax tenore e soprano. Tom suona ovviamente tutte le tastiere ed il piano coadiuvato da Schu Thomas al basso e Slide Funkshin alla batteria e alle percussioni. La prima canzone, come detto, è dedicata al gran maestro della musica fusion, Joe Zawinul: Sennie "Skip" Martin (tromba) e lo stesso Tom Schuman sono sulla giusta lunghezza d’onda per rendere omaggio al genio visionario dell’immenso Zawinul. Seven 4 You è un perfetto esempio di fusion, avvalendosi di un arrangiamento brillante e di un mirabile flusso melodico, il brano dispensa bellezza e groove, consentendo ai solisti ed in particolare a Tom di esprimersi al meglio. Sofia's Eyes cambia registro dipingendo un affresco acustico di grande suggestione. E’ interessante come il piano di Schuman si integri con la chitarra acustica di Jay Azzolina per creare l’atmosfera quasi new age alla base di questa ballata. Anche Reflections Over Time è una perfetto esempio di come Schuman abbia ben assimilato lo spirito di Joe Zawinul, con un bravo Julian Tanaka ad aggiungere il il timbro del suo sax. Gli amanti della musica ricca di fiati nello stile dei Tower of Power, East Bay Soul o degli EWF godranno di un brano come Hooked On Rockin. Qui i perfetti riff di chitarra di Andy Wasson introducono l'impressionante esplosione di fiati guidati dal sax di Julian Tanaka prima che sia la chitarra a riprendersi il ruolo di protagonista. Un orecchio attento non si farà sfuggire il potente groove di basso e la ritmica trascinante. Con Follow Your Heart, Tom Schuman ci da la sua visione del romanticismo in musica, con una bella melodia splendidamente disegnata dal sax soprano e poi dal piano acustico. When è un brano cantato da Skip's Martin, che mette in luce una bella performance come cantante soul. Una canzone che può avere successo come singolo r&b. God Please Bless America è il viaggio musicale che Schuman intraprende nella storia d'America, mettendo dentro anche campionature di voci di alcune popolari personalità politiche e sociali. Dat's Wassup! Presenta un evidente retaggio di Miles Davis grazie alla timbrica della tromba di Sennie "Skip" Martin. Giant Steps è in parte una sopresa: Tom Schuman si tuffa nel cuore del jazz con il classico di John Coltrane, originariamente scritto per sassofono tenore, ed eseguito splendidamente al pianoforte. La vertiginosa progressione di accordi ci restituisce una versione davvero riuscita di quello che è considerato un esame di maturità per chiunque suoni il jazz. L'album si chiude con la ballata I Still Miss You che vede ancora Skip Martin nel ruolo di cantante. Un classico pezzo romantico in stile soul/r&b che ricorda Babyface. Reflections Over Time è un album molto ben riuscito, una personale visione di come si possano trasferire le proprie emozioni in musica da parte di un artista vero come Tom Schuman. È uno splendido spaccato di jazz contemporaneo ricco delle contaminazioni e delle influenze su cui Tom è attualmente focalizzato. Il suo fraseggio e la sua proverbiale velocità nella diteggiatura non fanno altro che impreziosirne ulteriormente i contenuti facendo di Reflections Over Time un lavoro godibile e raccomandabile.
John Coltrane - Blue Train
John Coltrane - Blue Train
John Coltrane, ovvero il genio, a mio parere il più grande sassofonista di tutti i tempi. Ascoltando Blue Train stavo fantasticando su di lui e sulla sua musica. Immaginate allora che la scena jazz di New York della fine degli anni ’50 non sia mai finita e che John Coltrane stia vivendo la sua vita là fuori, suonando in una serie infinita di jam session. Immaginate che Trane non abbia mai attraversato il portale della musica modale insieme ai suoi amici Miles e McCoy, provate a figurarvi il sassofonista senza le influenze dell'Africa e del Medio Oriente, arrivate più avanti negli anni, o ancora pensate a come potrebbe essere se non avesse cavalcato una parte del free jazz. Riuscite ad immaginare tutto questo? Bene l’album Blue Train consente di avere un meraviglioso assaggio di come sarebbe potuto essere John Coltrane se le sue scelte fossero state cristallizate al 1957 ed una piccola anticipazione di ciò che effettivamente è venuto dopo. Nel 1957 Trane mise tutto se stesso in questo capolavoro, che è di fatto uno dei suoi primi album come leader di una band. Con un piede ancora nel catalogo di Charlie Parker e un orecchio rivolto verso l'hard bop, l'album suona quasi come un tipico club set di quel periodo. Blue Train è conosciuto principalmente per la title track, che è anche la prima composizione degna di nota di Coltrane. Nel suo assolo iniziale è già contenuto il messaggio musicale alla base della sua arte. Brani come "Moment's Notice" e "Locomotion" dimostrano che, anche prima che il genio di Hamlet sintetizzasse in musica la sua unicità stilistica e la sua profondità spirituale, John poteva tranquillamente comporre una melodia accattivante e arrangiarla con attenzione. L'album beneficia della presenza di Paul Chambers e Philly Joe Jones della band di Miles rispettivamente al basso e alla batteria. Il pianoforte è affidato al sound bluesy di Kenny Drew per completare un’eccellente sezione ritmica. C’è un giovane Lee Morgan a contribuire al sapore be bop dell'album con le sue citazioni Gillespieane. Non manca un formidabile Curtis Fuller che con il suo trombone intelligentemente non cerca di tenere il passo con i suoi più agili compagni ma opta per una varietà di sfumature e colori di grande suggestione: ma graffia quando deve. Da Blue Train a Giant Steps, uscito solo due anni più tardi, il passo è davvero da gigante, e con A Love Supreme la distanza si fa persino difficile da descrivere. Tuttavia questo è un album meravigliosamente energico e anche divertente. Quella superba grandezza di spirito del maturo Coltrane non è ancora del tutto palese, ma John anche come semplice "sax tenore" è indubbiamente straordinario, alla pari di Clifford Brown, Sonny Rollins, Horace Silver e Art Blakey, anch’essi icone jazz di quello stesso periodo. Blue Train contiene tutti gli elementi necessari ad un disco di jazz. Grandi musicisti, grandi assoli e melodie originali che diventeranno in seguito degli standard. Grazie alle incredibili e complesse progressioni di John Coltrane il livello di tutti i musicisti è notevolmente incrementato, di conseguenza tutto suona impeccabile. Analizzando in dettaglio le tracce, si parte con la celebre Blue Train: ammettiamolo, tutti quelli che masticano almeno un pochino di jazz conoscono l'apertura di questa canzone. È un classico affermato. Ogni strumento ha il suo momento per brillare. La tromba di Lee Morgan in particolare è spettacolare, oltre al sax di Trane. Segue una formidabile Moment’s Notice. Questo brano vede una grande interazione tra tutti gli strumentisti. Semplicemente si può dire che si completano l'un l'altro alla perfezione. L'intro di Coltrane evidenzia il suo incredibile timbro ed il suo assolo mostra la sua abilità nel dominare lo strumento. Coltrane ha scritto e registrato questa canzone nel giro di un'ora. Da notare come la difficoltà nel suonare pezzi di jazz dal ritmo serrato, Curtis Fuller riesca a coprire l'intera gamma cromatica con il suo trombone, dimostrando quanto questo strumento possa essere altrettanto versatile e come può suonare con la stessa forza di qualsiasi altro ottone. Anche la tromba di Morgan è di nuovo dominante e Jones si distingue con il suo drumming perfetto e al contempo fantasioso. Paul Chambers non è da meno, mettendo in luce le sue abilità di solista con un assolo di contrabbasso notevolissimo. Infine il pianoforte di Kenny Drew aggiunge contrappunti e armonie con il suo andamento sempre molto blues. Locomotion è un brano dal ritmo frenetico basato sul blues: è il fragore della batteria di Philly Joe che conduce l'intero gruppo. Sul veloce Coltrane sembra quasi suonare meglio, se possibile, il suo assolo su questa canzone è una versione più lenta e melodica della sconvolgente "Countdown" registrata su "Giant Steps". La cover di I'm Old Fashioned è l’unico non originale dell'album. Questa ballata è stata composta da Jerome Kern e Johnny Mercer, e qui Coltrane si dimostra perfettamente a suo agio anche suonando brani lenti come questo. Chiude un’altra fantastica composizione di Trane, Lazy Bird, che diventerà un classico del jazz. Il pezzo inizia con il piano, Morgan e Fuller sono meravigliosi nei loro assoli, Philly Joe Jones continua a swingare invogliando a tenere il tempo e John Coltrane guida le danze da par suo. Al termine dell’ascolto mi trovo a pensare una cosa: compra qualsiasi opera in cui figura John Coltrane e difficilmente resterai deluso! Lui è stato un artista unico che non ha mai smesso di crescere e migliorare non solo come musicista, ma anche come uomo. John Coltrane ha cambiato la storia del jazz e l’unico rammarico che si può avere è che sia mancato troppo presto.
Alex Han - Spirit
Alex Han - Spirit
Ogni cosa che appartiene all’universo che ruota attorno a Marcus Miller desta immediatamente la mia attenzione. Sin dal debutto con il famoso maestro bassista di New York ho avuto a cuore un giovane sassofonista di nome Alex Han, che milita da anni proprio nella band di Marcus. Lui si è in breve tempo distinto per un talento non comune. Un talento così cristallino che non poteva che approdare presto ad un album solista. Il sassofonista e compositore Alex Han è dunque finalmente uscito nel 2017 con Spirit, il suo primo lavoro da leader: mettendosi in gioco con il suo suono audace, vigoroso e raffinato, l’esordio non poteva essere più interessante. Come è logico il progetto è stato prodotto dal suo mentore: l'insuperabile Marcus Miller. Alex Han è un membro fisso del gruppo di Miller ormai da molto tempo, ed è apparso in molti dei suoi album, continuando al contempo a partecipare alle tournée con il mitico re del basso elettrico. Costruito su dieci tracce in tutto di cui sette originali composti dallo stesso Han più una cover del malinconico hit "Fragile" di Sting, la title track Spirit passionale e meditativa, scritta appositamente per Han da Miller, ed infine il vivace "The Jungle Way Out", composta dal bassista Yohannes Tona. Spirit è un album che mette in risalto tanto la versatilità di Han quanto la sua innegabile musicalità. E’ Alex stesso a spiegare la sua prima esperienza da solista: "È stato un lavoro concepito con grande passione, quattro anni di impegno per arrivare a questo risultato", dichiara con orgoglio. “Sono davvero contento che sia finalmente uscito. Come succede durante la registrazione di qualsiasi album, ci sono state alcune difficoltà durante le sessioni, ma tutto è stato superato grazie ad un grande slancio ed alla perseveranza di tutti”. Racconta ancora Han: "Avevo le demo delle canzoni, ma suonavano un po' troppo elettroniche, Marcus Miller mi disse che pur suonando bene, era meglio rifare i pezzi per ottenere un sound più corposo ed naturale". Così abbiamo apportato le modifiche necessarie all’ impostazione di base del disco e ci siamo resi conto che funzionavano molto meglio, perché avevano raggiunto esattamente quell’atmosfera e quel groove che stavamo cercando. Fondamentale per ottenere il perfetto equilibrio del suono è stato il pianoforte di Federico Pena, un tastierista molto stimato, che è stato anche lui un membro della band di Miller. Pena si porta appresso il suo lirismo e la sua sensibilità, ma anche la cura dei dettagli, traslando gli stessi ingredienti del suo personalissimo sound all’album di Alex Han. "Un elemento importante che si coglie nei pezzi è proprio il pianoforte," riflette Han: è stato utilizzato uno Steinway a piena coda e la registrazione fa sembrare il pianoforte proprio come se fosse stato suonato dal vivo con noi. "Oltre a Pena, Miller e Han, suonano in Spirit il bassista James Genus, il percussionista Mino Cinelu, i batteristi Corey Fonville, Louis Cato e Sean Rickman e il chitarrista Adam Agati, solo per citare alcuni dei talentuosi artisti che Han e Miller hanno messo insieme per l’occasione. Alex è un vero prodigio musicale (ha iniziato a suonare il sassofono quando aveva otto anni) e mostra al suo debutto una straordinaria capacità di comporre melodie forti e memorabili: ad esempio "Behold" o la ritmica "Osasia" e ancora l’elegante e funkeggiante "Spectre". Quest’ultima caratterizzata da un bellissimo assolo di chitarra di Agati e punteggiato dai colpi inconfondibili del basso elettrico di Marcus Miller. Han si distingue anche per un’ottima attitudine nelle ballate, come in “Mowgli” dove si esibisce splendidamente al soprano e sulla quale, pur mantenendo il proprio tono personale occhieggia vagamente al fenomenale Branford Marsalis. “Voice Of The King” è un bellissimo tributo alla fede: etereo, ipnotico e appassionato. Descrivendo la sua infanzia Alex Han dice scherzando che ringrazia i suoi genitori per le lezioni di musica che gli hanno fatto prendere da bambino, piuttosto che per il consumo di cibo spazzatura, i videogiochi o la TV a ruota libera. Ma certo è che l'investimento dei genitori nella sua istruzione musicale ha dato indubbi risultati. Poi un grande debito di riconoscenza e un profondo rispetto Han lo riserva anche al grandissimo Marcus Miller, che si dimostra non solo uno dei geni del jazz contemporaneo, ma anche uno straordinario scopritore di talenti. Di fatto Spirit è un album davvero molto interessante e raffinato: Alex Han conferma di possedere un talento cristallino e lascia presagire una luminosa carriera per i prossimi anni. Il sax del futuro.
Eliot Slaughter – The Reinventment
Eliot Slaughter – The Reinventment
Eliot Slaughter è un musicista e polistrumentista di Cincinnati, già bambino prodigio e dotato di un innato talento per la produzione e l’improvvisazione musicale. E’ uno di quegli artisti per i quali le capacità creative si coniugano con il buon gusto e la misura: una boccata d'aria fresca nel panorama dello smooth jazz internazionale. Eliot non solo compone tutta la sua musica, ma suona anche una varietà di strumenti e tra questi il pianoforte e le tastiere in generale sono è i suoi preferiti. Vive in Ohio, ma Slaughter ha viaggiato molto durante la sua giovinezza, dato che suo padre era un militare: ha vissuto in Europa, e in molte zone diverse degli Stati Uniti. A tal proposito Eliot dice: "Ricordo di aver fatto lunghi viaggi con la mia famiglia, quando ero solo un bambino, ascoltando la musica che veniva suonata da mio padre, grande appassionato di jazz e pianista a sua volta”. Erano Miles Davis, John Coltrane, Oscar Peterson, Bill Evans e altri grandi musicisti che suonavano ininterrottamente: così il piccolo Eliot assorbiva tutto, assimilava l’essenza del jazz. Racconta ancora Slaughter: "Io e mio fratello chiedevamo di ascoltare anche Jimi Hendrix, i Beatles e altri artisti sia Pop che Soul e nostro padre ci accontentava” Risulta chiaro come il tastierista sia cresciuto in un ambiente permeato di musica grazie alla passione del padre e ad una acquisita familiarità con tutti i grandi del jazz e con i suoni funky soul della Motown e del rock. Eliot si è laureato al Berklee College of Music di Boston, una scuola dalla quale sono usciti molti tra i più grandi musicisti degli ultimi 50 anni. Invitabile quindi che dopo anni di studio, intenso lavoro e grande dedizione, Eliot Slaughter si sia alla fine evoluto come artista ed abbia creato uno stile personale che è un insieme di melodia e passione con un forte legame con il jazz e il funk. Dopo aver lasciato Boston, Slaughter è diventato un tastierista molto richiesto, finendo per suonare come turnista in molti cd ed in tour con svariati gruppi ed artisti. Non poteva mancare nella sua evoluzione e crescita professionale un ulteriore passo verso il futuro, attraverso l’approdo alla sua prima registrazione da solista, intitolata The Reinventment. Un album che ci rivela un giovane talento con un tocco da maestro su 13 canzoni tutte nuove, molto fresche e rilassate, positive e ariose. Senza particolari ambizioni o pretese di innovazione a tutti i costi, queste sono tracce che piacciono fin dal primo ascolto e mettono di buon umore. Ci sono morbidi groove melodici, non mancano delle belle improvvisazioni, e sono presenti anche alcune ballate di stampo soul. A tratti ricorda il miglior Paul Hardcastle, in particolare quello dei Jazzmasters. Il suo lavoro alle tastiere denota un buon tocco al pianoforte ed un sapiente uso sia dei synth che della programmazione. Gli arrangiamenti sono essenziali, improntati alla massima semplicità senza per questo essere superficiali o trascurati. Eliot Slaughter fa tutto da solo, con la sola eccezione della partecipazione del fratello chitarrista. The Reinventment è in buona sostanza una sintesi dello smooth jazz di facile fruizione. Tracce gradevoli che ben si si adattano alle esigenze di ascolto di una larga fascia di utenti, lontane dal jazz classico ma sufficientemente sofisticate e curate da non essere banalmente commerciali.
Charenee Wade: Offering - The Music Of Gil Scott-Heron And Brian Jackson
Charenee Wade: Offering - The Music Of Gil Scott-Heron And Brian Jackson
Come spesso accade agli artisti che sono oggettivamente in anticipo sui tempi, il grande valore del rivoluzionario cantautore Gil Scott-Heron è stato solo oggi rivalutato e riconosciuto, a molti anni di distanza dall’uscita dei suoi dischi più importanti. Questa figura enigmatica della musica americana dello scorso secolo, è sempre stato circondato da un’aura di rispetto e, per una ristretta cerchia di appassionati è diventato una sorta di culto, senza tuttavia raggiungere mai un vasto consenso. Questo probabilmente è dovuto al fatto che, nella sua carriera, Scott-Heron ha caparbiamente eluso ogni sorta di categorizzazione sia nella musica che per quanto riguarda la personalità. A giudicare dai tributi postumi al suo lavoro che negli ultimi tempi sono sempre più numerosi, la sua eredità è finalmente assurta a quel livello iconico che indubbiamente merita. Il suo compagno musicale durante la sua fase più feconda, il pianista Brian Jackson, ha fornito il fondamentale catalizzatore per gran parte dei migliori album di Gil Scott-Heron ed è riconosciuto come un innovatore nel jazz e nella musica urbana moderna. Un omaggio appassionato a questi due mostri sacri della musica americana è arrivato nel 2015 dalla cantante afroamericana Charenee Wade: compositrice, arrangiatrice ed insegnante, la Wade è nota per il suo precedente album "Love Walked In", del 2011. Prima di questa uscita discografica, ha lavorato per affinare le sue abilità di vocalist, figurando come ospite nelle registrazioni di Tia Fuller, Eric Reed, e della Eyal Vilner Big Band. Armata di una grande passione e di una notevole personalità, Charenee ha deciso di cimentarsi con questo bellissimo “Offering-The Music di Gil Scott-Heron e Brian Jackson”: una raccolta di undici tra i più significativi brani dello storico duo. La Wade non si limita a un disco di banali cover, ma utilizzando i testi e la musica di Scott-Heron e Jackson come trampolino di lancio, porta i contenuti di questo album ad un nuovo livello di innovazione, onorando lo spirito della fonte creativa, evolvendolo grazie ai suoi arrangiamenti e centrando l’obiettivo di trasmettere il messaggio nella sua essenza originale. Le sue trame vocali risultano singolari ed estremamente affascinanti, e riescono a dare un’impronta personale ad un progetto difficile e molto impegnativo. La cantante attinge al momento più prolifico del duo e cioè agli anni '70, quando sia Scott-Heron che Jackson erano all’apice della loro parabola creativa. La title track “Offering” fissa in qualche modo il tono concettuale di tutto il disco, ed appare subito chiaro come il jazz sia una parte importante di questo progetto e la matrice musicale più evidente. "Song Of The Wind" mette in mostra la gamma dinamica e la tensione emotiva che Charenee può coprire, accompagnata in questo dal formidabile vibrafonista Stefon Harris. Lo stesso Harris è presente in numerosi pezzi ed il suo vibrafono è una parte importante e distintiva di questo album. L’atmosfera si fa più impegnata con "A Toast to the People", un saluto ed un omaggio a tutti coloro che si sono impegnati nella lotta di classe. C'è una bella versione di "Home Is Where The Hatred Is", che è certamente uno dei capolavori di Scott-Heron: la Wade è bravissima nel costruire un fraseggio quasi frenetico e la sua voce suona quasi fosse un sax per restituire la canzone con tutta la sua intensità. La strana "Ain't No Such Thing as Superman", è sottolineata superbamente dal bassista Lonnie Plaxico, che scandisce il tempo dando un’inquietante sensazione di liquidità e permettendo alla Wade di esprimersi in lungo ed in largo dentro un brano davvero molto affascinante. "Western Sunrise," che vede protagonista il chitarrista Dave Stryker, è un altro dei classici del repertorio di Scott-Heron ed anche in questo caso la cantante non fa rimpiangere l’originale. Anzi gli appassionati di jazz troveranno questa e le altre esecuzioni ancora migliori di quelle degli anni ’70. Gil Scott-Heron era anche considerato un “New Black Poet”, una definizione che lui stesso amava e detestava dato che preferiva considerarsi un messaggero della gente di colore, un moderno griot afro-americano. Non è dunque per nulla facile catturare pienamente la sua essenza poetica, ma la Wade fa un’operazione intelligente proprio ponendo l’accento sul lato musicale più che su quello poetico. E’ brava la cantante a trovare la sua strada, anche se è noto che i testi, con la loro nuda franchezza, stanno alla base della musica di Scott-Heron. E’ come se la Wade prendesse in mano l’essenza di quei contenuti, attenuandone il tono, quasi a cercare una via d'uscita da quella follia che è sempre stata così incombente sulla mente di Gil Scott-Heron. Se c'è mai stata una canzone perfetta per la chiusura di questo album, "I Think I'll Call It Morning", è quella che più ci si avvicina: il jazz, il blues, il soul racchiuse in una melodia accattivante che Charenee restituisce in modo solare e limpido. Benchè la musica di Gil-Scott Heron e Brian Jackson fosse universalmente identificata con precisi riferimenti politici, culturali e razziali e fosse portatrice di sentimenti di rivoluzione e cambiamento, portava pur sempre con se un grande ottimismo e la speranza di una società più giusta ed equa. Quest’ultima spendida canzone vuole significare proprio questo: qualunque cosa accada, domani il sole sorgerà e con esso arriveranno altre opportunità di operare quei cambiamenti e quelle scelte che sono necessarie per un bene superiore e collettivo. Con questo meraviglioso album, Charenee Wade ha dimostrato di possedere un grande talento ed un coraggio raro. Credo davvero che il suo momento sia arrivato, proprio con questa prova di maturità artistica e sapienza vocale del più alto livello. Scegliere di interpretare questo materiale non è stato un percorso facile, ma è qualcosa che rappresenta il vero spirito di un musicista jazz. Charenee ha reso queste difficili canzoni assolutamente sue, ma contemporaneamente ha assemblato un fantastico tributo a due grandissimi musicisti. È una dichiarazione d’amore, un’offerta piena di sensibilità e gusto, una piccola gemma da scoprire con attenzione e conservare con molta cura.
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